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Con la chiusura della cosiddetta rotta balcanica, l’Italia torna a essere un territorio privilegiato per i migranti in viaggio verso la Germania.
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La principale porta d’accesso verso il Nord Europa è rappresentata oggi dal valico del Brennero, che unisce il Trentino all’Austria: da qui, ogni notte, decine di uomini, donne e ragazzi tentano di oltrepassare il confine senza essere catturati dalla polizia.
Per raccontare da vicino questo snodo chiave tra il sud e il nord del continente, VICE News si è unito a un gruppo di nove migranti – sei ragazzi e tre ragazze, tutti imparentati tra di loro – provenienti dalla Somalia, nel tentativo di sfuggire alle ronde delle forze dell’ordine dell’Austria, che nelle scorse settimane ha reintrodotto i controlli alla frontiera.
I nove sono reduci da un lunghissimo viaggio della speranza — cominciato pagando 9000 euro, 1000 a testa, a Mogadiscio. Il gruppo è transitato prima da Bengasi e poi da Tripoli, in Libia. Qui, chi non aveva ancora versato la sua quota si è visto sequestrare il telefono dai trafficanti, che hanno contattato i genitori per ricattarli, minacciando di uccidere il figlio nel caso in cui i soldi restanti non fossero stati versati entro pochi giorni attraverso un Money Transfer.
I ragazzi somali sono sbarcati sulle coste della Sicilia nella notte fra il 20 e il 21 febbraio, durante un weekend di intensi salvataggi in mare da parte delle imbarcazioni impiegate nell’operazione di sorveglianza delle coste Eunavfor Med. Ironia della sorte, potrebbero essere stati salvati proprio da una nave tedesca, la FGS Frankfurt, che operava in quei giorni a largo delle coste sicule.
Arrivati al Brennero, i migranti tentano il passaggio della frontiera per due volte in due giorni. Il primo tentativo fallisce. Appena entrati in territorio austriaco, vengono infatti fermati dalla polizia, che li scheda e li trasporta all’interno di una vecchia caserma dismessa di confine: stipati in nove dentro una stanza sigillata dall’esterno con un lucchetto, per evitare che a nessuno venisse voglia di fuggire. La mattina dopo, vengono respinti – per usare un termine legale, riammessi – in territorio italiano.
Qui i nove sono stati schedati, e gli sono state prese le impronte digitali. Nei verbali, compilati dalla Polizia di Stato italiana e fatti firmare ad ogni singolo ragazzo, ci sono alcune incongruenze: una delle tre ragazze del gruppo, A. A., si dichiara maggiorenne, nata l’1 gennaio del 1998. A VICE News, però, la ragazzina rivela di essere minorenne: una menzogna, detta probabilmente per non incappare in qualche forma di custodia in Italia. Anche i poliziotti, comunque, sembrano non credere alla versione della ragazza, tanto che sul verbale scrivono “sedicente maggiorenne.”
Il pomeriggio successivo, quando li incontriamo sul Brennero, uno di loro ci chiede in prestito un cellulare per contattare il fratello, residente a Francoforte, e chiedere informazioni su come attraversare il confine senza incontrare i checkpoint dei vigilantes. Seguendo il suo consiglio, il gruppo sale a bordo di un treno che parte alle 20 dall’ultima stazione in terra italiana: si tratta di un convoglio delle ferrovie austriache, Österreichische Bundesbahnen (OBB), che dovrebbe raggiungere Monaco di Baviera nell’arco di due ore e mezza.
Secondo il fratello, a bordo di questo treno il gruppo non dovrebbe incrociare le task force congiunte di polizia austriaca e tedesca che da qualche settimana pattugliano i convogli per identificare i migranti irregolari e bloccarli prima che si addentrino nel territorio nazionale. Tali task force austro-tedesche, secondo gli accordi siglati, possono recarsi se necessario fino a Verona — purché siano accompagnate forze dell’ordine italiane che garantiscano, con la loro presenza, la legittimità della giurisdizione.
La strategia dei nove sembra funzionare. Sul treno di polizia non c’è traccia. I ragazzi si scambiano sorrisi e abbracci, convinti di avercela fatta. Per loro, questa è l’ultima chance: entro le 12 di venerdì 11 marzo, si devono recare presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Bolzano, e cominciare il lungo procedimento – che in Italia può durare anche fino a un anno e mezzo, quando in gioco c’è la richiesta di asilo politico – per “chiarire la propria posizione di soggiorno in territorio nazionale.”
La mancata comparizione li costringerebbe al pagamento di un’ammenda fino a 516 euro. Il problema, però, li riguarda solo parzialmente — dopo avere investito tutti i loro risparmi per cambiare continente, mi dicono, nelle tasche non gli resta che un centinaio di euro a testa.
A frenare gli entusiasmi, però, è un controllore delle OBB, il quale, non appena vede i nove ragazzi senza ticket ferroviario, si reca nel vano inter-vagone e solleva la cornetta telefonica. Alla stazione successiva – Innsbruck Hauptbahnhof – cinque agenti di gendarmeria austriaca trascinano i somali con la forza giù dal treno, intimandogli di mostrare un passaporto che ovviamente non possiedono.
