Attualità

Come Internet ci si sta rivoltando contro

Secondo Luciano Floridi—uno dei maggiori esponenti italiani della filosofia della realtà digitale—l’essere umano è un hapax legomenon, una parola comparsa una volta soltanto all’interno di un intero testo: un evento irripetibile all’interno del tessuto stesso dell’essere. Per Floridi l’essere umano è un’eccezionale normalità, è l’unico istante del reale all’interno del quale l’essere diventa cosciente, libero e capace di agire per cambiare il corso del reale stesso.

Il nostro esistere, quindi, è la manifestazione del desiderio di porre freno al corso naturale delle cose: vogliamo fare la differenza. È una volontà intrinseca alla nostra umanità, e forse legata alla consapevolezza della nostra caducità. Per questo è fondamentale lasciare un solco nel naturale svilupparsi del reale, per fare in modo e sperare che il reale non si dimentichi del nostro passaggio.

Nonostante ciò, momenti come la scoperta del fuoco, della ruota o dell’America si trasformano in eventi al limite dell’auto-referenziale se messi a confronto con l’infinità dell’Universo. Ciò che potrebbe aver davvero scalfito la mole del reale è altro: e corrisponde ancora a un tentativo di conoscenza del diverso e comunicazione di sé agli altri.

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Per esempio, a partire dal 1900, quando per la prima volta nella storia Reginald Fessenden ha inviato un messaggio vocale attraverso l’etere grazie alle onde radio, l’uomo ha generato attorno a sé una fragile bolla di onde dal diametro di 200 anni luce: questa bolla è una delle più importanti manifestazioni dell’esistenza dell’uomo all’interno dell’Universo perché, di fatto, è il più imponente indizio della nostra presenza nel cosmo.

Ancora, il lancio della sonda Voyager 1—5 settembre 1977. Si tratta della prima sonda esploratrice del Sistema Solare lanciata dall’uomo, e al momento si trova a circa 20 miliardi di chilometri dalla Terra. Voyager 1 si spegnerà nel 2025, ma continuerà il suo viaggio interstellare per altri 30.000 anni, quando fuoriuscirà dalla Nube di Oort, una nube di comete considerata essere l’ipotetico confine del Sistema Solare. Voyager 1 è l’oggetto costruito dall’uomo più distante dalla Terra, e prima o poi verrà intercettato da qualche altro abitante di questo Universo.

Ma per non farci dimenticare del reale c’è bisogno di qualcosa di più. La nostra presenza all’interno dell’Universo potrebbe essere giustificata solamente dal verificarsi della singolarità tecnologica, ovvero l’istante in cui il progresso tecnologico di una civiltà accelera al punto da superare la comprensione e le possibilità di previsione della civiltà stessa. Un bel modo per mostrare alle altre galassie quanto grandiosi siano gli esseri umani, no?

È un punto di rottura, una dissonanza del reale in cui la nostra civiltà perde il controllo sulle tecnologie da essa sviluppate—il verificarsi di questo fenomeno potrebbe essere la prova definitiva che l’essere umano è esistito e ha agito. Ciò su cui serve riflettere è che, forse, una singolarità tecnologica si è già consumata. Ci siamo riusciti. Dallo spazio non si vede come una calotta di onde radio, ma come una rete di filtri attraverso la quale passa il nostro sapere.

È il 6 agosto 1991 quando, con la pubblicazione del primo sito web della storia, Tim Berners-Lee crea il World Wide Web, la più grande rete di interconnessione tra esseri umani mai vista. È l’avvento della information era, concepita nel 1991 e partorita nel 2004 quando internet, con la Web 2.0 Conference di Tim O’Reilly, diventa ufficialmente uno strumento di conoscenza attiva e alla cui ricchezza può contribuire ogni singolo terminale connesso alla rete.

Internet è una rivoluzione gnoseologica: ha permesso di accelerare a dismisura la velocità con la quale l’essere umano produce e assorbe informazioni, con un ritmo ai limiti dell’immaginazione: 2.5 milioni di nuovi post su Facebook, 277.000 tweet, 216.000 foto su Instagram, 200 milioni di email e 72 ore di nuovi video su YouTube—tutto questo succedeva, nel 2014, ogni 60 secondi. Vogliamo far sapere che ci siamo.

Non si tratta solamente di foto, messaggi, video o pensieri: la rivoluzione della information era ha fatto emergere una nuova necessità. Se da un lato è aumentato il ritmo di produzione delle informazioni, dall’altro la nostra capacità di consumarle è rimasta pressoché invariata. Le nostre capacità di apprendimento non sono al passo coi tempi, così abbiamo chiesto a internet, la causa di questo surplus di sapere, di risolvere il problema.

Filter bubble, in italiano bolla di filtraggio, è il termine utilizzato per definire l’insieme di filtri imposti sulla Rete per favorirne l’usabilità—il loro scopo è, letteralmente, filtrare i contenuti ponendosi tra noi, gli utenti, e loro, le informazioni. Abbiamo trasformato la rete in una vetrina di contenuti cuciti su misura per noi, gettando nel cesso il processo di decentramento della conoscenza che era avvenuto negli anni precedenti.

