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Tecnologia

Bisogna adattare le piante al surriscaldamento globale

Gli elevati livelli di CO2 nell'atmosfera, surriscaldamento e siccità spingono le piante all'autodistruzione.
Immagine: stoma di una foglia di pomodoro/dartmouth.edu

La parola chiave qui è "adattamento"—si tratta di questo e non di una cura o una soluzione. Anzi, si tratta dell'avvio di un adattamento nelle piante, rese vulnerabili alle temperature in aumento e alla siccità dalla loro stessa biologia protettiva. Va detto che le piante, a causa dei livelli di CO2 in aumento nell'atmosfera, si separano a tutti gli effetti dall'atmosfera stessa, riducendo il numero di pori (tecnicamente gli stomi) che ricoprono le loro foglie. Il motivo logico dietro a questa strategia è che le piante perdono acqua per ogni molecola di CO2 che assorbono, con una proporzione di 200 a uno; quindi chiudere i pori significa arginare le perdite. È un beneficio a breve termine, ma se si guarda il quadro generale della sopravvivenza, e nel contesto del cambiamento climatico intenso, porta alla distruzione, dato che le piante grazie all'evaporazione dell'acqua portano avanti un meccanismo di raffreddamento, secondo uno studio pubblicato da Nature questa settimana.

Come molte cose che in natura vanno per il verso sbagliato, dai neurotrasmettitori nel cervello umano alla super ridondanza genetica, questo meccanismo delle piante è una reazione eccessiva. Tappare i pori mantiene l'acqua al loro interno, ma le piante hanno anche bisogno di farla uscire. "Dato che gli alti livelli di CO2 riducono la densità degli stomi nelle foglie, questo a prima vista sembra un beneficio per le piante, perché perdono meno acqua," ha spiegato alla conferenza stampa di San Diego l'autore principale dello studio Julian Schroeder, della University of California. "Però, la riduzione del numero degli stomi diminuisce la capacità delle piante di raffreddare le proprie foglie durante un'ondata di calore, attraverso l'evaporazione dell'acqua. Un'evaporazione limitata aumenta lo stress da caldo delle piante, e alla fine danneggia i raccolti."

Questo meccanismo non è di per sé una scoperta. Ciò che il team di ricerca ha rivelato, però, sono le radici genetiche di questo processo di limitazione dei pori. Il processo dipende da un ormone peptidico chiamato EPF2, che agisce come morfogeno sulle cellule staminali delle piante, cioè regola cosa e quanto di un determinato tessuto viene prodotto dall'essere vivente. La produzione di EPF2 è a sua volta regolata da un'altra sostanza chimica, il CRSP (CO2 Response Secreted Protease), che è una scoperta del tutto nuova.

"Abbiamo identificato il CRSP, una proteina segreta, che risponde ai livelli atmosferici di CO2," ha detto il coautore Cawas Engineer (sì, è il suo vero cognome). "Il CRSP gioca un ruolo fondamentale nella produzione degli stomi della pianta a seconda della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Potete immaginare che questo meccanismo di ‘rilevamento e risposta’ che riguarda CRSP e EPF2 potrebbe essere usato per modificare geneticamente delle varietà di raccolti che saranno più adattabili al clima globale presente e futuro in cui la disponibilità dell'acqua sta già scemando."

Allora è questo "l'adattamento": raccolti che non si bruciano nel probabile clima futuro della Terra perché siamo stati in grado di bloccare parte del loro genoma. L'idea della modificazione genetica come sistema di adattamento al surriscaldamento globale sarà senza dubbio impopolare, come molte altre strategie basate sugli OGM che continuano a uscire da laboratori e serre. Almeno rincuoriamoci che in questo caso non ci sia niente di "modificato" in senso stretto, ma si tratterebbe solo di placare un comando genetico autodistruttivo (e che distruggerebbe anche noi). Adattarsi o perire, come si dice: "l'evitabile imperativo della natura."