Da quel momento in poi mi è impossibile scattare foto, o parlare con i migranti. Un agente mi obbliga a cancellare alcune delle immagini che ritraggono il momento del fermo, mentre un collega di gendarmeria mi apostrofa così: “Qui a Innsbruck il vostro lavoro non potete più farlo come volete.”
I poliziotti ci forniscono solo il riferimento della centrale di Kaiserjäger Strasse, nel cuore del quartiere universitario di Innsbruck. È in questo edificio che i ragazzi vengono condotti, ed è qui che li vediamo per l’ultima volta — alle prime ore del mattino verrano trasportati in Italia su delle camionette, una seconda volta, per cominciare il procedimento di asilo.
Quale futuro per il Brennero?
Se nel 2015 la frontiera italiana di terra più problematica è risultata essere Ventimiglia – con il picco raggiunto la scorsa estate, in corrispondenza con lo sgombero del “No Borders Camp” -, nel 2016 questo infausto primato rischia di spettare al valico del Brennero.
Solo nella serata fra il 10 e l’11 marzo, oltre alla nutrita famiglia di giovani somali, VICE News ha assistito ai tentativi di transito di un ragazzo marocchino, un ivoriano e un altro proveniente del Bangladesh. Quest’ultimo è stato l’unico a sfuggire ai controlli a Innsbruck, perché in possesso di un biglietto cumulativo già pagato da Verona a Monaco di Baviera. Un biglietto caro che evidentemente ha rassicurato la funzionaria di OBB, la quale non ha nemmeno segnalato la sua presenza a bordo in territorio austriaco.
I numeri dei migranti in partenza che imboccano il corridoio del Brennero sono ancora piccoli, confermati dalle stime di queste settimane della Questura di Bolzano, che parla di una forbice variabile fra i 5 e 20 migranti al giorno che tentato il sorpasso della frontiera.
Una cifra che, seppur bassa, smentisce la voce secondo cui il Brennero non sia da considerare area di transito durante l’inverno: in Trentino-Alto Adige ha nevicato a inizio marzo, dopo uno degli inverni più “aridi” dell’ultima decade, ma i migranti hanno continuato il loro viaggio.
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Da circa tre settimane, inoltre, chi lavora nel mondo dell’accoglienza racconta ufficiosamente di piccoli gruppi di ragazzi, provenienti per lo più dall’Africa subsahariana, che tentano di ‘forzare’ i confini durante questa fase di calma apparente: alcuni scelgono la Svizzera, altri Bolzano e Bressanone. Il tentativo è quello di anticipare l’inasprimento sui controlli di frontiera e di retro valico da parte degli austriaci — dal momento che il Governo di Vienna ha già annunciato la presenza di cento agenti aggiuntivi provenienti dall’ex capitale asburgica per rinforzare le risorse di polizia tirolesi, che a oggi appaiono troppo esigue per gestire arrivi “di massa”.
Ci sono altri nodi cruciali che possono far sì che migranti, profughi e richiedenti asilo quest’anno si riversino sul Brennero: da un lato la drammatica impasse che tiene sotto scacco i Balcani e rischia di fare rinascere il business dei trafficanti di uomini nel canale di Otranto e degli sbarchi in Puglia, come avveniva con albanesi e montenegrini a metà anni Novanta.
Dall’altro lato la Francia, che nel 2015 ha già esercitato una prova di forza a Ventimiglia — ed è arduo pensare che voglia arretrare di qualche passo quest’anno, visto che sull’Eliseo e sulle prossime elezioni nazionali, datate 2017, incombe lo spettro del Front National e di Marine Le Pen.
Una novità: il flusso di rientro
Ma c’è soprattutto un terzo punto, chiarito a VICE News da una fonte di livello della polizia altoatesina, che ha accettato di parlare in condizione di anonimità: il Brennero non è più solo un valico di uscita, ma sta rapidamente diventando anche un valico di entrata.
Da qui rientrano in Italia i richiedenti asilo rifiutati dai sistemi di accoglienza dei paesi nordeuropei, perché provenienti da paesi non considerati in guerra dalla comunità internazionale, come Mali, Gambia, Niger, Pakistan e Yemen — nonostante il conflitto civile tutt’oggi in corso. La stessa Somalia non è affatto garanzia di un “sì” alla propria richiesta di asilo politico.
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Uomini e donne che, dopo un tentativo fallito in Germania o in Svezia, ritornano in Italia, dove c’è sempre qualche connazionale fermatosi durante il tragitto dal Maghreb o dal Corno d’Africa che può aiutare amici e parenti a trovare un lavoro e una sistemazione, anche solo per pochi mesi.
E in effetti basta dormire una notte alla stazione di Innsbruck per vedere africani e mediorientali che sostano per qualche ora, fianco a fianco con i senzatetto austriaci, per poi salire a bordo del primo treno per l’Italia alle 5:22 del mattino.
Ogni giorno se ne vedono una dozzina – solo una manciata in questo periodo, ma probabilmente aumenteranno, a mano a mano che più richieste di asilo vengono respinte – che con la loro saccoccia di vestiti sorpassano nuovamente le Alpi, questa volta verso sud.