Per Mark Zuckerberg, “la morte di uno scoiattolo davanti a casa nostra ci importa di più di quella dei bambini in Africa”; questo perché il volume di informazioni sulla morte dei bambini in Africa—e su qualunque altro argomento distante dalla nostra quotidianità—presente su internet ci ha procurato una sorta di deficit dell’attenzione: per non perdere tempo abbiamo programmato degli algoritmi che possano apprendere i nostri interessi (i ‘mi piace’, le parole usate nei commenti, i tempi di permanenza sulle pagine) e restituirci notizie, informazioni e contenuti inerenti a essi.

“Ad oggi non ci è possibile sapere quali informazioni generiamo, come queste vengano interpretate, come siano usate per classificarci e secondo quali parametri vengano raccolte. E anche volendo, non abbiamo gli strumenti per poterci esprimere a riguardo—e se pure li avessimo, non ci sarebbero molto utili,” afferma Salvatore Iaconesi, ingegnere, artista e hacker, conosciuto per aver reso open-source tutte le informazioni relative al suo tumore al cervello e aver creato così una performance artistica globale in cui chiunque veniva chiamato a proporre la sua “cura” per la malattia, tutto per riappropriarsi di un’identità umana che il cancro gli stava portando via.

“Questi algoritmi di classificazione consistono in reti neurali e sistemi di machine learning: imparano a riconoscere delle forme secondo una loro interpretazione del mondo. Ogni singolo dato, è utilizzabile in senso utilitaristico—gli estremi di questo mercato operano all’interno della bubble; cercano di capire chi siamo per darci quello che vogliamo, quello che, secondo loro, è rilevante,” continua. “Dubito, però, che si rendano conto del concetto di diversità culturale che la bubble rischia di compromettere. Quando finisce la diversità gli ecosistemi muoiono: è vero tanto per piante e animali quanto per le nostre culture.”

La gnoseologia occidentale come fondata ai tempi di Platone sembra sconfitta da quella rivoluzione dell’informazione stessa che dovrebbe infine garantire l’accessibilità a qualunque risposta: fuoriuscire dalla filter bubble è uno sforzo “superfluo”, perché i contenuti che questa restituisce combaciano perfettamente con gli immediati interessi di chi li visiona. Inoltre, fare esperienza del mondo nella sua interezza non è solo terrorizzante, ma di fatto praticamente impossibile.

Si tratta infatti di calcoli empiricamente perfetti, pensati per tagliarci fuori—anzi, per tagliarci dentro a noi stessi. Poco importa la vastità di argomenti e punti di vista ai quali dovremmo essere sottoposti per sviluppare una coscienza critica sana e capace di garantire un progresso culturale lontano dai porti sicuri dei nostri preconcetti. L’internet regolato dalla filter bubble è un internet pieno di contenuti che non vengono indicizzati nei motori di ricerca—e in un mondo sempre più dipendente dal grande archivio di informazioni in rete, oscurarne una parte significa quasi interromperne l’esistenza. La domanda alla base della nostra società non è che cos’è? ma ti piace? E il nostro cervello condiviso, internet, cerca di rispondere a questa domanda ben prima di rispondere a una necessità gnoseologica. Nel caso più estremo il signor Piero, fervente razzista e simpatizzante online del movimento White Pride, potrebbe non trovare mai su Google contenuti anti-razzisti. La conoscenza, filtrata attraverso questa dinamica, entra in una fase di inevitabile stallo. È in questo circolo vizioso che si manifesta la singolarità tecnologica. L’insieme di algoritmi— che nei fatti serve a vendere spazi pubblicitari sempre più mirati, costosi e funzionali—non solo limita le possibilità di evoluzione dell’essere umano, ma soprattutto consegna a se stesso le chiavi per la propria sopravvivenza.

Per Iaconesi è necessario combattere la singolarità. “Dobbiamo essere noi a non cedere: non accettare un immaginario che arriva dal complesso industriale e lottare per cercare di mantenere quanta più autonomia e solidarietà possibile, lavorando insieme alla costruzione di scenari futuri non perché tecnicamente possibili ma scegliendo quelli che sono, invece, desiderabili, immaginabili, felici. Bisogna creare senso, insieme, non subirlo.”

“L’unica tendenza che osservo, invece, è la riduzione della vita a una serie di dati e informazioni, e al riemergere dell’immaginario dello scienziato capace di misurare tutto, in quanto è ‘fuori dal sistema’,” prosegue Salvatore. “Dopo gli enormi progressi della relatività, l’indeterminazione, l’etnografia e tutte le altre dimostrazioni che non si possa esulare dal sistema, e il senso di responsabilità e compartecipazione che questo induce, la visione che tende al determinismo da ‘big data’ mi sembra un passo indietro ingenuo e consumista.” Si potrebbe dire che internet ci voglia ammansire per continuare a espandersi grazie alla mole di informazioni che noi utenti vi immettiamo. Così, la rivoluzione gnoseologica della filter bubble ha permesso all’uomo di adempire al suo scopo, come immaginato da Floridi.

Quando l’intelligenza distribuita che costituisce internet prenderà il sopravvento e ci renderà strettamente dipendenti, infatti, quale testimonianza migliore del nostro passaggio nella Realtà potremo lasciare di quello di una civiltà caduta in rovina perché rovesciata dalla tragica perfezione delle invenzioni del suo intelletto?

Illustrazioni di Giacomo Carmagnola. Segui Federico su Twitter: @nejrottif