Musica

Incredibile, la TV italiana è riuscita a intervistare bene Massimo Pericolo

Ieri sera, a L'assedio, Daria Bignardi ha finalmente trattato un rapper da essere umano e da artista invece che da criminale, drogato e capro espiatorio per i mali della società.
massimo pericolo bignardi
Screenshot dall'intervista di Daria Bignardi a Massimo Pericolo su NOVE a L'Assedio

Magari dico una banalità, ma fare le interviste bene è davvero difficile. È una cosa umana e di passione, che impari a fare con il tempo. Devi essere empatico, curioso, originale, ma anche incalzante e sveglio. Tipo, per fare un esempio da nerd, devi essere Nardwuar. E per fare un esempio non da nerd devi essere Daria Bignardi nell'intervista di ieri a Massimo Pericolo, nel corso della sua trasmissione L'Assedio.

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Le interviste in video, poi, sono una bestia diversa. Per iscritto modifichi, fai le perifrasi, cancelli le frasi; in video al massimo tagli, però solo dove la realtà e la conversazione te lo permette. Le interviste in diretta TV sono il boss finale del giornalismo musicale—non puoi tagliare niente, devi dire tutto bene subito, non puoi andare lungo, sai di essere guardato da millemila milioni di persone in cui ci sono sì persone che ti conoscono ma anche un sacco di gente che non ti si fila e devi convincere a non cambiare canale.

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Un'immagine dall'intervista di Daria Bignardi a Massimo Pericolo, cliccaci sopra per guardare il video su DPlay

Ora, di interviste a Massimo Pericolo ne sono già uscite un sacco—pure una sulla RAI, che ha fatto più di un milione di views su YouTube. Nonostante questo, Vane è un ragazzo che, come mette in chiaro fin dalle prime parole che dice alla Bignardi, deve ancora abituarsi alle attenzioni e alle telecamere: "A essere sincero mi sto pisciando sotto proprio", dice, e lei lo tranquillizza: "Dovremmo essere preoccupati noi!" È il colpo d'inizio di venti minuti davvero ben fatti—cosa eccezionale quando si tratta di intervistare un rapper in televisione in Italia.

In Italia, infatti, il rapporto tra hip-hop e piccolo schermo è sempre stato problematico e continua tristemente ad esserlo. Anche se ormai pure i nonni sanno chi sono Ghali e Sfera Ebbasta i loro media di riferimento—i giornali di carta, le televisioni—continuano a usare "il rapper" come facile bersaglio di polemichette su temi che generano indignazione, su tutti la droga. Negli ultimi tempi hanno fatto scuola, in negativo, il trattamento mediatico della strage alla discoteca di Corinaldo e la stupida crociata di Striscia La Notizia contro Achille Lauro e la sua "Rolls Royce"—accusata in modo completamente fazioso di essere un "inno alla droga".

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I giornali di carta, le televisioni—continuano a usare "il rapper" come facile bersaglio di polemichette su temi che generano indignazione, su tutti la droga.

Ecco, la droga: quella che Pericolo dice di fumarsi dopo aver mandato affanculo la scuola in "7 Miliardi". Invece di partire da lì, dal nervo scoperto, la Bignardi mette Pericolo a suo agio: lo incalza, ma senza attaccarlo. "Chi ti senti di rappresentare?" "Ti senti sfortunato?" "Aspetta, raccontaci, qual era la situazione di sfortuna?" E poi gli lascia tempo di parlare e argomentare, permettendogli di respirare ed esprimersi senza il fiato sul collo.

Quando viene fuori la musica, poi, si parte da "Sabbie d'oro", cioè il pezzo che racconta meglio chi è Massimo Pericolo e perché piace così tanto a così tanta gente—per il suo testo che mischia poesia cruda e biografia spietata, per il suo beat vellutato, per la sua esistenza bianca accanto a quella nera di "7 Miliardi". La Bignardi la usa come spunto per fare domande difficili, ma lascia a Massimo il tempo di spiegarsi: gli chiede perché lo hanno arrestato (per spaccio), perché lo faceva (per soldi), perché ne aveva bisogno (per vivere). Non lo ferma quando dice "sbirri" o "gabbio", non fa l'avvocato del politicamente corretto quando lui spiega perché crede sia disumano chiudere persone per anni dietro alle sbarre di una cella, o tra le mura di casa propria.

Guarda la nostra intervista a Massimo Pericolo, alle Sabbie D'Oro e nei luoghi di "7 Miliardi":

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Un'altra cosa bella è il modo in cui la Bignardi inquadra l'esistenza di Massimo Pericolo e della sua musica, cioè all'interno della conversazione culturale più che di quella dello spettacolo. In questa intervista il rapper non è il freak che fa musica che piace ai giovani e va spiegato ai vecchi, è semplicemente un artista. La Bignardi cita, con ottimo e triste tempismo, il critico letterario Harold Bloom: "Quello che importa è la grande letteratura, non quella che raddrizza o che dice cose politicamente corrette. Gli artisti devono raccontare il mondo, non devono aggiustarlo". E così "7 Miliardi" non è più uno spauracchio, è solo racconto e verità.

Va lodato anche il modo in cui la Bignardi parla con Pericolo di salute mentale. Lo spunto viene dalla barra "Sto metà dell'anno al buio, questo è il Polo Nord": "Sei stato depresso?", lei chiede, e lui risponde con calma e onestà. Spiega come ne è uscito e come i farmaci, presi perché prescritti da un medico, lo hanno aiutato. Quando nel discorso entra l'abuso e si fa un collegamento con la droga potrebbe scattare un allarme, anche perché la pubblicità incombe, ma la Bignardi gestisce bene la conversazione: ferma Pericolo e gli chiede di aspettare, per sviscerare meglio il tema.

Un'altra cosa bella è il modo in cui la Bignardi inquadra l'esistenza di Massimo Pericolo e della sua musica, cioè all'interno della conversazione culturale più che di quella dello spettacolo.

E in effetti, proprio questo succede: Pericolo parla di come la droga e gli psicofarmaci spaventino chi non li conosce, senza glorificarne l'abuso ma semplicemente parlando della loro realtà. Che è, coincidenza vuole, il punto del grande dibattito sul rapporto tra droga e rap in Italia e nel mondo. Non ci sono giudizi o pregiudizi, c'è solo uno spazio di conversazione che viene riempito con naturalezza da una conduttrice esperta e un ragazzo incredulo di trovarsi lì.

Perché è questo, poi, il punto—all'inizio dell'intervista, Pericolo lo dice proprio: "Appartengo a una categoria di persone che la televisione la guarda e non la fa. Sono contento per le persone che penso di rappresentare con la musica che faccio. La gente sfortunata." Ed ecco, se questo processo di rappresentazione passa da YouTube alla televisione non possiamo che esserne felici. Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.