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Cinque punti per capire la caduta di Afrin

Cosa sta succedendo nell'enclave curda di Afrin, in Siria? E perché non lo si può ridurre a uno scontro tra Turchia e forze curde?
Un momento della caduta di Afrin. Foto via Twitter.

In questi ultimi giorni, sulle nostre bacheche Facebook è comparsa migliaia di volta la parola “Afrin,” accompagnata da analisi, appelli a occuparsi della questione e intense polemiche—soprattutto sull’atteggiamento della stampa occidentale nei confronti dei miliziani curdi: osannati quando combattono ISIS, e “dimenticati” quando sono attaccati da altri soggetti.

Ora, orientarsi in quello che sta succedendo in Siria è già di per sé complicato, e la caduta di della città di Afrin—controllata dall’ala siriana del Pkk, e conquistata dall’esercito turco dopo un’offensiva lanciata lo scorso 20 gennaio—complica ulteriormente il quadro.

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Il 24 marzo, inoltre, si terrà il Global Action Day for Afrin. Per provare a capirci qualcosa, ho provato a mettere in fila un po’ di fatti e a ricostruire il contesto generale.

COME SI È ARRIVATI A QUESTO PUNTO

Partiamo dalla collocazione geografica: Afrin è il capoluogo dell’omonimo distretto siriano incastonato tra il confine turco a nord e a ovest, la regione di Idlib a sud e il resto di quella di Aleppo a est. Fin quasi dall’inizio della crisi siriana sette anni fa, le forze curde locali col sostegno del Pkk si sono ritagliate un’autonomia di fatto sia politica e militare, collegata a quella delle altre regioni curdo-siriane nel nord-est del paese.

L’offensiva turca “Ramo d’Ulivo,” paventata da molto tempo, si è mossa su tutti i fronti del confine turco e da quello meridionale di Idlib, dove la Turchia ha già una presenza militare e gode dell’appoggio di milizie locali anti-curde.

In poco meno di due mesi, l’avanzata delle truppe di Ankara e dei loro alleati ha raggiunto il centro abitato di Afrin, costringendo decine di migliaia di civili a fuggire. Secondo l’Onu almeno 100mila civili sarebbero ancora intrappolati nelle zone del conflitto, in parte prigionieri delle milizie filo-iraniane di stanza in due località tra Afrin e Aleppo e controllate dagli Hezbollah.

È di fatto impossibile verificare le informazioni sul terreno in maniera indipendente, perché tutte le parti belligeranti diffondono cifre e dati in larga parte alterati nel quadro delle rispettive propagande di guerra. Fonti concordanti riferiscono di circa 60 militari turchi e cinquecento miliziani filo-Ankara uccisi, a fronte di un migliaio di miliziani curdi e circa 50 miliziani filo-governativi siriani. Variano molto anche le cifre sui civili uccisi, che vanno dai 300 ai 500 in otto settimane di conflitto.

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A ogni modo, l’operazione militare turca è parte di una più ampia manovra di spartizione della Siria occidentale in zone di controllo da parte di Russia, Iran e Turchia con il coinvolgimento diretto e consapevole di attori siriani di varie comunità confessionali (sunniti, sciiti) ed etniche (arabi, curdi), di varie appartenenze politiche (opposizione, governativi) e affiliazioni regionali e internazionali.

CHI SONO LE PARTI IN CAUSA

Come accade in quasi tutti i conflitti, le parti in causa sono molteplici e si posizionano a diversi livelli: locale, nazionale, regionale e internazionale. La lotta per Afrin non può essere infatti ridotta a uno scontro tra Turchia e forze curde, così come non può essere descritta soltanto come il risultato di una decisione a tavolino in Kazakistan—dove, dal gennaio del 2017, Russia, Iran e Turchia si ritrovano periodicamente per definire la spartizione della Siria occidentale.

In base all'accordo, la Turchia si assicura il controllo del nord-ovest della Siria, inclusa Afrin; l’Iran e la Russia rafforzano invece la loro influenza e controllo nella Siria centrale, costiera e parte di quella meridionale. Ecco perché mentre la Turchia avanza su Afrin, le forze governative siriane sostenute da Iran e Russia avanzano sulla Ghuta a est di Damasco, con le milizie locali filo-turche che si sono di fatto arrese ai lealisti. In base all’accordo di Astana, la Turchia ha di fatto anche ceduto a Iran e Russia la parte orientale della regione di Idlib vicino ad Afrin.

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Sul piano regionale, la contesa è principalmente tra la Turchia, membro della Nato, e il Pkk. La formazione curda, considerata terrorista da Ankara, sin dall’inizio della crisi siriana nel 2011-12 ha preso il controllo dello scenario politico e militare dei territori siriani a maggioranza curda. In tal senso, la lotta per Afrin è anche, ma non solo, un confronto interno alla Turchia esportato sul territorio siriano.

A livello regionale non bisogna poi dimenticare il ruolo dell’Iran, che con le sue milizie siriane (Comitati popolari) e libanesi (Hezbollah) partecipa direttamente allo scontro e—pur avendo sottoscritto l’accordo con Russia e Turchia—cerca comunque di infastidire Ankara per guadagnare credito sul piano politico.

Sul piano nazionale e locale, i miliziani curdi che difendono quel che rimane del distretto di Afrin sono per lo più siriani, inquadrati nelle cosiddette Forze di protezione popolari (Ypg), anche se tra i quadri più alti ci sono combattenti turchi del Pkk. C’è anche da sottolineare che la questione di Afrin ha per la prima volta spinto i curdo-siriani a chiedere protezione al governo di Damasco dopo decenni di ostilità e tensione reciproche e soprattutto flagranti violazioni dei diritti delle comunità curde da parte delle autorità centrali siriane. Damasco ha sì detto che intende difendere la sovranità nazionale, ma a parte l’iniziativa di propaganda dell’invio di “Forze popolari” non è stato mosso un dito in difesa di Afrin.

