Nel mercato nero dei cani di Pechino

Nel quartiere pechinese di Tongzhou si può trovare di tutto, dai barboncini ai labrador ai mastini tibetani. Ma non tutti i cani sono quello che i venditori dicono. Ad alcuni bastardini viene iniettata una soluzione salina per trasformarli in bellissimi esemplari di chow chow. Basta tosare e stirare un po’ la pelle di un pechinese per renderlo un perfetto shar pei. Ma gli esemplari più controversi, a prescindere dalla razza e la taglia, sono gli xingqi quan, i cani “da settimana”—animali che spesso muoiono nel giro di una settimana dall’acquisto a causa di malattie tenute nascoste o direttamente provocate dagli allevatori. Nel mercato canino di di Liyuan, questa è praticamente la norma.

“Il mercato dei cani dà lavoro a tutta Tongzhou,” mi ha detto Song, che vende cani per strada. Mentre pedalava lungo la Rixin East Road, si è fermato e mi ha indicato come raggiungere il mercato. Ma non prima di aver tentato di vendermi un corgi.

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Liyuan è il mercato canino più grande della Cina. Alla fine del mese verrà chiuso, ma per ora ogni martedì, sabato e domenica gli affari vanno a gonfie vele. Quando l’ho visitato, qualche mese fa, era giorno di chiusura. I negozi aperti erano pochi, ma c’erano lo stesso molti allevatori che vendevano cuccioli direttamente dal bagagliaio delle auto. (In una clinica veterinaria poco distante, il veterinario mi aveva detto che il mercato era già stato chiuso e mi aveva invitato a casa sua per vendermi un cane. Solo dopo aver ricevuto una dritta da un tirocinante della stessa clinica ho scoperto che in realtà il mercato era ancora aperto.)

Nel decennio successivo alla rivoluzione culturale, dal 1976 al 1986, in Cina era vietato possedere animali domestici. Oggi, a Pechino, avere un cane sembra essere tornato di moda. Secondo alcune stime, nella capitale cinese ci sarebbero 1,2 milioni di cani registrati—in una città con circa 22 milioni di abitanti. La Cina è anche il secondo paese al mondo per numero di casi di rabbia, e il Partito Comunista Cinese considera i cani di grossa taglia troppo “pericolosi“. Così, più o meno ogni primavera, il governo emana politiche restrittive contro i cani che misurano più di 30 centimetri al garrese, mentre i prezzi per registrare gli animali sono tenuti volutamente alti per scoraggiarne il possesso (al momento si aggirano intorno ai 130 euro per esemplare).

Anche se formalmente sconsigliato, il possesso di cani è comunque in crescita, e le persone comprano gli animali su internet o in mercati come quello di Liyuan. Il contrasto tra i compratori, disposti a pagare centinaia di dollari per un cucciolo di razza, e gli allevatori, disposti a fare soldi facili, è indicativo di quanto sia confuso e male organizzato il settore della vendita di animali domestici in Cina. Chiudere Liyuan è una soluzione di convenienza per un problema burocratico da tempo oggetto di critiche da parte degli animalisti.

I cuccioli venduti a Liyuan sono spesso oggetto di maltrattamenti—vengono svezzati troppo presto, nutriti con gli avanzi invece che con cibo appropriato, non vengono vaccinati o vengono vaccinati illegalmente e se si ammalano la malattia si diffonde facilmente negli stabilimenti in cui sono allevati. Inoltre, gli vengono spesso iniettati antidolorifici e stimolanti perché appaiano sempre vivaci.

La legge cinese sulla protezione degli animali specifica che i venditori che intendono commerciare in cani hanno bisogno di un permesso speciale, ma non offre nessuna indicazione riguardo a come debbano essere trattati gli animali. A complicare il tutto c’è il fatto che quello che succede nel mercato di Liyuan è di competenza di tre diversi ministeri, il che vuol dire che se i clienti fanno ricorso dopo aver comprato un cane malato si ritrovano in un vero e proprio incubo burocratico.

Gli attivisti hanno cominciato a chiedere la chiusura del mercato a ottobre del 2012, dopo che il Beijing Morning Post ha pubblicato un articolo sui metodi crudeli con cui vengono allevati i cuccioli a Liyuan. All’articolo—poi rimosso dal sito—sono seguiti altri pezzi scritti da attivisti animalisti in cui si denunciava la crudeltà degli allevatori. Lo scorso giugno, gli animalisti cinesi hanno organizzato una protesta, contattando anche la stampa internazionale, contro il festival della carne di cane di Yulin—una celebrazione del solstizio d’estate, nel corso della quale si consumano cani. A quanto pare, l’ottima organizzazione della campagna, che includeva anche una petizione in inglese a favore della chiusura del festival, ha innervosito le autorità. Alcuni commercianti hanno affermato che il mercato canino di Hongdian, nella vicina provincia di Hebei, è stato chiuso alla fine dello scorso novembre. A ciò seguirà la chiusura di Liyuan, forse in risposta alle proteste dell’opinione pubblica, e gli allevatori saranno costretti a vendere i cuccioli su internet oppure per strada, illegalmente.

