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La volta che Morrissey umiliò Bill Cosby


Illustrazione di John Garrison

Bill Cosby era ai vertici della sua carriera quando fu invitato al Tonight Show nel giugno del 1991. Aveva appena chiuso la settima stagione del Cosby Show, la family comedy con cui aveva vinto alcuni Emmy, uno dei tre show più seguiti nella storia della televisione. Stava per pubblicare il suo ventesimo album comico e il quarto libro. I lati oscuri della sua personalità erano ancora molto ben nascosti—sarebbero venuti fuori alcune decadi più tardi—e Bill era ancora il comico più amato dalle famiglie americane e di tutto il mondo. Non c’era luogo, sulla superficie terrestre, in cui potesse mettere piede senza essere immediatamente riconosciuto, e una sera su due era ospite di qualche programma televisivo. Quella famosa sera, però, mentre tentava di scambiare qualche battute col presentatore Johnny Carson, la sua fama venne momentaneamente oscurata dalla presenza di un uomo straniero. Un uomo che non era mai apparso nella TV americana. Quella sera, Bill Cosby fu eclissato dalla follia del signor Steven Patrick Morrissey.

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Alcuni giorni prima della registrazione dello show, a Burbank, in città giravano già storie simpatiche sull’uomo chiamato Morrissey. Nonostante i suoi anni di carriera nella musica oltreoceano, dai tempi degli Smiths, per la maggior parte degli americani, tra cui Cosby e Carson, il cantautore inglese era ancora un signor nessuno. Dopotutto, Morrissey non solo non era mai apparso in uno show televisivo, ma nemmeno aveva all’attivo delle hit o un tour negli States. Persino MTV, che avrebbe dovuto concentrarsi sugli artisti “alternativi”, snobbava i suoi video.

“Mi sembra sempre di combattere coi mulini a vento,” aveva raccontato Morrissey al New York Times poco dopo, in seguito al suo concerto al Madison Square Garden, uno show in cui tra l’altro ci fu un record di vendite per il merchandising. “Anche se sono stato abbastanza noto per qualche tempo, non mi è chiaro perché non passano i miei dischi alla radio o su MTV.”

Aveva anche affermato, profeticamente, “So che non avrò mai un singolo in classifica negli Stati Uniti,” e quando gli chiesero perché pensava così rispose che “si tratta sicuramente di censura. Penso che i poteri nascosti non vogliano che il pop si allontani dalle loro Madonne sacre.”

“A me non frega nulla, sto bene anche se so che nessuno conosce i miei dischi, anche se non ci sono i miei poster in giro e nessuno passa le mie canzoni,” disse alla rivista. “Ma mi sono rotto le palle di avere il successo che ho, nonostante tutti gli ostacoli che mi mettono davanti.”

Ma mentre Morrissey tentava senza fortuna di inserirsi nel discorso mainstream statunitense, attorno alla sua figura si costruiva una sorta di culto, soprattutto nelle generazioni più giovani, quelle che sarebbero state ossessionate con la musica. Aveva dalla sua tutti gli outsider della società, uniti nella devozione per quell’icona inglese. Conoscevano il nome di Morrissey e attendevano il suo arrivo con impazienza.

Due settimane prima della sua apparizione al Tonight Show, Morrissey atterrava sul suolo americano per iniziare quello che sarebbe stato un giro di sei settimane, all’interno del suo tour mondiale, per promuovere il suo secondo album da solista, Kill Uncle, dopo il successo del tour europeo. Iniziò con sei date in California: San Diego, Costa Mesa, Inglewood, Santa Barbara, Berkeley e Sacramento. Gli show andarono sold out molto in fretta, come il resto del tour, ma di solito è quello che succede nella West Coast. La popolarità di Morrisey in quell’area era dovuta, in gran parte, al fatto che la più influente delle radio locali, KROQ, passava regolarmente i suoi pezzi e lo aveva supportato sin dall’inizio. In meno di un’ora furono venduti 20,000 biglietti per il suo show alla San Diego Sports Arena—superando i record di vendite di predecessori illustri come Madonna e Michael Jackson. Ancora più velocemente se ne andarono i biglietti per il Forum di Inglewood18,000 in soli 15 minuti.

La velocità con cui i biglietti volarono via era un forte segnale della follia che circondava il tour: la Mozmania invase gli States nell’estate del ’91 allo stesso modo in cui la Beatlemania aveva fatto circa trent’anni prima. I suoi fan invasero in massa alcune venue che non erano certo preparate a fenomeni di delirio di questa entità. Era un cazzo di pandemonio.

I fan si presentavano a fiotti, creando non pochi problemi alla security. Molti fan in lacrime cercavano di invadere il palco nel tentativo di lanciare i propri regali al cantante—in pura tradizione Morrissey: gli tiravano fiori, sigarette e, in certi casi, i propri corpi.

