“Eravamo assieme per una ragione, per creare musica meravigliosa” sostiene McCoy Tyner in Chasing Trane, documentario sulla vita di John Coltrane, presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna qualche settimana fa. Questa missione universalistica della musica non solo contraddistinse le diverse reincarnazioni artistiche di Coltrane, ma anche i percorsi di altri musicisti (ad esempio Archie Shepp, Eric Dolphy o Pharoah Sanders) che collaborarono con il leggendario sassofonista prima dell’improvvisa morte nel 1967.
McCoy Tyner, pianista e compositore dello storico quartetto coltraniano dei primi anni Sessanta, fa parte a pieno diritto degli innovatori dell’idioma jazz: allo stesso tempo, nel corso della pluridecennale carriera, il nativo di Philadelphia non ha mai dimenticato di ribadire il legame con la tradizione musicale afro-americana.
Nato nel 1938, Tyner inizia a suonare il pianoforte a tredici anni: durante l’adolescenza, oltre a studiare i fondamenti dell’armonia classica, ascolta moltissimo Thelonious Monk e Bud Powell. Negli anni Cinquanta, la scena jazz di Philadelphia è molto attiva: McCoy cresce e suona assieme ad altri musicisti che avranno un futuro brillante come Lee Morgan, Bobby Timmons, Archie Shepp, i fratelli Percy, Jimmy e Albert Heath, Benny Golson. Per un breve periodo, lo stesso Bud Powell si trasferisce a Philadelphia assieme al fratello Richie, esercitandosi saltuariamente al pianoforte di McCoy, installato nel salone di bellezza gestito dalla madre. In questi anni, scopre anche la musica dell’Africa Occidentale, grazie al percussionista ghanese Saka Acquaye, venuto a studiare alla Temple University.
All’età di sedici anni inizia ad avvicinarsi alla fede musulmana: come ha affermato in un’intervista del 1970, la Nation of Islam di Elijah Muhammad e Malcolm X era molto attiva nella diffusione della confessione islamica. McCoy, però, abbraccia il culto Ahmadiyya, una versione dell’Islam più aperta, multirazziale e meno settaria rispetto a quella promossa dalla Nation of Islam. Molti altri musicisti jazz in quel periodo abbracciano la fede attraverso il movimento Ahmadiyya: Ahmad Jamal, Yusef Lateef, Sahib Shihab, Dakota Staton, Kenny Clarke ed Art Blakey. Quest’ultimo dichiarò nel 1963 che “l’Islam ha dato all’uomo nero quello che stava cercando, una fuga che alcuni hanno trovato nella droga e nell’alcool: un nuovo modo di vivere e pensare che egli possa scegliere in completa libertà. Questo è il motivo per cui molti di noi l’hanno scelta. È stato per noi, soprattutto, un modo per ribellarci“. Come molti afro-americani in quel periodo, McCoy Tyner è intento a riscoprire la propria identità culturale, ristabilendo una connessione con il continente africano.
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Nel 1955, incontra John Coltrane per la prima volta, grazie all’amico comune Cal Massey. Due anni più tardi, Coltrane torna a Philadelphia in “pausa” dal gruppo di Miles Davis: finalmente i due suonano assieme e diventano amici a tutti gli effetti. Dopo solo sei anni di pratica ed apprendistato, Tyner è già un pianista straordinario. Si ritrova spesso a casa di John, dove il sassofonista è già intento a comporre parte del materiale per Giant Steps. Nel 1960, Coltrane lascia definitivamente il gruppo di Davis e diventa leader del suo quartetto: Elvis Jones alla batteria, John Coltrane al sax, McCoy Tyner al piano, Steve Davis prima, Reggie Workman o Jimmy Garrison poi al contrabbasso, saranno i protagonisti di una musica profonda, spirituale ed innovativa. Dischi come My Favorite Things, Impressions, A Love Supreme, Ascension, ma anche Crescent o Africa/Brass con gli arrangiamenti di Tyner ed Eric Dolphy, sono imprescindibili e rappresentano le diverse diramazioni concettuali della musica di Coltrane e compagni.
