Ho assaggiato la birra degli antichi egizi
Foto di Ruby Lott-Lavigna. 

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Ho assaggiato la birra degli antichi egizi

Se vi siete sempre chiesti cosa bevessero gli antichi egizi, trovate le risposte in un birrificio londinese.

C’è un aneddoto storico che forse non conoscete: gli antichi egizi erano dei mattacchioni. La loro birra fermentava molto più in fretta della nostra, quindi dovevano o berla super velocemente, o prenderla super forte (che tosti!).

È questo il primo racconto svelatomi della storica Tasha Marks, che incontro per degustare ( o forse dovrei dire ubriacarmi di?) birra dell’Antico Egitto al birrificio AlphaBeta di Londra. Tasha viene presto raggiunta da Michaela Charles, la mente dietro all’AlphaBeta, e dall’esperta enologa Susan Boyle. Le due donne, insieme, hanno trascorso gli ultimi sei mesi alla costante ricerca della perfetta riproduzione della birra degli antichi egizi. Sì beh, insomma, la più accurata possibile, tenendo conto dei più di 1500 anni di vita dell’impero.

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“Quando analizziamo la storia moderna, 100 anni rappresentano un lasso di tempo enorme, che fa la differenza,” inizia Marks. “Ma quando si tratta di Antico Egitto, però, dobbiamo tarare tutto su una tempistica diversa. Questa birra è frutto di 1500 anni di storia.

Non parliamo di un progetto per nerd della storia o ubriaconi. Quest’impresa è stata direttamente commissionata a Marks dal British Museum come parte della serie Pleasant Vices su YouTube, con il preciso intento di rendere le mostre del museo più interattive e inclusive grazie al cibo e alle bevande ( e in effetti, cosa può risultare più interessante di un bel sorso di birra?). Quindi Marks ha chiesto a Charles e a Boyle di salire a bordo dell’impresa, e tutte e tre hanno lavorato a lungo per cercare di capire come fermentare la birra degli antichi egizi.

“In passato uno dei miei compiti principali era quello di rendere le mostre più accessibili,” racconta Marks. “ Quindi con questa tematica alcolica mi è bastato recarmi al British Museum: sono stati i reperti a condurre il progetto.”

Per filtrare e fermentare la birra come gli antichi egizi, il gruppo di lavoro si è perciò avvalso delle competenze del British Museum, soprattutto nella figura del capo dipartimento di egittologia. Quest’ultimo, avendo accesso a tutta una serie di reperti archeologici, inclusi recipienti per la birra e altri utensili per la produzione di questa bevanda, le ha aiutate a sviluppare un metodo di fermentazione molto simile a quello degli antichi egizi.

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Il vaso di terracotta, il farro antico e la birra. Tutte le foto sono dell'autrice.

“Nel museo abbiamo trovato i modelli, i recipienti, le cannucce, così come i resoconti degli scavi archeologici dedicati,” racconta Charles. “Hanno analizzato al microscopio i residui nei recipienti, cercando anche di capire l’ordine degli ingredienti, i vari mix e così via. Hanno dedotto e messo su un plausibile processo di birrificazione.”

Il team si è in seguito approcciato a un’altra modalità di lavoro, forse un po’ inusuale ma sicuramente d’impatto: l’antico inno a Ninkasi, la Dea della Birra. Scolpito accuratamente su tavolette d’argilla, l’inno spiega dettagliatamente e passo dopo passo il metodo egizio di fermentazione. Stando a svariati testi egizi dell’epoca, la birrificazione era un rituale giornaliero per Ninkasi, che detta così alle mie orecchie sembra effettivamente una delle cose più spirituali mai sentite prima.

“In quest’inno, che risale al 1800 A.C., si delinea perfettamente il processo di birrificazione,” spiega Marks. “Si è rivelato un’ottima guida per noi!”.

Nonostante la guida divina, però, non sapevano come sarebbe andato a finire l’esperimento. Alcuni storici credono che gli antichi egizi bevessero una birra molto densa, dalla consistenza simile al porridge, ma Marks, Charles e Boyle la pensano diversamente (anche grazie alle ricerche effettuate per il progetto).

