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Tecnologia

Perché nelle città italiane si vive meglio che nelle metropoli americane

Seguendo i 4 principi urbanistici della sociologa Jane Jacobs, un team di ricercatori ha analizzato la qualità della vita nelle città italiane.
Immagine via Daily Overview

Le città sono i luoghi in cui per strada è possibile incrociare gente di tutti i tipi a tutte le ore del giorno e della notte. Il modello per eccellenza di questo genere di vita urbana si è impresso nell'immaginario collettivo con le metropoli statunitensi del Ventesimo Secolo, come New York, San Francisco o Boston. Luoghi in cui la vita brulicava, letteralmente.

Eppure, già a partire dagli anni Cinquanta, gli approcci urbanistici razionalisti che non tenevano conto della dimensione umana rischiavano di eliminare la vita pedonale. Nel classico della sociologia Vita e morte delle grandi città del 1961, la scrittrice e attivista Jane Jacobs denunciava questi pericoli, celebrando il paesaggio urbano in cui si svolgeva il "balletto del marciapiede": una modo poetico per definire quella che riteneva essere espressione artistica spontanea, diversa per ogni città, in cui i singoli partecipanti improvvisavano performance indipendenti che finivano miracolosamente per comporre un tutto ordinato. In un momento in cui le zone centrali si stavano svuotando e la popolazione si spostava verso aree suburbane sempre più uguali tra loro, la Jacobs sottolineava quanto le comunità avessero bisogno di spazi il più possibile diversificati in cui muoversi a piedi, per favorire le interazioni casuali.

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Il testo è diventato nel tempo un riferimento assoluto, attirando allo stesso tempo molti pareri opposti. Negli ultimi anni, però, il tentativo di molti ricercatori è stato proprio quello di comprovare le tesi della giornalista tramite dati oggettivi e le possibilità offerte dalla tecnologia—questo studio, ad esempio, ha applicato le teorie della Jacobs a Seul, in Corea del Sud. E cosa dire dell'Italia? In fondo, la prima metropoli della storia è stata Roma. Com'è la vita urbana delle nostre città?

A pochi giorni dal centenario della nascita di Jane Jacobs, il 14 Aprile 2016, presso la International World Wide Web Conference di Montreal, un team di ricercatori italiani presenterà uno studio intitolato "The Death and Life of Great Italian Cities: A Mobile Phone Data Perspective" che si ripropone di rispondere proprio a questa domanda. Ho contattato Marco de Nadai (Uni Trento), Jacopo Staiano (Sorbonne Paris), Daniele Quercia (Bell Labs) e Bruno Lepri (FBK) per farmi spiegare come mai le città italiane sono considerate così vivaci e brulicanti ma sopratutto perché il modello americano di quartieri periferici con villette a schiera e giardini non lo è altrettanto.

Il team ha studiato le caratteristiche di Roma, Milano, Torino, Palermo, Bologna e Firenze. Le fonti dei dati analizzati sono le attività di telefonia mobile effettuate in una data zona, OpenStreetMap, i dati del censimento, i dati dell'Istat e le attività degli utenti di Foursquare. Per la prima volta, le quattro condizioni di Jane Jacobs sono state verificate nel contesto italiano, con metodi di raccolta dati semplici ed economici. Lo studio ha mostrato non solo la loro verificabilità ma soprattutto quanto siano ancora valide e applicabili nel contesto europeo.

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Per prima cosa, mi sono fatto spiegare quali sono i criteri con cui la Jacobs valutava la vitalità urbana all'interno dei quartieri delle città:

  • Mixed land use: un quartiere deve servire a molteplici funzioni—ad esempio, essere centro lavorativo, ma anche commerciale e culturale—in questo modo, una volta terminata la giornata lavorativa, le persone possono riversarsi in attività ricreative e commerciali come ristoranti, pub, teatri, evitando che il quartiere si svuoti.
  • Small blocks: un quartiere deve presentare isolati piccoli ed intersezioni stradali frequenti che rallentino le automobili e consentano di camminare evitando l'utilizzo dei mezzi di trasporto.
  • Aged buildings: edifici diversi per tipo ed età favoriscono la diversificazione anche nei costi di affitto e quindi favoriscono la coesistenza di persone e di imprese con redditi alti e bassi.
  • Concentration: una sufficiente concentrazione di persone e di imprese aiuta a rendere il quartiere interessante."

"Più occhi per strada a ogni ora del giorno diminuiscono i pericoli."

"Per rendere effettivamente interessante un quartiere queste condizioni devono presentarsi tutte insieme: ad esempio l'alta concentrazione di persone, di per sé, non rende un quartiere interessante e vivibile se manca la molteplicità di funzioni," mi ha spiegato Jacopo Staiano. "I vantaggi offerti da questa compresenza di caratteristiche favoriscono l'attività pedonale, l'economia locale ma anche la sicurezza dei cittadini a tutte le ore del giorno." Più occhi per strada a ogni ora del giorno diminuiscono i pericoli presenti in aree poco frequentate.