È proprio in questo periodo che il pianista di Philadelphia consolida il suo stile percussivo e una sensibilità espressiva che gioca con sostituzioni armoniche, scale pentatoniche ed accordi di quarta. Oltre a collaborare con Coltrane, inizia ad incidere una serie di album da leader su Impulse!.
Alcuni studiosi hanno parlato di “apart playing” o “outside playing” per descrivere alcune incursioni sonore nel modo di suonare di Tyner. Questo concetto nasce dall’analisi della musica dell’Africa Occidentale, nella quale ogni musicista è intento a produrre il suono “privatamente” affinché ciascuno contribuisca ad una “totalità polimetrica”. Non si tratta di una vera e propria “maniera” di suonare, piuttosto di una caratteristica strutturale nella musica di derivazione africana: ciò comporta che nello spettro sonoro ci siano discrepanze temporali, una tensione tra individuo e collettività. L’apart playing di Tyner è arguto, tanto ascritto al ritmo, quanto soprattutto alle soluzioni armoniche che adotta nel suonare assieme agli altri musicisti: grazie a questi stratagemmi tecnici, Tyner crea momenti di dissonanza, di apertura di spazi sonori inattesi. Allo stesso tempo suonare “a parte” richiede una grande attenzione nei confronti di ciò che stanno facendo gli altri: “l’obiettivo è di suonare in una maniera organizzata e allo stesso tempo portare la propria individualità nella musica senza distruggere il suono collettivo” ha affermato lo stesso Tyner in un’intervista del 2002.
Proprio per questo motivo, alla fine del 1965, sia McCoy che Elvin Jones non sentono più di potere appartenere al quartetto di Coltrane, il quale aveva deciso di intraprendere un viaggio verso l’atonalità e il free jazz, inserendo nel gruppo musicisti come Rashied Ali, Pharoah Sanders e la moglie Alice McLeod. “Non riuscivo più a sentirmi“: con queste parole, McCoy descriveva l’abbandono del gruppo in un’intervista del 1975. Negli anni successivi, McCoy Tyner approda in casa Blue Note, prima da sideman, poi da leader, incidendo dischi non rivoluzionari, ma sicuramente sofisticati.
Negli anni Settanta firma per la Milestone Records, con cui rimane un decennio. Durante questo periodo molto prolifico, pubblicherà alcuni dischi stupefacenti, tra i quali Sahara (con il compianto Alphonse Mouzon), il live Enlightenment, Fly With The Wind, Passion Dance ed Echoes of a Friend, un tributo “solo piano” all’amico John Coltrane (scomparso cinque anni prima), inciso nel 1972 in Giappone, la terra che ha assistito all’ultimo tour del gigantesco sassofonista.
Legato indissolubilmente al pianoforte acustico, nei decenni successivi Tyner non si avventurerà mai nei territori dei synth elettronici, proseguendo invece per una strada tutta personale. La traiettoria del nativo di Philadelphia sembra essere complementare a quella del grande amico Coltrane: se da un lato il sassofonista cercava una trascendenza esasperata che attentava allo smantellamento del linguaggio musicale, dall’altro, abbracciando i diversi elementi che ne hanno dettato la crescita nel corso degli anni (Debussy e Stravinsky, il blues e le musiche africane ed orientali), McCoy Tyner ha riscoperto nel lavoro introspettivo della composizione una spiritualità tutta terrena.
Vero messaggero del jazz, il pianista 79enne si alternerà al pianoforte con Craig Taborn e Antonio Faraò (accompagnati da Gerald Cannon al basso e Francisco Mela alla batteria) il 5 e 6 luglio a Empoli e Milano. Nel caso in cui vi piacesse il jazz, questi due appuntamenti sono imperdibili. Un ricordo va anche a Geri Allen, pianista e compositrice, scomparsa lo scorso 27 giugno, che avrebbe dovuto partecipare ad entrambi i concerti.
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