In città non esiste nessuna organizzazione equivalente all’Ente Protezione Animali. Mary Peng, direttrice dell’International Center for Veterinary Services di Pechino, mi ha detto che “la gente compra gli animali su internet o nei mercati illegali perché non conosce altri modi di farlo.” Questo fa sì che gli amanti degli animali siano completamente alla mercè dei venditori abusivi di Liyuan.

“Ho comprato sei cani in questo mercato, e due di loro sono morti,” mi ha detto Sisi Guo. “Quando li compri sembrano in salute, ma quando li riporti, i venditori dicono che non è colpa loro ma tua. Non c’è modo di avere i soldi indietro.”

Il mercato di Liyuan non ha sempre avuto una cattiva reputazione, mi ha detto Huang Feng, un commerciante di animali. La sua famiglia lavora nel mercato di Liyuan da quando è stato aperto, negli anni Ottanta. All’epoca era il mercato canino più grande dell’Asia. Liyuan è stato chiuso diverse volte per via dei traffici loschi che vi si tenevano, ma i venditori ambulanti sono sempre tornati lì a vendere illegalmente i cuccioli dal bagagliaio delle auto. Dato che non era in grado di distruggere il mercato, il governo della città ha legalizzato i negozi di animali.

Il negozio di Feng è decorato dalle foto dei suoi husky, che hanno vinto alcune competizioni canine internazionali. Da parte sua non c’è troppa preoccupazione per l’imminente chiusura di Liyuan. Mi ha detto che più della metà delle sue vendite sono condotte su internet; inoltre, i suoi husky pluripremiati gli rendono circa 56.000 euro l’anno. Quando Liyuan verrà chiuso intende spostare tutta la sua attività su Taobao (l’equivalente cinese di eBay), risparmiando circa 8.000 euro all’anno di affitto. Nel peggiore dei casi, afferma, si metterà a vendere i cani lungo Rixin East Road.

Anche Weng, che vende barboncini dal bagagliaio della sua Volkswagen, intende continuare ad allevare e vendere cani. Quando le ho chiesto se ha mai venduto cani ammalati, ha scrollato le spalle. “Tutti gli animali muoiono,” ha risposto.

Xinxin Deng non era così ottimista riguardo al destino del suo cane. Aveva comprato un cucciolo durante le feste per l’anniversario della nascita del Partito Comunista. Tra gli oltre 300 venditori di labrador che si possono trovare su Taobao, aveva scelto quello con il maggior numero di recensioni positive. C’era scritto che i suoi cuccioli erano stati approvati dall’American Kennel Society.

Quando Deng, che ha 32 anni, ha deciso di incontrare il venditore insieme a suo padre, l’uomo non le ha fornito né il suo nome completo né l’indirizzo dell’allevamento. Si erano dati appuntamento in città, e da lì si erano spostati in una casa privata, alla cui porta li attendevano dieci omaccioni. In una piccola gabbia, all’interno, erano stipati 20 cuccioli di labrador. Solo uno di loro si muoveva. Il padre di Deng è entrato.

“Ci hanno detto, ‘Abbiamo perso un sacco di tempo a farvi venire qui per i cani, adesso dovete comprarli per forza’,” mi ha spiegato Deng. “‘Abbassiamo il prezzo, a quanto volete comprarli?’”

Due minuti dopo, il padre di Deng teneva in braccio l’unico cucciolo in grado di muoversi. L’hanno chiamato Dongguan—”melone invernale”, un frutto che nella tradizione cinese porta fortuna—e hanno lasciato all’allevatore circa 280 euro.

“Pensavo di potergli dare una vita migliore,” mi ha detto Deng.

Un mese dopo, Dongguan è morto di tosse canina, nonostante Deng abbia speso più di 1.000 euro in cure veterinarie. Ora Deng dovrà aspettare sei mesi prima di poter comprare un altro cane, perché il suo appartamento è a rischio infezione.

Dopo la morte del cane, Deng e i suoi amici hanno scritto un post per condividere la loro esperienza. Deng ha anche richiamato l’allevatore, facendo finta di avere un amico interessato a comprare un cane. A quel punto l’uomo le ha detto il suo nome e l’indirizzo del luogo dove sono tenuti i cuccioli. Deng ha registrato la conversazione e ha intenzione di fornire tutte le informazioni alla polizia. Tuttavia, non crede che avrà mai indietro i soldi che ha speso. Mi ha detto che è così che si comprano i cani in Cina. In più, il venditore sembra essere sparito da Taobao.

“Vorrei solo che venisse da me a chiedermi scusa,” mi ha detto Deng. “Non voglio i soldi. Voglio solo che gli allevamenti e i mercati canini illegali vengano chiusi.”

Realizzato con la collaborazione di Stan Aron, editor di That’s Beijing e autore delle foto. Segui Nona su Twitter: @ntepper90