Nel suo libro, Morrissey: Passion & Scandal, l’autore David Bret descrive la scena a cui assistette l’otto giugno al Berkeley’s Greek Theater: “Un poliziotto, pensando di agire nell’interesse di tutti, mise alcuni scatoloni fuori dal locale su cui c’era scritto REGALI PER MORRISSEY. Immediatamente quelle casse si riempirono di ogni genere di cazzate: libri di Oscar Wilde, bigliettini, maglioni di natale, fiori, foto porno di fan, insieme a decine di pacchetti di ciccioli e a centinaia di mutandine su cui era segnato l’indirizzo dei proprietari, nella speranza che Moz le indossasse e le rimandasse indietro usate. Stessa cosa forse valeva per le migliaia di preservativi donati.”

“Più di ogni altra cosa, ricordo le urla,” racconta Liz Ohanesian, giornalista musicale di Los Angeles che ebbe la fortuna di assistere al delirio di massa alla data di Costa Mesa—il suo primo concerto: aveva quattordici anni. “Tutti quanti ballavano come matti—anche se non era propriamente musica da ballare—erano tutti impazziti, saltavano, si agitavano e urlavano come ossessi. Era un momento di delirio collettivo in cui sapevi che ognuno di quelli che stavano gomito a gomito con te in quel palazzetto era sulla tua stessa lunghezza d’onda.”

Il Kill Uncle Tour a Dallas, Texas, 1991.

La data di Dallas, una delle più folli, fu interrotta poco prima del secondo bis perché l’intensità delle pazzie del pubblico diventò quasi violenta. A metà di “Everyday Is Like Sunday,” Morrissey fu posseduto da un mare di corpi che arrivavano da ogni direzione. Gente che invadeva il palco, riempiendolo del verde dell’erba calpestata. Anche se in generale Moz incoraggiava la partecipazione del pubblico, quando tutta quella gente iniziò ad andargli addosso e ad afferrarlo per i vestiti o per i capelli, tentando di baciargli il collo e di strappargli i vestiti, fu troppo anche per lui. Se ne andò dal retro per sicurezza, lasciando la povera band sola sul palco a finire il suo dovere. I fan rimasero lì finché non arrivarono a buttarli fuori a calci, invocando a gran voce il nome del loro eroe, che non tornò mai indietro.

Il management decise di cancellare immediatamente lo show della sera successiva ad Austin, perché non pensava che la sicurezza del locale—37 buttafuori e altri 20 aggiuntivi—fosse insufficiente a contenere l’orda, nonostante gli avessero assicurato che era il doppio rispetto a un concerto degli Slayer.

“L’isteria del tour è paragonabile solo alla Beatlemania, e il management crede che il locale non sia conformato in modo tale da assicurare la sicurezza di Morrissey,” raccontava ai tempi Mario Lehmann di BFD Concerts, promoter dello show di Austin.

Don McLeese dell’Austin American-Statesman scrisse che i fan delusi non si sarebbero dovuti incazzare tanto con gli organizzatori o col management, ma avrebbero dovuto dirigere tutta la loro ira verso Morrissey stesso.

Ma la novità di quel tour non era soltanto il fervore dei fan, quanto la loro diversità. Solitamente i cantanti maschi avevano sempre tirato con sé fanbase prettamente femminili. Questo ero lo standard settato dagli idoli degli anni Cinquanta come Elvis, ai cui concerti andavano orde di ragazzine accompagnate dai genitori—creando talmente tanto scompiglio sessuale che a un certo punto fu chiesto alla CBS di riprendere il cantante solamente dalla vita in su, per evitare deliri ormonali durante la sua performance all’Ed Sullivan Show. Ai tempi del Kill Uncle Tour, i rubacuori di turno erano i New Kids on the Block che, in seguito alla fama ottenuta con il loro triplo platino del 1990, Step by Step, mandavano fiumane di ragazzine in brodo di giuggiole.

Ma la sessualità di Morrissey era ambigua e il cantante si era sempre rifiutato di aderire allo stereotipo del frontman maschio, contrariamente alle norme delle rockstar testosteroniche che lo avevano preceduto. Di conseguenza, la folla che popolava i suoi concerti era un mix assurdo di generi, orientamenti sessuali, etnie ed età; l’unico denominatore comune era la devozione assoluta al Dio chiamato Moz.

“Ciò che accade ai miei concerti ha dello straordinario,” aveva detto Morrissey al Los Angeles Times quel giugno. “Per la maggior parte, quelli che saltano sul palco e mi baciano sono uomini, e non sono nemmeno ragazzini–sono uomini adulti, grandi. Non mi viene in mente nessun’altra situazione nella storia del pop in cui sono gli uomini a saltare addosso ai cantanti maschi. Ci sarà qualcosa in me e nella mia musica che suscita reazioni di questo genere—penso che l’ambiente in cui si tengono i miei concerti favorisca una certa libertà di costumi, ma il fenomeno non si spiega totalmente così. Credo di essere io stesso a suscitare passioni un po’ diverse in chi mi ascolta. Non è semplicemente la passione selvaggia del rock’n’roll—è qualcosa di più romantico che sessuale. Non mi sono impegnato in questo senso, è qualcosa di irrazionale, fatto sta che un sacco di persone mi vogliono baciare.”

