salute

Com'è cambiata la mia vita quando sono ingrassato di 30 chili di colpo

Sei anni fa il mio rapporto col cibo è cambiato, e ho iniziato a ingrassare: una trasformazione radicale non solo dal punto di vista fisico, ma anche mentale e sociale.
Niccolò Carradori
Florence, IT
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L'autore (col cappello) qualche anno fa. Foto per gentile concessione dell'autore.

Lo scorso inverno mi sono fatto convincere da un amico a partecipare a una partita di calcetto fra ex compagni di liceo; quel genere di iniziative da trentenni, ormai sedentari, che ti fanno illudere per una serata di non esserti gettato per sempre alle spalle la gioventù. Erano anni che non toccavo boccia, ma pensavo che al massimo sarei stato più lento e impacciato. Sfortunatamente, però, le mie illusioni si sono scontrate con un muro di basalto: dopo nemmeno cinque minuti mi girava la testa, sono caduto due volte da solo correndo, e ho dovuto terminare la partita in porta, spruzzandomi 20 emissioni di Ventolin perché la fame d'aria mi stava schiacciando i bronchi. Arrivato a casa ho vomitato.

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La variabile determinante che non avevo voluto affrontare accettando quell'invito non era soltanto lo scorrere del tempo, o la mancanza di allenamento, quanto il mio peso corporeo. Fra la penultima partita di calcetto e quella che avevo appena concluso rigettando succhi gastrici nel water ballavano 33 kg in più.

Fino all'estate in cui ho compiuto 25 anni non ho mai avuto grossi problemi di peso, né nei rapporti con il cibo. Ho quasi sempre gravitato attorno ai 78 kg (sono alto 1,85), e quando notavo che ero salito un po', con qualche settimana di corsette serali da 45 minuti e un po' di attenzione nei pasti rimediavo facilmente. In generale non ero mai stato particolarmente orgoglioso del mio corpo, ma mi andava benissimo così com'era.

Da fine agosto a inizio dicembre del 2013, però, qualcosa è cambiato: ho preso più di 20 kg in una botta sola, e nel giro di un ulteriore anno se ne sono accumulati altri. Passare da 78 kg a 110 in così poco tempo ha comportato cambiamenti drastici nella mia vita: il rapporto con il cibo, la percezione che avevo del mio corpo, la mia autostima, e la relazione con il mondo esterno.

Sono pienamente cosciente del fatto che quando si parla di aspetto fisico e di percezione di sé si devono relativizzare le conclusioni, e che questa storia parla di me e non di altre esperienze, ma per capire cosa succede quando prendi così tanto peso improvvisamente, da adulto, mi sono consultato con la dottoressa Cristina Nesti, medico psicosomatista, che nel corso degli anni ha maturato molte esperienze con pazienti affetti da disordini legati al cibo.

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Ma prima, un po' di contesto: alla fine dell'agosto di sei anni fa mi ero da poco trasferito a Milano e avevo iniziato a lavorare. Nonostante fossi già abituato a vivere e a cucinarmi i pasti da solo, mi sono subito reso conto che il modo in cui vivevo il cibo era cambiato. Ci pensavo di continuo. Facevo uno stage che mi occupava tre giorni alla settimana, e quasi tutto il tempo che mi avanzava lo passavo a mangiare, o sul sito di JustEat a scegliere cosa mangiare. Ordinavo brunch a domicilio con pancake e milkshake per due, mangiavo la pizza con la stessa cadenza di una tartaruga ninja, mi facevo recapitare a casa tre o quattro confezioni di donut americane glassate per volta. Gli operatori delivery della zona in cui vivevo erano quasi miei amici, e le poche volte che cucinavo da solo mettevo minimo 400 grammi di pasta a bollire. I pasti meno calorici che mi concedevo erano le piadine imbottite di salame e salsa tartara. Per la prima volta in vita mia, sperimentavo il confine che esiste fra essere satollo e mangiare fino a star male.

Non riuscivo a capire da dove venisse tutta quell'ossessione, ma sinceramente non ci pensavo nemmeno troppo. In quel momento la vivevo come una specie di sfogo che mi potevo permettere, come una vacanza dalle mie abitudini. Non avevo amici a Milano, uscivo pochissimo, lo stage mi provocava ansia, e pensare di arrivare alla sera e rimpinzarmi mi faceva sentire molto rinfrancato.

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"Ogni persona rappresenta un caso a sé," mi ha detto la dottoressa Nesti, "ma bisogna innanzitutto capire che quando ci si trova di fronte a un cambio così repentino e squilibrato del rapporto col cibo le cause sono sempre di tipo emotivo. Si può trattare di un evento scatenante—un lutto, una perdita, l'allontanamento da una zona di comfort—oppure del cambiamento della propria zona di comfort, che si rende così spiacevole da obbligare la persona a adottare comportamenti di difesa. E il cibo è una fortissima arma di protezione e di scarico dell'ansia: perché essendo legato alla sopravvivenza, ha una fortissima componente affettiva. Mangiando si innesca un meccanismo di compensazione."

Dopo appena un mese e mezzo dal mio arrivo a Milano sono dovuto andare a comprarmi tre paia di jeans perché non avevo più niente che mi entrasse. Quando, due mesi più tardi, ho provato a indossare i cappotti invernali che mi ero portato da casa, le maniche mi stavano strette alle braccia come lacci emostatici. Avevo un piumino di cui non riuscivo più nemmeno a chiudere la zip. Dopo quattro mesi di quella vita, ero irriconoscibile.