“Per la Germania non ho diritto all’asilo e sono un irregolare da espellere. Allora me ne torno a Roma, dove mi è rimasto qualche amico,” spiega a VICE News Abbe, un ragazzo del Gambia che alle 6 di mattina aspetta il diretto per Verona Porta Nuova.
Una situazione a rischio
E se gli arrivi al Brennero saranno sia in entrata che in uscita, allora è prevedibile che in primavera-estate il caos sarà doppio: razioni di cibo e coperte da distribuire, identificazioni e impronte digitali, attivisti e accoglienza da gestire sono fra le principali voci di questo potenziale scenario.
Al momento, nel piccolo complesso di case attorno alla ferrovia del Brennero, c’è una sola struttura di accoglienza gestita dalla Volontarius Onlu: una capacità di circa 30 posti letto e pasti caldi al giorno, pochi se si tiene conto che nel picco massimo del 2015, fra arrivi da sud e riammissioni da nord, si è verificata in un caso la presenza di 450 migranti in meno di 24 ore.
Le forze dell’ordine locali lamentano la scarsità di risorse: da qualche settimana i giornali locali del Trentino-Alto Adige parlano di un possibile hotspot di confine, ma anche ammesso che questa scelta non dia adito a un’infinità di polemiche sul trattamento che viene riservato ai migranti all’interno di queste strutture, spesso al limite della detenzione, le fonti di polizia sentite da VICE News si dicono piuttosto scettiche sulla possibilità di realizzare l’hotspot. Per una ragione semplice: non ci sono i soldi.
Non ci sono nemmeno i fondi per acquistare le telecamere termiche, che servirebbero a controllare i cassoni di camion e autocarri che arrivano dall’Autostrada del Brennero, pur sempre uno dei principali sbocchi commerciali d’Europa.
Telecamere termiche che eviterebbero di dover far scendere l’autista ogni volta, aprire il cassone e magari rovistare fra le merci alla ricerca di persone nascoste — le proteste degli autotrasportatori, su questo fronte, si stanno già facendo sentire. Di solito queste telecamere vengono agganciate a delle gru, o della braccia meccaniche, e rilevano la presenza di calore umano senza bisogno di controlli lunghi e invasivi. Hanno un solo difetto: anche queste costano.
Il governo centrale di Roma pensa di risolvere queste carenze stanziando i soldi per pagare le ore di straordinari, dopo aver intrapreso una battaglia aspra con i sindacati di polizia nella fase di stesura dell’ultima legge di stabilità varata a dicembre.
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Ma anche un turno troppo lungo ha le sue controindicazioni, se questo significa frustrazione e stress eccessivo per gli agenti che sorvegliano una situazione che, da un momento all’altro, rischia di esplodere. Gestire uno scenario caotico, con turni da 12 ore a 1700 metri di altitudine, non è detto sia così facile.
Tutte ipotesi e numeri che aspettano di essere confermati dagli avvenimenti di quella che si annuncia come una “primavera calda” sul fronte immigrazione. E mentre in Italia si discute su quali risorse economiche mettere in campo, Vienna ha già annunciato ai partner europei le sue cifre, certe e non trattabili: non più di 80 rifugiati accolti ogni giorno e altri 3.200 transitanti — quelli che attraversano il territorio senza fermarsi per sconfinare in Germania.
In totale si tratta di 30.000 richieste di asilo accettate ogni anno, pari allo 0,34 per cento della popolazione del paese: numeri bassi, annunciati nei giorni in cui lo stesso Cancelliere austriaco, Werner Faymann, polemizzava con Angela Merkel sostenendo che “l’Austria non è la sala d’attesa dei profughi che vogliono andare in Germania”.
E non si litiga solo sui numeri ma anche sulla “qualità” degli arrivi: i rifugiati saranno selezionati, per nazionalità e caratteristiche (ad esempio privilegiando le madri con figli e in generale i nuclei familiari) prima che mettano piede in Austria.
Per Vienna questo è un modo di velocizzare le procedure burocratiche, senza far perdere tempo ai migranti senza i requisiti. Di fatto, come già accade in Germania, verranno accolti solo alcuni siriani, iracheni e afgani.
Per i nove somali, al contrario, non ci sarebbe quasi nessuna possibilità, nonostante il loro Paese e in generale tutto il corno d’Africa siano funestati da ondate periodiche di conflitti civile, dal fenomeno imperante della pirateria – di cui l’Europa è a conoscenza, visto che impiega i propri mezzi militari per difendere i mercantili privati – e dalla presenza di gruppi sempre più nutriti di fondamentalisti islamici, che danno la caccia anche ai musulmani moderati.
Musulmani moderati come i nove somali respinti a Innsbruck, i quali – affamati e senza soldi – non hanno esitato ad accettare un panino con il prosciutto. E quando ho chiesto a Mohammud se per la sua religione questo non fosse un problema, ci ha risposto: “Non mangio da un giorno intero. Allah non guarda a queste cose quando un uomo ha fame.”
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