Se devo essere completamente onesta, credo che chi ascolta metal non possa più permettersi il lusso di separare l’arte dall’artista. Il mondo in cui viviamo è sempre stato orribile, violento e ingiusto. Ci sono sempre state disuguaglianze, la maggior parte di noi è sempre stata sfruttata, le comunità ai margini della società hanno sempre sofferto l’operato di chi è al potere e vive una vita di privilegi che spesso non si è guadagnato. Io sono americana, e la terra su cui poggio i piedi ogni giorno è terra rubata, macchiata del sangue versato durante un genocidio colonialista. Queste sono verità che restano tali indipendentemente da chi sia alla Casa Bianca o in qualsiasi altro parlamento. Ma data l’era iperconnessa in cui viviamo, è veramente impossibile chiudere un occhio di fronte alle ingiustizie che ci vengono costantemente messe di fronte.
Abbiamo visto i bambini chiusi in gabbia. Abbiamo visto i corpi di uomini neri innocui e disarmati, stesi sull’asfalto delle strade, uccisi dallo stato. Abbiamo visto cimiteri ebraici dissacrati, moschee imbrattate, svastiche sui muri, organizzazioni razziste come il Ku Klux Klan marciare per le strade delle città degli Stati Uniti. Ho sentito molta gente parlare di come avrebbe opposto il fascismo negli anni Trenta, quando cominciarono a bruciare libri e ritirare passaporti. Bé, ora possiamo farlo sul serio. Certo, ascoltare musica composta da un razzista, un molestatore o un fanatico non è un gesto così grave da poter essere paragonato a una violenza. Ma supportare tacitamente (o esplicitamente) le ideologie violente che queste persone abbracciano è una pratica pericolosa, disumana e vergognosa? Sì. Ignorare intenzionalmente il peso che la politica ha sull’arte ti rende un codardo? Ancora, sì. Saper scrivere un buon riff di chitarra non ti scagiona, non è mai stato così e soprattutto non lo è ora.
Detto questo, probabilmente potete immaginare che cosa ne penso del fatto che gli As I Lay Dying, una band metalcore cristiana (se lo sono ancora), hanno deciso di riaccogliere il loro ex cantante, Tim Lambesis, uscito di prigione prima del tempo. Lambesis era stato arrestato nel 2013 dopo aver tentato di assoldare un poliziotto sotto copertura per uccidere sua moglie, da cui era separato. Si dichiarò colpevole e venne condannato a sei anni di carcere. A dicembre 2016 gli è stata concessa la libertà vigilata e ora gli As I Lay Dying lo hanno fatto cantare su un nuovo pezzo che si intitola “My Own Grave”, la mia tomba. Un titolo un po’ rischioso dato, insomma, il fatto che quest’uomo ha appena tentato di far uccidere sua moglie.
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La band ha poi pubblicato un video di mezz’ora in cui spiega la sua decisione di riaccettare Lambesis nel gruppo. Lo potete guardare qui sopra. Ogni membro dice la sua e a un certo punto il chitarrista, Nick Hipa, dice “Nessuno dimenticherà mai quello che ha fatto, ed è proprio così che doveva andare. Sarà un pensiero che accompagnerà Tim per tutta la sua vita… quando mi sono reso conto di chi fosse e di chi fosse diventato, mi sono sentito di lasciarmi dietro ogni cosa”. Si parla del processo di Lambesis e della sua condanna, ma nessuno dice nulla sul motivo di quella condanna, o parla della sua ex moglie o dei suoi tre bambini.
Molti hanno commentato negativamente la scelta del gruppo ma c’è stata anche una robusta fazione di fan che ha reagito positivamente al ritorno di Lambesis. Tra le risposte che hanno ottenuto su Twitter ce ne sono tantissime che gli augurano solo il meglio e alcuni invocano persino Gesù Cristo. Io ho detto la mia e una persona mi ha risposto, “Che altro può fare un trentasettenne? I suoi compagni negli As I Lay Dying lo hanno mollato e hanno formato un altro gruppo, i Wovenwar, quindi credo che il problema siano più loro che lui”. Il che ha senso solo se si pensa che “rockstar” sia l’unica carriera possibile per un uomo cis, bianco, sano e malapena di mezz’età negli Stati Uniti, sebbene con la fedina penale sporca.
Per essere chiari, avere la fedina penale sporca è una barriera decisamente difficile da affrontare per molti ex carcerati in cerca di lavoro (specialmente se neri o latini) ed è un altro brutale sintomo dello stato del sistema penale statunitense. Allo stato attuale delle cose Lambesis probabilmente avrebbe problemi a trovare un lavoro intellettuale e potrebbe doversi trovare un cosiddetto “lavoro di transizione” consigliatogli dal suo agente di custodia. Un altro commento che ho ricevuto faceva notare che Lambesis avrà bisogno di guadagnare abbastanza da sopravvivere e pagare gli alimenti ai suoi figli, il che è più che ragionevole. Ad ogni modo, questo non mi convince che abbia il diritto di ricominciare una carriera da musicista a tempo pieno, con un mare di fan che sbava ai suoi piedi. E che i suoi compagni di band non siano complici della diffusione di quest’idea.
