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Tennis

Che tu possa spaccare cento di queste racchette, Serena Williams

Quanto successo alla finale dell'US Open di questo weekend dimostra che il tennis ha ancora dei problemi con il sessismo, il primo dei quali è che non vuole ammetterlo.
Screenshot via YouTube.

Guarda Naomi Osaka, che ha appena vinto 6-2 6-4 contro la campionessa Serena Williams, farsi schiacciare dai "boo" del pubblico e dalla netta sensazione che nessuno, né il comitato che le stava consegnando il premio né le persone sugli spalti, fosse lì per lei. Guarda la tennista giapponese scoppiare a piangere e nascondere la faccia dietro la visiera, e Serena Williams con la voce rotta a sua volta chiedere al pubblico di tenere a mente che "[Osaka] ha giocato bene e questo è il suo primo Grand Slam […] e diamo a ognuno i suoi meriti, e non fischiamo più." Guarda Osaka, 20 anni, chiedere praticamente scusa per avere vinto quando "tutti tifavano per [Serena]."

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Ecco, prima di concentrarci su Serena Williams mi preme ricordarti che uno dei grandi problemi della nostra società è che quando una donna arriva a rappresentare qualcosa la "separiamo" automaticamente dalle altre donne, pensiamo che "non è come le altre", e magari diamo per scontato che le vada bene sentire uno stadio intero invalidare la vittoria di una donna non-bianca come lei, invece che prendersela con l'unico responsabile della situazione, cioè l'arbitro. E invece Serena Williams sa che dal suo grande potere derivano grandi responsabilità nei confronti delle donne, soprattutto non bianche, e non le va giù che la giovane atleta debba sentirsi sbagliata come si è sentita lei mille volte nel mondo del tennis.

Quello che è successo prima di quegli imbarazzanti nove minuti è ovunque: sabato, nel corso della finale dell'US Open 2018, l'arbitro di sedia Carlos Ramos ha dato alla tennista più forte del mondo tre "falli" che, seppur previsti da regolamento, solitamente non trovano applicazione nelle competizioni maschili. Il primo è il cosiddetto fallo di "coaching" che le è valso un warning—ovvero, il suo allenatore Patrick Mouratoglu le avrebbe fatto dei segnali per spingerla a giocare più sottorete: ha ammesso a ESPN di averlo fatto, ma ha aggiunto che "si fa sempre" ed è una common law nel tennis; Williams da parte sua ha fatto notare in conferenza stampa che non avendo gli occhi del falco le sarebbe stato comunque impossibile percepire cosa il coach le stesse segnalando dall'altra parte del campo e seminascosto dagli altri nel box. Il secondo fallo, con warning a seguire, è stato commesso quando nel secondo set Williams in un momento di frustrazione ha spaccato la racchetta a terra—provocando a valanga il terzo, commesso quando Williams è andata dall'arbitro e gli ha detto: numero uno di non aver mai commesso il fallo di coaching, numero due di non avere mai imbrogliato in vita sua, e numero tre di essere lui, Carlos Ramos, "un ladro," visto che i ripetuti warning si erano a questo punto tradotti nella penalizzazione di un game.

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Ora, il punto non è se questi falli siano stati commessi o meno. Serena Williams non è andata per il sottile. Il punto è che se seguite il tennis saprete che diversi tennisti uomini sono noti per sentirsi e comportarsi con gli arbitri e con le proprie racchette come Achille che attacca Ettore al suo carro per i talloni e fa le vasche nella polvere intorno alle mura di Troia, e può capitare non di rado di assistere a esplosioni di rabbia anticotestamentarie e spesso non punite tipo:

Certo non è la prima volta che Ramos fa saltare i nervi a qualche giocatore: per citare solo un episodio, Nadal infuriato l'aveva minacciato che non avrebbe mai più arbitrato una sua partita. Ma in questo caso, come fa notare Sally Jenkins sul Washington Post, Ramos "non poteva accettare che fosse una donna ad accusarlo e parlare in tono aggressivo. Quindi le ha dato un terzo fallo per 'abusi verbali' e l'ha penalizzata di un intero game, e a quel punto erano 5-3, e non sapremo mai se la giovane Osaka ha davvero vinto l'US Open 2018 o se gliel'ha consegnato un uomo che aveva deciso di far sentire il proprio potere a Serena Williams. Un fatto ben più grave di qualunque altro commesso da Williams."