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Dall’altro lato della trincea, ci sono invece le milizie arabe e turcomanne cooptate da Ankara. Sono profondamente anti-curde e da tempo hanno perso ogni connotato di “opposizione nazionale” al governo siriano. Operano nel nord-ovest siriano come ascari filo-turchi, senza più alcun legame con un “esercito libero”, che in verità da tempo di libero non ha più nulla rispetto alle prime fazioni di disertori dell’esercito governativo formatesi dall’estate del 2011. Alcuni gruppi di questi miliziani alleati della Turchia sono jihadisti, altri sono meno estremisti ma esprimono comunque una visione rigorosa e poco tollerante del sunnismo politico.

COSA VOGLIONO LE PARTI IN CAUSA

Ciascuno degli attori citati ha una propria visione e obiettivi particolari, che in alcuni casi convergono con quelli degli altri attori coinvolti nella contesa di Afrin, e in generale in quella siriana e mediorientale.

La Russia vuole rimanere arbitro e attore protagonista della guerra e della pace in Siria, con un’attenzione prioritaria alla parte centrale e occidentale. Gli Stati Uniti sono interessati all’est e sostengono apertamente i curdo-siriani in funzione anti-IS, ma non possono ignorare il ruolo che la Turchia può svolgere in eventuali operazioni Nato nella regione.

La Turchia intende rafforzare ed estendere il suo controllo ai suoi confini meridionali, in particolare nelle aree siriane del nord-ovest. La priorità strategica di Ankara è di assicurarsi la presa dei territori a ovest dell’Eufrate, inclusa la sacca di Manbij, tra Aleppo e l’Eufrate, attualmente controllata dall’ala siriana del Pkk e difesa da un contingente di truppe americane. È attorno al destino di Manbij che si giocherà la partita turco-curdo-americana nei prossimi mesi.

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L’Iran, che controlla ampie zone della Siria centrale e occidentale (da Aleppo alle pendici orientali del Golan vicino a Israele, passando per Hama, Homs e Damasco, lambendo il confine col Libano degli Hezbollah), vuole ribadire la sua posizione di potenza regionale egemone tra il Mediterraneo e l’Iraq, non solo in funzione anti-israeliana e anti-saudita ma anche per controbilanciare la tradizionale presenza turca nell’area.

I curdo-siriani e i loro padrini del Pkk intendono assicurare la continuità territoriale tra i “cantoni” a est dell’Eufrate con l’enclave di Afrin per dare sostanza al progetto di territorio semi-autonomo nell’ambito di una Siria organizzata su base federale. Damasco, che respinge ogni progetto federalista, per ora non può far altro che sostenere tatticamente i curdi in funzione anti-turca, ma nel lungo termine (se potrà) concederà assai poco alle istanze autonomiste curde. Le milizie filo-turche invece sperano di ritagliarsi all’ombra di Ankara una zona di potere politico e socio-economico ma sembrano prive di una visione strategica nel lungo termine.

COSA SUCCEDE NEL RESTO DELLA SIRIA

Come accennato, il conflitto siriano è diviso in due macro-zone. A ovest, i russi d’accordo con iraniani e turchi si stanno spartendo—seppur non ufficialmente—le aree lungo l’asse Daraa-Aleppo fino all’Eufrate. A est, i curdi sostenuti dagli Stati Uniti controllano la parte che va dall’Eufrate al confine con l’Iraq, ricca di petrolio, gas naturale, risorse idriche. E nei prossimi mesi è possibile che questo lato del conflitto si riaccenderà tra Iran, Russia e governo siriano da una parte, e curdi e americani dall’altra.

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Ciascuno cercherà di cooptare clan e tribù della zona per accaparrarsi quante più risorse possibili a ovest e a est dell’Eufrate. Al sud la Giordania, col placet di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele, controlla a dovere le milizie anti-regime a Qunaytra e a Daraa. Queste, assieme a una presenza di gruppi jihadisti affiliati all’IS a ridosso delle Alture del Golan controllate da Israele, sembrano costituire una barriera militare all’espansione dei Pasdaran iraniani nel sud-ovest della Siria.

COSA PUÒ SUCCEDERE DOPO LA CADUTA DI AFRIN

La Turchia punterà a imporre un controllo diretto sui territori del nord della Siria che si trovano a ovest dell’Eufrate, facendo pressione sugli Stati Uniti perché ritirino le loro truppe e di fatto costringano il Pkk a ritirarsi a est dell’Eufrate.

Nel resto della Siria, molto probabilmente il baricentro del conflitto si sposterà da ovest (Ghuta, Afrin) verso est, lungo l’Eufrate, dove curdi sostenuti dagli Usa e governativi appoggiati da russi e iraniani tenteranno di avere la meglio per il controllo dell’area ricca di risorse energetiche.

In generale, la spartizione di fatto della Siria in zone di influenza e controllo proseguirà. Si rafforzerà il ruolo del terzetto di Astana—Russia, Iran e Turchia—e gradualmente ogni sacca di resistenza anti-governativa nella Siria occidentale sarà piegata alla volontà degli accordi raggiunti in Kazakistan, con l’eccezione di Idlib affidata ad Ankara, e del sud-ovest in parte sotto l’egida della Giordania.

Difficilmente il Pkk siriano tornerà ad Afrin nel breve e nel medio termine. Così come sarà difficile che i civili curdi possano far ritorno in massa alle loro case. Alcuni rimarranno nel sobborgo curdo di Aleppo, altri raggiungeranno le zone a maggioranza curda a est dell’Eufrate, altri ancora fuggiranno all’estero.

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