Amavano la loro dea della birra,” continua Marks, menzionando inoltre il mito secondo cui a una dea parecchio arrabbiata venne data della birra rossa (macchiata con del melograno), per placare la sua sete di sangue umano.

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“Se l’avessimo resa troppo densa, non solo avrebbe contenuto troppo amido, ma la gente avrebbe preferito non berla. Lo stesso vale per una birra ipoteticamente troppo fermentata, perché il suo sapore sarebbe risultato eccessivamente forte e nessuno l’avrebbe bevuta comunque,” racconta Marks.

Michaela Charles e Tasha Marks al birrificio AlphaBeta nell'East London.

“E quindi ci dicevamo, così non può funzionare,” prende la parola Charles. “Ci siamo messe a pensare a come fare, sapevamo che gli egizi l’avessero resa quantomeno bevibile. Dopotutto avevano costruito le piramidi, no? Abbiamo dato un’occhiata ai processi di birrificazione e tutto è venuto da sé quando li abbiamo messi in pratica.”

Come mi spiega subito dopo Charles, il metodo di birrificazione degli antichi egizi era molto più semplice del nostro, che prevede il riscaldamento dell’acqua e del grano fino a una certa temperatura per controllare la produzione di zuccheri e d’alcol.

“Gli antichi egizi facevano così: prendevano un po’ di cereali e li piazzavano nell’acqua fredda. Ne prendevano altri e li mettevano nell’acqua calda. Poi scaldavano quelli nell’acqua già calda e li univano a quelli nell’acqua fredda. Filtravano in un recipiente, fermentavano et voilà, il tutto senza bolliture né sterilizzazioni varie. Vai alla cieca con il metodo dell’Antico Egitto.”

Per creare il prodotto finale, che ci metteva due giorni per fermentare, il team di lavoro ha ben pensato di dividerlo in due lotti diversi. Uno non aromatizzato e uno invece infuso con ingredienti che, comunque, erano disponibili nell’Antico Egitto, come il pistacchio, i petali di rosa, il cumino, il coriandolo e il sesamo. Usufruendo di grosse tinozze in terracotta che quasi sembrano vasi per le piante, il team ha così mischiato chicchi di farro (precursori del grano) all’orzo maltato dell’Antico Egitto (proveniente dal British Museum), regalandoci una delle birre più epiche di sempre.

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L'orzo e i pistacchi utilizzati per la birrificazione.

Gli antichi egizi gustavano la birra subito, poco dopo la fermentazione, direttamente dalla tinozza e servendosi di una cannuccia. E una replica di quei vasi in terracotta è qui vicino a noi, sul tavolo di fianco.

“Annusa, senti l’odore,” mi consiglia Marks passandomi il vaso, il cui contenuto stenderebbe chiunque, anche quel vostro amico altissimo che gioca a rugby e regge qualsiasi alcolico.

Procedo annusando. “Presenta un forte aroma da lievito naturale,” affermo con il mio fare da piccola borghese.

Pronta la birra, il team l’ha imbottigliata in piccoli contenitori di vetro scuro, che mi ritrovo ora davanti. Marks ne versa un po’ nei bicchieri. La birra è chiara e un po’ frizzante, sembra quasi vino. Ne prendo un sorso. Sorprendentemente, è bilanciata ed effettivamente sa parecchio di vino. È davvero perfetta per questo periodo dell’anno.

Il prodotto finito.

Quindi “cin” agli antichi egizi e anche “cin” a Ninkasi. Ne bevo ancora un po’. È aromatica e priva del classico retrogusto di luppolo che moltissime birre presentano. Finisco il bicchiere, stappiamo un’altra bottiglia. “È sorprendentemente buona!” esclama Charles. “Noi stessi ne siamo rimaste stupiti.”
Concludo qui la degustazione. Gli antichi egizi forse erano in grado di reggerne svariati litri, io mi fermo prima che la situazione mi sfugga di mano.

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Quest'articolo è originariamente apparso su Munchies UK.