L’ultima volta che vi abbiamo parlato di Michael Jang è stato in occasione del suo progetto Summer weather. Un mese fa la Stephen Wirtz Gallery di San Francisco ce l’ha riproposto con la sua nuova mostra, The Jangs, che raccoglie foto scattate in California durante gli anni Settanta, quando Michael frequentava l’università. Le immagini, pur avendo come oggetto la sua famiglia, si distaccano dai soliti ritratti, e ci sono piaciute così tanto che abbiamo deciso di riproporvele in questa gallery.
VICE: Come hai iniziato a fotografare i tuoi familiari?
Michael Jang: È successo per caso. Stavo seguendo un seminario estivo di Lisette Model, che era stata insegnante di Diane Arbus. Pensavo mi sarei occupato di street photography, dal momento che ero stato fortemente influenzato dal lavoro di Lee Friedlander e Garry Winogrand, così come della Arbus. Per poter seguire le lezioni mi ero trasferito a casa di alcuni parenti, che si sono immediatamente rivelati un campione molto interessante. Da allora, scattare foto della mia famiglia è divenuto una costante di tutti i vari raduni e festività.
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Di solito però si tratta di fotografie tutte uguali. Come sei riuscito a renderle così interessanti? Tutto merito della tua famiglia? È un branco di matti?
Sì, sono matti. Ma a essere sincero, credo che se dietro la macchina fotografica ci fosse stato qualcun altro, il risultato sarebbe stato completamente diverso. Forse rispecchiano semplicemente il mio modo di vedere il mondo.
E Imogen Cunningham, come è finita tra i tuoi soggetti?
Frequentavo l’Istituto d’Arte di San Francisco, e un giorno la scuola aveva organizzato una gita a casa sua. Non ero un ventenne modello, e mi sono presentato lì con diverse ore di ritardo. Ma per lei non era stato un problema, e mi ha accolto in casa sua. Mi ero portato dietro un po’ di ritratti della mia famiglia. È venuto fuori che le sarebbe piaciuto fotografare mia zia Lucy, e dopo un po’ sono tornato con lei.
Fotografare la tua famiglia ti ha permesso di scoprire cose particolari sul loro conto?
Non so, non direi. Forse se fossi uno scrittore la cosa sarebbe stata più evidente. Ma queste sono fotografie.
Molte delle foto appartenenti alla serie appaiono piuttosto in linea con la street photography, nel senso che sembrano essere state scattate nel momento giusto. Eppure per farlo non sei dovuto andare in giro, era tutto lì, entro le mura di casa.
Ci sono un sacco di modi di dire sulla felicità e su come questa sia a portata di mano, ti stia sotto il naso e via dicendo. Se ho una capacità particolare, forse è quella si saper vedere ciò che spesso, dopo anni e anni in cui diamo per scontato certe cose, ci è invisibile.
Per sapere di più del lavoro di Michael, visitate il suo sito.
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