Musica

I Godspeed You! Black Emperor sono leggenda

Si può fare la storia della musica con dischi senza dentro una parola, incazzati con il capitalismo e suonati da un'orchestra anarchica? Bé, sì.
LC
Berlin, DE
godspeed you black emperor
Godspeed You! Black Emperor; fotografia di Yannick Grandmont (2010)

I Godspeed You! Black Emperor si esibiranno il 18 novembre ai Magazzini Generali di Milano. Sarà la data d'apertura di Linecheck Festival, dove ci troverete giovedì e venerdì a parlare di salute mentale, diversità e musica.

Approcciare una band come i Godspeed You! Black Emperor non è cosa da poco. Magari ci si arriva dietro raccomandazione di quell’amico le cui playlist includono tracce da venti minuti l’una di rumore bianco destrutturato, o magari attraverso la connessione della loro musica ad altre discipline artistiche come la cinematografia—lì dove le esibizioni dal vivo del gruppo sono accompagnate sullo sfondo da proiezioni analogiche curate da registi sperimentali. Ricordare un nome così lungo è difficile, come complesso dall’esterno appare comprendere i significati e la portata espressiva del suono che propongono.

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Contrariamente alle apparenze, i GY!BE godono del potere dell’immediatezza: il primo ascolto di una qualsiasi delle loro tracce è un pugno nello stomaco, è il vagito di un neonato che schiude le vie respiratorie e inala il mondo per la prima volta. Incarnano il concetto di sublime, quel qualcosa che desta un’idea di dolore e di pericolo, e consequenzialmente produce l’emozione più forte che l’animo sia in grado di provare.

I Godspeed incarnano il concetto di sublime, quel qualcosa che desta un’idea di dolore e di pericolo.

Efrim Menuck, Mauro Pezzente e Mike Moya si sono incontrati a Montréal nei primi anni Novanta. Decisero di unire le rispettive passioni in un trio amatoriale alle prese con acerbe pubblicazioni su musicassetta e show da una manciata di presenti. Con il tempo, data dopo data sono entrati in contatto con altri artisti e musicisti sino a maturare il progetto di rendere la propria opera sinfonica, allargandola da tre persone ad un’orchestra arrivata a contare negli anni sino a quattordici membri. La formazione permanente, raggiunta nel 1998, ha aggiunto Aidan Girt e Bruce Cawdron alla batteria, Thierry Amar al basso assieme a Mauro, Dave Bryant e Roger Tellier-Craig alle chitarre e Norsola Johnson e Sophie Trudeau agli archi.

Il loro debutto, interamente autoprodotto, è arrivato ormai 22 anni fa, nel 1997. Si chiamava F#A#∞, che si pronuncia F sharp A sharp infinity. Riguardandolo oggi, aveva tutte le carte in regola per essere un oggetto di culto: era interamente autoprodotto, terminava su un loop infinito (da cui il titolo), aveva nella confezione dei foglietti su cui erano scarabocchiati schemi, idee, proclami—e un penny canadese schiacciato da un treno. Confezione a parte, F#A#∞ è ad oggi una pietra miliare di quel grande contenitore che possiamo chiamare post-rock. E parlo di un contenitore, più che di un genere, perché nella musica dei GY!BE è racchiuso un corollario di sfumature, sensazioni, idee, messaggi dal carico emozionale ed intellettuale possente e pesante, che oltrepassa i confini della semplice riproduzione sonora registrata su un supporto discografico.

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La copertina di F#A#∞ dei Godspeed You! Black Emperor, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

I GY!BE fanno musica sperimentale con la ferma intenzione di non limitarsi a dipingere un contesto. La loro musica, anche se quasi priva di parole, è piena di contenuti sociali e politici derivanti da una riflessione profonda sulla modernità e le sue strutture, verità e contraddizioni.

Più che un gruppo musicale, sono un collettivo provocatorio. Non si accaniscono contro il capitalismo occidentale per se o per circondarsi di un’aura di élitarismo che li renderebbe intellegibili (e probabilmente gradevoli), soltanto ad una nicchia ristretta ed autoreferenziale. I Godspeed personificano il proprio credo, lo mettono in pratica in una lotta contro gli individualismi che prende forma in una struttura numerosa e non gerarchicamente ordinata, ma armonicamente intrecciata.

I GY!BE fanno musica sperimentale con la ferma intenzione di non limitarsi a dipingere un contesto. La loro musica, anche se quasi priva di parole, è piena di contenuti sociali e politici.

Il concetto è essenziale, crudo, sincero. I GY!BE sono nati in una dimensione DIY che non hanno mai abbandonato, alimentata da uno spirito punk di supporto e aiuto reciproco fra elementi di un’unica comunità ("Siamo una band. Non siamo 'solo una band', siamo una band. Noi contro il mondo"). Brutalmente lucidi, rimangono fedeli ad una forma di misantropia avversa al successo raggiunto in oltre un ventennio di carriera non concedendo accessi gratuiti ai giornalisti ai loro concerti affinché ne scrivano, o collaborando soltanto con etichette indipendenti e negozi di dischi attenti alla sostanza più che alla forma.

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E poi rifiutano interviste, foto per la stampa e pomposi clamori attorno ai capolavori che compongono: un esempio su tutti è la bagarre mediatica scaturita dal “rifiuto” della band ad accettare il prestigioso Polaris Music Prize, premio assegnato annualmente al miglior album canadese, loro riconosciuto per Allelujah! Don’t Bend! Ascend! del 2012.

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La copertina di Allelujah! Don’t Bend! Ascend! dei Godspeed You! Black Emperor, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Colti di sorpresa, i GY!BE non si sono presentati alla cerimonia di premiazione. Hanno invece rilasciato poco dopo una dichiarazione di ringraziamento verso chiunque avesse votato in favore della loro vittoria, ma hanno rimarcato la propria estraneità al sistema di assegnazione di premi musicali basato sulla competizione fra artisti e culminante in ricche cene di gala comandate dai vertici dell’industria discografica.

Un atteggiamento criticato come snob e spiritualista al quale hanno risposto traducendo parole in azioni, destinando la somma oggetto del premio al finanziamento di programmi di educazione musicale nelle prigioni del Quebec. D'altro canto, ad un gruppo che non ha un cantante, né un leader, circondato dalla mitologia e fedele alla linea, cosa potrebbe importare di apporre una stelletta d’oro al bavero della camicia massmediale?

Ad un gruppo che non ha un cantante, né un leader, cosa potrebbe importare di apporre una stelletta d’oro al bavero della camicia massmediale?

I Godspeed non preferiscono il proprio bene a quello di chi li supporta, ma parlano direttamente ai fan in prima fila perché sono stati essi stessi fan in prima fila. La loro visione lucida e pragmatica del reale non è pessimismo verso un possibile miglioramento: il loro lavoro è drammatico, tenebroso, ma sempre carico di un’imponente forza di speranza e amore verso il prossimo. Basta ascoltare "Antennas to Heaven…", con il suo slancio verso la pace e il cielo, che arriva dopo i saliscendi brutali di "Storm", "Static" e "Sleep".

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Siamo di fronte a un gruppo politico nel senso etimologico del termine, cittadino, attento al bene collettivo e alle proprie responsabilità artistiche nel tradurre coscienza e attivismo in musica (“Music should be about things that are not OK, or else shouldn't exist at all”). Esternano la reazione ad un clima ottimista quale quello degli anni Novanta subito dopo la caduta del Muro di Berlino, con Clinton alla presidenza americana ed il boom economico internazionale. Da ragazzi, hanno visto luccicare questa cornice d’oro e di promesse di democrazia liberale ma ne sono rimasti all’esterno, e hanno trasposto in musica fantasie apocalittiche e pessimismo romantico.

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La copertina di Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven dei Godspeed You! Black Emperor, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

I GY!BE non suonano tracce, ma lunghe sinfonie multi-strato in cui danzano assieme chitarre, percussioni ed elementi elettronici. Sul palco orchestrano atti di un’opera teatrale senza testo, resa al pubblico attraverso emozione ed immagini. Dietro la band, infatti, durante i live ruotano proiettate in loop pellicole ritraenti scenari desolati e decadenti, lande disabitate o pezzi di ambientazioni suburbane immortalate su cieli grigi.

Ogni performance è una lezione di storia contemporanea, l’ascolto di un loro disco è tempo dedicato a comprendere una causa morale e intellettuale: nell’artwork dell’album del 2001 Yanqui U.X.O., ad esempio, un diagramma connette le principali etichette discografiche ai responsabili mondiali della produzione di armi—come quelle sulla copertina del disco, le "Yankee Unexploded Ordinance", o bombe americane ancora non esplose.

Preso atto dell’esistenza di una band come i Godspeed You! Black Emperor nell’universo, non è possibile muovere passi indietro.

Ancora, nella famosissima cover del secondo disco Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven, firmata dall’artista William Schaff, figurano due mani troncate dai polsi nella posizione di catalizzare uno scoppio o esplosione; aprendo la copia fisica dell’album, l’illustrazione prosegue mostrando una tetra figura in abiti eleganti tagliare le mani ad un uomo seduto ed affranto, allegoria del sistema capitalista che riduce l’individuo ad uno stato di schiavitù.

Preso atto dell’esistenza di una band come i Godspeed You! Black Emperor nell’universo, non è possibile muovere passi indietro. Si passa alla contemplazione, come dinanzi ad un’opera d’arte, di una delle meraviglie del mondo fatte musica, lasciandosi riempire ossa, pelle, carne di straripante magnificenza sonora e sensoriale. Avendo a disposizione del tempo libero in un pomeriggio uggioso, la raccomandazione è di mettere su uno qualsiasi dei loro lavori e lasciarlo scorrere lento, fiorire nei diversi movimenti che lo compongono; aprite la finestra e guardate la vita scorrere al di fuori, il mondo sembrerà persino meno spaventoso di com’è.

I Godspeed sono canadesi, e il Canada è la nazione ospite di quest'anno a Linecheck Festival—il che significa che a BASE, a Milano, ci saranno un sacco di eventi e concerti al sapore d'acero. Qua tutte le info. Laura è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.