Correva l’anno 1957 e la Russia sovietica aveva appena lanciato una palla di alluminio chiamata Sputnik 1 in orbita. Per molti spettatori, l’evento era il segnale dell’aggravarsi della Guerra Fredda. Ma per due fratelli in Italia con una passione viscerale per le radio, era un’occasione unica e affascinante.
I loro nomi erano Achille e Giovanni Judica-Cordiglia. Entrambi sui 20 anni, vivevano a Torino, dove gli avanzi di materiale militare della guerra venivano venduti al chilo. Per diversi anni avevano comprato e riparato ricevitori radio rotti e quando è stato annunciato il lancio dello Sputnik, si sono preparati e messi in ascolto. Ed eccolo, debole ma inconfondibile: un suono intermittente proveniente dallo spazio.
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“Mio dio, è stato incredibile,” racconta Giovanni. “Eravamo le prime persone in tutta Europa ad ascoltare il segnale dello Sputnik 1.”
Da quel momento, Achille e Giovanni sono caduti preda di un’ossessione. Notte e giorno lavoravano alla strumentazione radio e il tetto dell’edificio dove si trovava l’appartamento dei genitori ha cominciato a riempirsi di antenne fatte in casa. Ad ogni nuovo lancio nello spazio, i fratelli si mettevano in ascolto, catturando le trasmissioni radio dei satelliti Sputnik 1, 2, ed Explorer 1 nel 1958.
Ma il 28 novembre 1960, Achille e Giovanni hanno intercettato una trasmissione che ha cambiato tutto. Era su una delle frequenze sovietiche, ma non c’era stato alcun annuncio di un lancio ufficiale. E invece di sentire un freddo bip bip, come era successo con tutti gli altri satelliti, hanno intercettato un messaggio di SOS in codice morse. Tre punti, tre linee, tre punti — trasmesso da un velivolo che sembrava proprio allontanarsi dalla Terra.
“Stava andando molto, molto veloce,” racconta Giovanni, “e dunque si stava allontanando dalla Terra a velocità di fuga. Abbiamo pensato che anziché star riportando il veicolo sulla Terra… stesse andando verso lo spazio.”
A questo punto, i sovietici avevano già lanciato un cane nello spazio, ma né loro né gli americani erano ancora riusciti a portare un essere umano oltre la stratosfera. Eppure, questo velivolo emetteva un messaggio di aiuto molto umano mentre viaggiava verso lo spazio, benché la cosa non avesse alcun senso.
Per ascoltare la storia intera, premi “play” sul podcast qui sotto:
“Forse i sovietici erano riusciti a lanciare un cosmonauta in orbita, ma lo avevano perso. Non avevamo prove, ma era l’unica teoria che sembrava plausibile. Perché mai un velivolo senza nessuno a bordo dovrebbe mandare un messaggio di aiuto?”
Per i fratelli, questa sarebbe stata il primo di una serie di misteriosi SOS intercettati dallo spazio. Hanno anche registrato un battito cardiaco umano, trasmesso come dati biometrici, e poi una misteriosa trasmissione in russo, che chiedeva disperatamente aiuto.
Questo messaggio particolarmente inquietante è stato intercettato dai fratelli il 17 maggio 1961, senza alcuna indicazione su chi lo stesse trasmettendo:
“Le condizioni si stanno aggravando, perché non rispondete? Stiamo rallentando, il mondo non saprà mai di noi.”
L’Unione Sovietica ha annunciato solo una missione con equipaggio umano, ovvero quella di Yuri Gagarin, avvenuta con successo il 12 aprile 1961. Le altre (disastrose) missioni con cosmonauti sentite dai fratelli non sono mai state menzionate ufficialmente. Per Achille e Giovanni, il motivo sembrava solo uno: che i sovietici spedivano persone nello spazio, per poi perderle e insabbiare gli incidenti.
È una storia su cui sono stati fatti infiniti dibattiti. Alcuni scettici sostengono che i fratelli abbiano fabbricato le registrazioni, mentre altri le ritengono credibili e indicano a conferma la lunga storia di insabbiamenti della Russia.
Ad ogni modo, quando ho letto la storia per la prima volta, mi ha colpito al punto che volevo parlarne direttamente con i due fratelli. Sono riuscito a contattare Giovanni Judica-Cordiglia a Torino, dove vive tutt’ora. Il maggiore dei due fratelli, Achille, è morto qualche anno fa, ma Giovanni è un ottantenne piuttosto in forma, ed è stato felice di ripercorrere con me la sua storia.
Se volete ascoltare il racconto intero, lo trovate qui. Ma intanto lasciatemi dire questo: dopo aver ascoltato le risposte di Giovanni alle mie domande, letto le traduzioni e passato ore ad assemblare la storia, sono arrivato alla conclusione che la finzione non fa per lui. E non perché mi sia sembrato una persona di solidi principi morali, ma perché la sua mente è talmente programmata per il procedimento scientifico, che sembra del tutto incapace di esagerare o ricamare su qualsiasi aneddoto.
Durante l’intervista, ho chiesto al traduttore più volte di domandargli cose come “e come ti ha fatto sentire questa cosa?” o “puoi descrivermi la tua reazione?” e ogni volta Giovanni ha evitato di parlare di sentimenti. Invece, voleva parlare all’infinito di frequenze di trasmissione e antenne. Ogni volta che gli ponevamo una domanda non tecnica, era come cercare di cavare sangue da una rapa. E non penso che il motivo sia che avesse qualcosa da nascondere; semplicemente, non era interessato. Per Giovanni, la tecnologia era l’avventura, e le misteriose richieste d’aiuto erano un elemento collaterale. Così, nel bene o nel male, vi offro la storia di Giovanni Judica-Cordiglia, convinto che ci abbia sempre detto la verità.
Se vuoi conoscere la storia intera e capisci l’inglese, ascolta il podcast Extremes, disponibile gratuitamente in esclusiva su Spotify.