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Le città italiane sono molto differenti dalle metropoli americane o asiatiche come Seoul, e questo influenza anche i risultati dello studio "sembra che in Italia l'età degli edifici non sia un fattore così importante per rendere un vicinato vivibile, per esempio. Ciò è in contrapposizione con la teoria originale (statunitense) e con la città di Seoul, dove si era rivelata una delle condizioni indispensabili per favorire l'attività pedonale."

Anche le stesse città italiane analizzate hanno caratteristiche differenti tra loro "a Milano ogni quartiere è molto diversificato e dedicato a molteplici funzioni, mentre la situazione che emerge dai dati di Roma è opposta: i distretti appaiono molto specializzati (e.g. solo residenziale, quasi solamente commerciale eccetera). Tuttavia l'importanza relativa delle condizioni di Jane Jacobs sembra mantenersi costante per tutte le città esaminate," spiega Marco de Nadai.

"Un esempio in cui la teoria della Jacobs testata nei nostri esperimenti non funziona è l'area di Poggioreale a Napoli."

Com'era inevitabile, dallo studio non emergono solamente aspetti positivi "abbiamo osservato alcuni quartieri che registrano importanti differenze rispetto al comportamento del resto della città, solitamente queste aree possono essere viste come "ghettizzate"—un termine comunque da non intendere letteralmente. Un esempio in cui la teoria della Jacobs testata nei nostri esperimenti non funziona è l'area di Poggioreale a Napoli," mi comunicano i ricercatori.

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Invece, nel caso vi stiate chiedendo se i canoni della Jacobs possono essere applicati a città di dimensioni più piccole, la risposta è negativa: "Le città non si differenziano dalle zone suburbane solo per la maggiore densità abitativa. Ciò che le distingue dai paesi e dalle periferie è il fatto di essere, per definizione, piene di persone mai viste prima," mi ha spiegato Daniele Quercia citando il testo di riferimento, la Jacobs si è concentrata sulle grandi città, "dove la diversità di persone, di offerta e di interazioni sociali è incredibilmente alta," concludendo che per analizzare anche le città di provincia, "bisognerebbe adattare la teoria urbanistica," anche se ci sono delle esclusioni di tutto rilievo "alcune città molto importanti e metropolitane non sono presenti nel nostro studio, come Genova, Venezia, Bari e Catania. Cercheremo presto di allargarlo a tutte le città metropolitane, possibilmente estendendo l'analisi oltre i confini nazionali."

"La distanza media giornaliera percorsa dai cittadini di Accra, in Ghana, è passata dal chilometro degli anni Settanta ai 25 km del 1998."

Progettare città che rispettino i requisiti della Jacobs consente anche notevoli risparmi economici nella costruzione di infrastrutture per collegare aree sempre più distanti e nelle spese per la tutela della salute dei cittadini, come spiegato in un recente articolo apparso su Nature. Anche il team lo conferma "negli ultimi decenni stiamo osservando una pericolosa tendenza all'espansione delle città. Un problema considerando che gli abitanti devono spostarsi giornalmente per recarsi a lavoro o per cogliere le opportunità offerte dalla città. Un esempio è Accra, in Ghana, dove la distanza media percorsa dai suoi cittadini è passata dal chilometro degli anni Settanta ai 25 km del 1998. Se il trend dovesse continuare, il governo locale dovrà investire miliardi in infrastrutture e metropolitane."

Insomma, evitare di espandere eccessivamente in orizzontale le città consente anche di risparmiare grandi somme di denaro "molte città spendono ormai il 70% dei loro budget di trasporto in strade ed aree pensate per le automobili. Questo crea insicurezza, problemi alla salute e influenza la struttura e disposizione delle città per i prossimi decenni." Ecco svelata l'utilità delle teorie della studiosa, conclude il team "tramite l'analisi dei dati che ci circondano e tramite la comprensione di teorie come quella di Jane Jacobs, possiamo capire meglio la vita nelle città e comprendere i fattori che la migliorano o peggiorano. Progettare città dense e vivibili ha un impatto economico notevole: non solo sono maggiormente efficienti in termini di energia ed emissioni ma producono anche più PIL ed innovazione. È dimostrato."

In fondo, i dati di questa ricerca confermano il mio scetticismo quando mi imbatto in pubblicità che promettono soluzioni abitative del tipo "oasi di tranquillità immerse nel verde a pochi minuti d'auto dal cuore della città." Lo scambio non è per nulla vantaggioso, e per la quiete artificiale c'è sempre tempo. Sopratutto se ci si deve infilare in macchina per raggiungerla.