Me ne sono reso conto quando, per le vacanze di Natale, sono tornato a casa. Gli amici che non mi vedevano da un pezzo sembravano quasi sconvolti: un paio, in un momento di simil-confidenza, mi avevano chiesto se avessi cominciato a prendere qualche medicinale che mi aveva fatto ingrassare. È stata una sensazione strana fare i conti con l'immagine che ora gli altri avevano di me; ingenuamente, non volevo mi vedessero cambiato. Volevo che anche loro mi restituissero l'idea secondo cui le cose stavano solo temporaneamente in quel modo, e che presto sarei tornato quello di sempre. Invece sembrava cominciassero tutti a dare per scontato che quella era la mia dimensione. E che avessero adeguato il loro modo di rapportarsi a me: ragazze con cui scherzosamente flirtavo da sempre ora mi sembrava provassero repulsione per me, e gli amici non tacevano più le battute su quanto mangiassi. È allora che ho cominciato a entrare in uno stato di realizzazione.

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Ho provato a mettermi subito a dieta, ma dimagrire non era più quel ragionevole sforzo di concentrazione di un tempo. Non avevo più il controllo della mia fame. Magari cominciavo con una camminata di un'ora (correre era diventato troppo faticoso), e per tutta la giornata seguivo scrupolosamente la dieta, poi arrivavo all'ora di cena e mangiavo due pizze farcite. Al lungo andare, inoltre, quella realizzazione riguardo al fatto che ormai ero ingrassato è diventata l'attenuante per ingrassare ancora.

È come se mi fossi detto "ormai tanto non mi piaccio fisicamente, ho già passato il punto in cui sono allarmato dalla situazione. Rimedierò più avanti, e intanto mi godo questo senso di gratificazione che mi dà sentirmi completamente libero riguardo al cibo." È l'unica giustificazione che dai a te stesso quando finisci una bomboletta di panna spray in un pomeriggio, spruzzandotela direttamente in bocca, o quando compri una confezione di Estathé da sei e dopo tre ore l'hai finita.

Questo tipo di comportamento non è così insolito. In questi casi, spiega la dottoressa Nesti, "si mangia senza alcuna regola per compensare l'ansia e non confrontarci con quello che ci angoscia. Gli sgarri serali sono la norma. E proprio perché il cibo è così ansiolitico—e soprattutto perché a differenza di altre dipendenze il cibo è qualcosa a cui non possiamo rinunciare—è come se continuando a mangiare si entrasse in una spirale in cui il soggetto alimenta la propria situazione di disagio con sempre più cibo. Il peso ingente diventa una specie di corazza, che ti isola non solo dalla causa del tuo malessere, ma da tutte le ulteriori situazioni che possono provocarti ansia. Il confronto sociale, ad esempio."

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Non è una cosa che capita a tutti quelli che prendono kg all'improvviso o che sono sovrappeso, ovviamente, ma io mi ero lasciato andare: ho cominciato a uscire molto meno rispetto al passato, perché farmi vedere in giro mi faceva sentire a disagio, e ho quasi completamente rinunciato all'idea di "provarci con una che mi piace". Tutte le ragazze con cui sono uscito o stato da quando sono ingrassato sono persone la cui attrazione nei miei confronti era talmente manifesta da non richiedere iniziativa da parte mia. E da un certo punto di vista, forse, il fatto che la mia vita sessuale continuasse ad esistere mi dava una giustificazione in più per non impegnarmi a risolvere la situazione.

Di più: era diventato il biglietto per uno stato di inedia. "Troverò una persona che mi piace davvero quando sarò magro, ricomincerò a uscire seriamente quando sarò magro, organizzerò quel viaggio che rimando da tempo quando sarò magro." Perché la verità è che in tutto questo tempo non ho mai perso la speranza di riuscire a invertire la rotta della mia insoddisfazione fisica. Anzi, è come se una parte di me non avesse mai registrato il cambiamento: io sono ancora il Niccolò che pesa 78 chili, forse gli altri non possono esserne a conoscenza perché mi vedono da fuori, ma in potenza sono ancora quella persona lì. Tornare ad esserlo, anche esteticamente, è solo questione di tempo.

Solo recentemente ho cominciato a prendere in seria considerazione il fatto che in quell'autunno del 2013 non è cambiato solo il mio aspetto fisico, ma si sono manifestati degli eventi interni che non ho mai valutato razionalmente. È qualcosa che ho lasciato che accadesse senza alcun freno. Il rapporto con un'alimentazione sana, il confronto con il corpo (fare sport, allarmarsi per gli acciacchi, guardarsi, accettarsi, mostrarsi), sentirsi in piena fiducia per potersi relazionare senza paura con gli altri sono tutte cose che ho capito di aver perso. E che sarà necessariamente molto faticoso recuperare e ricostruire.

"In casi come questo," ha concluso la dottoressa Nesti, "bisogna capire che finché non si affrontano le cause che hanno portato a questa situazione, non è possibile affrontare in modo costruttivo il proprio rapporto col cibo. Dirsi 'rimanderò la mia vita a quando sarò magro' cosa comporta davvero, se riportato ai termini essenziali? Vuol dire 'affronterò la vita quando sarò pronto'. Soprattutto se intervengono in certi momenti della vita, condizioni del genere nascondono la paura del cambiamento. Costruirsi questo guscio serve a nasconderci dentro tutto quello che sentiamo, e non siamo ancora in grado di affrontare."

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Niccolò ha anche provato a passare una giornata da pensionato, perché tanto in pensione non ci andremo mai: