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Droga

Cosa avete sbagliato con una figlia eroinomane - Lettera ai miei genitori

"Ho bisogno che accettiate che siete in parte responsabili per come è andata la mia vita."
Elizabeth Brico. Foto per gentile concessione dell'autrice.

C'è una parte di me—una gran parte—terrorizzata alla prospettiva di scrivere quello che sto scrivendo. Non so se leggerete queste parole, e tantomeno so se vi sembreranno mai qualcosa di più che un lamento e un'accusa. Solo un'altra litania di scuse. E so che vi ho dato tutti i motivi per potervi aspettare questo da me.

Perciò, la prima cosa che vi chiedo è di fidarvi. Non sto cercando di mettere in piedi scuse o bugie. Non sto cercando di manipolarvi, anche se farebbe meno male pensare a queste parole come a una manipolazione. Ma sto davvero cercando di dirvi una cosa importante. Per favore ascoltatemi.

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Voglio che sappiate che anche quelle mattine in cui mi svegliavo con un bruciore velenoso nello stomaco—quando sei un tossico, è l'astinenza che ti sembra un veleno, non la droga—non ho mai dimenticato la bambina di belle speranze che ero. È sempre stata con me, anche quando viveva nel corpo di una persona malata, tremebonda. I miei sogni erano ancora tutti lì, intatti. Anche allora volevo fare grandi cose—per rendervi orgogliosi. Ma dovevo prima smettere di stare male.

Sapete di cosa parlavamo sempre io e i miei amici quando ci facevamo insieme? Di cosa avremmo fatto una volta che fossimo stati puliti. Non vedevamo l'ora. Sembrava vicinissimo—davvero a portata di mano—il momento in cui avremmo scritto quel bestseller, o vinto qualche riconoscimento come costumista, o aperto una casa-rifugio per giovani bisognosi. Ci attaccavamo a quei sogni come quando eravamo piccoli, quando voi ci credevate ancora. Non avevamo idea di come sarebbe stata davvero la disintossicazione. Quando eravamo fatti, ci sembrava che sarebbe stato semplice.

Quando ero nei miei momenti peggiori, più brutta che mai—le labbra molli, la testa ciondoloni, le palpebre semichiuse su pupille che giravano impazzite come un pinball nelle orbite—speravo che mi avreste abbracciato. E invece, voi ve ne siete andati. Non vi biasimo. È una visione orribile, lo so. Forse sarebbe stato più facile se avessi trovato il modo di dirvi che ero solo nascosta. Che quando ero in quel luogo oscuro e ovattato dietro quella faccia brutta, mi sentivo tranquilla, sicura, intoccabile.

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Nella sua analisi del relativo successo che il Portogallo ha avuto nel contrastare le morti legate al consumo di oppiacei, Susana Ferriera scrive che il progresso del paese può essere attribuito ad alcuni fattori di base, di cui uno è il riconoscere a livello sociale che "la relazione malsana di un individuo con le droghe spesso nasconde rapporti fragili con le persone care, con il mondo che lo circonda, e con se stesso."

In quasi tutti i libri e i volantini che ci hanno messo in mano agli incontri di auto-aiuto, ai centri di disintossicazione, anche in alcuni studi di psicologi, abbiamo letto della necessità di ricostruire i rapporti con amici e familiari. Troppo spesso, comunque, il fardello viene posto tutto sulle spalle di chi si disintossica. Questa visione disequilibrata dei rapporti umani che coinvolgono tossicodipendenti è evidente dall'uso di parole come "accettazione", "responsabilità" e "comprendere te stesso."

Ma io ho bisogno che anche voi comprendiate voi stessi. Che accettiate che siete in parte responsabili per come è andata la mia vita. Negli incontri di AI-Anon, la versione per tossici degli Alcolisti Anonimi, ti dicono che devi credere che "Non ho causato la dipendenza, non posso controllare la dipendenza, non posso curare la dipendenza."

È vero che non posso controllarla. Una volta che ho sviluppato una dipendenza, che è un disturbo psicologico, ci voleva ben altro che la mia famiglia per tenerla sotto controllo. Ma è irresponsabile da parte vostra pensare di non aver in alcun modo contribuito alla dipendenza. Quando ho cercato di parlarvi di depressione, a 14 anni, avete preso in mano un libro e mi avete ignorato—avete contribuito alla mia dipendenza.

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Quando vi siete incazzati nel vedere le bruciature che il mio ragazzo mi infliggeva a 17 anni, minacciandoci entrambi invece che dirmi che mi amavate e che mi meritavo di meglio—avete contribuito alla mia dipendenza. Quando vi ho detto che mi avevano quasi violentata e voi mi avete risposto che era una bugia—avete contribuito alla mia dipendenza. Quando ci sono ricaduta, e voi mi avete fatto vergognare per questo—avete contribuito alla mia dipendenza.

Cominciano a sembrare accuse. E so che alla gente non piace; è difficile ascoltarle. In un'intervista a Time, lo specialista di dipendenze Gabor Mate ha parlato di come i genitori possano contribuire alla dipendenza dei figli in modi che non riescono nemmeno a controllare: "Il genitore non deve essere perfetto. Nella nostra società, non è [solo] questione di capire se i genitori stiano facendo del loro meglio, o amino i figli, perché sono spesso isolati o stressati o troppo preoccupati dal lato economico per essere presenti. Quello che dico è che la carenza emotiva in giovanissima età è la base universale di tutte le dipendenze."

Ero davvero arrabbiata con voi, perché mi pareva che mi aveste fottuto. Per molto tempo vi ho odiato. A volte, nei momenti peggiori, vi odio ancora. Ma oggi riconosco che siete umani. Non penso più che dovevate essere dei supereroi, o perfetti. Non è questione di colpa o biasimo. Ora capisco che avete sempre fatto del vostro meglio. Voglio solo che capiate che lo stesso vale per me.

Se voglio liberarmi dalla dipendenza, devo lasciare la morsa dei vecchi risentimenti e concentrarmi sulle cure. Ma voglio anche che smettiate di pensare che mi state "aiutando" con il vostro amore. Io ho bisogno che voi mi amiate davvero. Ho bisogno che mi diate una quantità illimitata di possibilità. E questo significa prendere atto delle mie parti peggiori, e decidere che rimarrete lo stesso al mio fianco. Significa ascoltare quando dico, "È troppo, aiutatemi."

Non significa darmi soldi, o acconsentire alle richieste che vengono chiaramente dalla bocca della dipendenza, ma significa abbandonare l'idea che ho bisogno di 'tough love', un amore che faccia male. L'amore di questo tipo spesso conduce a nuovi traumi, che rendono la dipendenza ancora più difficile da scalzare. Mi chiedo se avrò mai il coraggio di chiedervi apertamente quello di cui ho bisogno. Per ora, non riesco a essere più coraggiosa di così. Per ora, mi fermo qui, e vediamo cosa succede.

Questo articolo è tratto da Tonic.