Non credo che il carcere sia la risposta giusta per affrontare i problemi di uno stato; nessun essere umano dovrebbe mai restare rinchiuso in una gabbia a vita. L’obiettivo dovrebbe essere la riabilitazione e la guarigione dell’individuo, e quello che mi preoccupa del caso di Lambesis è che sembra non esserci traccia né dell’una né dell’altra. La sua immagine può essere stata riabilitata agli occhi dei suoi fan e di parte dell’industria musicale, ora che tra l’altro si è risposato. Ma a quale prezzo? È una questione spinosa e complessa e le mie risposte non sono certamente le uniche degne di essere ascoltate, ma non mi sembra che il sentiero intrapreso dagli As I Lay Dying sia quello giusto, anche se porgere l’altra guancia è un celebre precetto cristiano. Assurdo come si possa scegliere di scegliere delle piccole parti del cristianesimo e di usarle per giustificare anche i gesti più disumani, eh?
Ho chiesto un’opinione sulla questione all’etichetta del gruppo, la Metal Blade Records, ma si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni. Per ora, il mistero continua: che cosa succederà agli As I Lay Dying? Dovrebbe fregarcene qualcosa? Che cosa succederà quando andranno in tour o quando registreranno un nuovo album? La stampa ne parlerà? Tim Lambesis sta venendo perdonato perché ha commesso un crimine contro una donna? O perché il metalcore è un genere considerato superato e stantio, e non più tagliente e pericoloso come altri? O perché la sua band è stata importante per un grande numero di metallari della nostra generazione nel momento in cui stavano diventando metallari? Solo il tempo potrà dirlo, e trovo la cosa abbastanza frustrante.
Ma sarei stupida a scrivere tutto questo senza riconoscere che i metallari hanno storicamente creato spazi espressivi per razzisti, molestatori, fanatici e altra feccia. Alcune delle nostre leggende e tradizioni più apprezzate sono incentrate su odio e violenze e molti le hanno usato per lasciare segni indelebili sulla storia del metal, da Varg Vikernes in arte Burzum a quel razzista dei Malevolent Creation. Il problema è particolarmente sentito da chi ascolta black metal, dato che alcune delle figure più rispettate del genere sono persone orribili. O comunque persone che hanno fatto cose orribili.
Personalmente sono anni che cerco di capire la mia posizione sul tema e in passato ho certamente commesso degli errori. Oggi ho scelto di interrompere i rapporti con ogni artista le cui azioni o il cui credo politico non mi fanno sentire a mio agio nello svolgimento del mio lavoro e nella mia vita. Ma anche solo l’anno scorso, quando sono andata in Norvegia a intervistare Ihsahn degli Emperor, ho sentito un conflitto tra l’amore profondo che provo per la loro musica e la consapevolezza che ho del fantasma che aleggia su di loro. Quello di Magne Andreassen, l’uomo omosessuale che venne accoltellato e ucciso da Bård “Faust” Eithun, ai tempi compagno di band di Ihsahn, nel 1992. Sono quasi arrivata a decidere di non scrivere più l’articolo che dovevo scrivere.
È stato difficile. La prima volta che ho intervistato Ihsahn ero all’università e lo ricordavo come una persona gentile e premurosa. Quando mi si è palesata l’opportunità di incontrarlo di persona per parlare di uno dei miei album preferiti ho accettato senza pensarci due volte. Una volta arrivata in Norvegia, il giorno prima dell’intervista, ho parlato con dei metallari queer che mi avevano contattato dopo che avevo annunciato il mio incontro con Ihsahn su Twitter. Mi hanno detto che li avevo delusi e che, essendo io una persona che parla di metal senza limitarmi solo alla musica, dovevo comportarmi meglio. Inizialmente mi è venuto da mettermi sulla difensiva, ma sapevo che avevano ragione. Ho quindi deciso di fare il meglio che potessi per affrontare la situazione senza mettere a rischio il lavoro che ero stata mandata lì a fare. Ho contattato degli amici norvegesi che conoscono bene sia Ihsahn che Faust e abbiamo parlato della natura del male, della vita di Faust dopo il carcere, di come Ihsahn abbia interiorizzato quell’omicidio e del fatto che ci siano alcuni tra di loro che non riescono nemmeno più a guardare Faust in faccia.
Ho considerato il fatto che Faust non ha suonato su Anthems to the Welkin at Dusk, l’album di cui avrei dovuto parlare durante l’intervista. Ma sapevo anche che gli Emperor lo avevano ripreso nella band dopo che aveva scontato nove anni dei quattordici a cui era stato condannato. Ho pensato a come può essere avere 17 anni e scoprire che un tuo amico e compagno ha ucciso qualcuno. Andresti a denunciarlo o ignoreresti il problema sperando che scompaia? Che cosa può essere passato in testa a Ihsahn quando lo ha scoperto? Io mi sarei comportata diversamente?
Alla fine ho scritto quell’articolo. Capisco perché sono stata criticata e mi sento responsabile delle mie scelte. Non sono sicura che lo rifarei se mi venisse offerto oggi, ma queste sono esattamente le decisioni difficili che dobbiamo fare, gli errori che dobbiamo affrontare se vogliamo davvero un cambiamento. Tutti facciamo cazzate, prima o poi. La cosa più importante è fare qualcosa per rimettere ordine nel disordine che creiamo.
Ma come farlo? Non c’è una singola risposta e anche se mi conosco meglio che in passato mi ci è voluto un sacco per poter arrivare a questo punto. Si tratta di responsabilità e di politica, della voglia che hai di interagire, interrogare e persino abbandonare le cose che ami in nome di una maggiore e migliore comprensione del mondo, e di una riduzione del dolore. Ci sono un sacco di gruppi metal al mondo. Chiedersi se vale la pena ascoltarne uno problematico solo perché ha dei riff che spaccano è un passo tanto piccolo quanto cruciale. Comincia tutto da noi. Comincia tutto da te.
Questo articolo è comparso originariamente su Noisey US.
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