Forse è vero che, come fa notare la tennista italiana Flavia Pennetta sulla Gazzetta dello Sport, i tempi sono cambiati e ora le regole vengono fatte rispettare—ma non penso che abbia ragione quando esclude "assolutamente" il movente sessista nelle decisioni arbitrali. Perché come dice in conferenza stampa Serena Williams (ribadendo che l'avversaria "stava giocando molto molto bene" e "meritava di vincere"), "ho visto uomini chiamare gli arbitri in vari modi un sacco di volte, e io sono qui a combattere per i diritti delle donne e per l'uguaglianza, e il fatto che [Carlos Ramos] mi abbia penalizzato di un game per averlo chiamato 'ladro' mi è sembrato sessista: non ha mai tolto un game a un uomo per averlo chiamato 'ladro.' Ma continuerò a combattere per le donne, perché possiamo toglierci la maglia senza avere una penalità—è oltraggioso! Penso che quello che sto affrontando possa essere d'esempio per la prossima persona che avrà delle emozioni e vorrà esprimersi ed essere una donna forte, e potrà farlo anche grazie a oggi. Perché magari non è andata bene a me, ma andrà bene alla prossima persona."

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Che nel tennis il doppio standard ancora esista non mi pare un argomento su cui avere opinioni discordanti in quest'estate in cui a fare notizia insieme ai consigli balneari e culinari del nostro Ministro degli interni sono state le tenniste che vengono sanzionate perché decidono di togliere la maglia in campo per rimetterla dal verso giusto, o Serena Williams che viene analizzata e a posteriori redarguita passivo-aggressivamente dal commissario del Roland Garros (che l'atleta aveva appena vinto) per la tutina nera Nike con cui non solo dimostrava che anche nel tennis le donne dovrebbero poter decidere del proprio corpo e di come mostrarlo, ma si prendeva cura della propria salute. Ma voglio lasciar stare la salute: Serena Williams è una delle atlete migliori del mondo, ed è una donna afroamericana che forse senza nemmeno sapere della loro esistenza si è stufata di poter finire sulle pagine di libri di erotizzazione emotiva del tennis e delle donne "più fascinose" che lo giocano.

"Il punto non è la tutina o la maglietta o la racchetta rotta e nemmeno il titolo dell'US Open. Sono i modi in cui gli abiti e i corpi e il comportamento e l'espressione e il tono delle donne—soprattutto delle donne non bianche—sono ancora considerati indisciplinati se non si conformato alla limitata visione della femminilità stabilita dagli uomini," scrive Rebecca Traister su The Cut. "Soprattutto se quell'essere indisciplinate adombra una minaccia diretta all'autorità maschile."

Quanto alla stampa italiana, mentre negli Stati Uniti si cerca di problematizzare l'avvenuto non ha trovato di meglio da fare che dire "eh ma comunque Serena Williams i falli li ha commessi." Ecco, proprio la nazione dei 60milioni di allenatori di calcio, quelli che ancora stanno a rintuzzare le decisioni arbitrali di Moreno in una partita di 16 anni fa; quegli stessi che proprio questo weekend quando un pilota di MotoGP ha praticamente tentato di uccidere un avversario hanno declassato il suo gesto a "raptus" e hanno parlato di "battaglia" e di "perdita di lucidità"—perché sono cose che i maschi d'altra parte fanno, perché sono combattivi e a volte si sa il coraggio sfocia in ardimento. Quando Materazzi e Zidane si sono scontrati a insulti e testate in una finale dei Mondiali come i peggio tamarri dell'Orsa Maggiore in provincia di Lecco nessun quotidiano sportivo si è permesso di usare la parole "psicodramma".

E sì, mi dispiace essere così chiaramente esausta e schierata, ma è perché quella partita di calcio la giocavano solo uomini, anche se per nessuno di loro è ancora stato creato un borsone con la dicitura "AKA QUEEN".

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