Il tour si lasciò dietro sangue e devastazione nella West Coast. Dopo che tutte le sei date in Califonia furono chiuse, naturalmente i fan disperati ambivano a un’altra chance per toccare con mano il loro Dio Moz, e c’era un solo posto in cui potevano farlo: gli studi NBC di West Alameda Avenue.

La febbre Morrissey raggiunse livelli inauditi il giorno prima della sua apparizione al Tonight Show, quando i fan iniziarono ad ammassarsi davanti allo studio televisivo nella speranza che qualcuno li lasciasse entrare. Ma quella situazione era ben diversa dagli stadi o dai palazzetti: solo duecento fortunati ce l’avrebbero potuta fare.

La KNBC di Los Angeles, che aveva sede di fronte agli studi NBC, riportò nel notiziario un filmato che mostrava chiaramente che il Tonight Show di quella sera sarebbe stato delirante. Il loro inviato intervistò i fan in fila dal pomeriggio per Morrissey, che lo chiamavano, a turno “un genio poetico,” “un uomo incredibile,” e “profondo.”

“Io sono qui per vedere Johnny!” dichiara una donna anziana in fila, che non aveva mai sentito parlare di Morrissey, mentre dietro di lei orde di fan impazziti sventolano maglie e CD a favore di camera. Quando l’intervistatore le chiede che ne pensa di questo delirio, risponde “Be’… Direi che è impressionante!”

Quando l’inviato diede di nuovo la linea allo studio, i presentatori erano senza parole: non si spiegavano come un uomo mai sentito nominare prima potesse sollevare tutta quella fotta di gente impazzita.

“Mentre venivo a lavoro mi sono imbattuto in almeno una decina di suoi fan,” diceva un altro inviato dello show, Fritz Coleman, anche lui incredulo.

“Hanno i capelli viola e cose strane addosso,” aggiungeva un altro dei presentatori.

“È una cosa terribile… I giovani d’oggi… Non farmici pensare,” rispondeva Coleman scherzando.

Ma quell’ospitata non mandava su di giri solo i fan. Per Morrissey era un sogno che si avverava. “Guardo spesso lo show di Letterman e ho visto che hanno invitato Nina Hagen,” aveva raccontato al Los Angeles Times nel 1986. “Guardo anche il programma di Carson e una volta ci ho visto Belinda Carlisle. Non ho nulla contro questa gente, ma penso che potrebbero invitare anche me alla trasmissione, sarei di sicuro più interessante di quelle due.”

Quando finalmente lo invitarono, era un momento un po’ strano per lo show. Johnny Carson era ancora un ottimo presentatore, ma l’allora sessantacinquenne non aveva più il polso dell’attualità. Aveva già annunciato il suo ritiro dalle scene e il suo contratto stava per concludersi dopo trent’anni. L’anno successivo Jay Leno avrebbe preso il posto di Carson e Carson si sarebbe goduto un meritato pensionamento. Siamo sicuri che, la sera di Morrissey, Carson si sia maledetto per non essersi ritirato prima.

Era chiaro per tutti che quella puntata sarebbe stata molto diversa dalle altre. All’inizio dello show, la spalla Ed McMahon, prima di lanciare il suo iconico “Heeeeeeere’s Johnny”, annunciava gli ospiti della serata: “Bill Cosby, Beau Bridges… e le canzoni di Morrissey.” I moltissimi fan presenti nello studio esplosero non appena sentirono il nome di Morrissey. Quello era un punto di svolta della sua carriera e i suoi adoratori erano entusiasti di farne parte.

Carson era un host stagionato. Aveva all’attivo circa 2.000 monologhinon tutti fantastici. Sapeva bene cosa significasse un suicidio sul palco. Fatto sta che quella sera il suo monologo fu uno dei peggiori di tutti i tempi.

“Il Presidente è qui fuori, lo sapevate?” chiedeva nel suo siparietto d’apertura. Silenzio. “…Ve ne frega qualcosa?” Da lì le cose peggiorarono visibilmente.

Carson tentò di inanellare qualcuno dei suoi tipici battutoni su vip, notizie e politica, ma il pubblico gli reinfilava sistematicamente i suoi scherzi su per il culo.

“Il debito è duro qui a Beverly Hills,” iniziò, aspettando che qualcuno rispondesse. Il gancio arrivò in ritardo: “Quanto duro?!” disse una voce dal pubblico. Lo scherzo morì in questa triste maniera. “Grazie mille, sir, ha un ottimo tempismo,” rispose Carson. La sua personalità solitamente affabile lasciava trasparire una certa frustrazione. Poi, dopo la battuta successiva, il tizio del pubblico intervenne di nuovo. “Oh stai zitto!” gli urlò Carson, per poi rivolgersi alla sua spalla dicendogli “Che me ne frega? Sto per andarmene.”

Alla fine del monologo fu lo stesso Carson a ripetere i nomi degli ospiti e, quando arrivò il turno di Morrissey, lo studio esplose nuovamente in un boato incontrollabile, tanto che Carson dovette fare un passo indietro dallo spavento. “Quel tipo abbaia come un cane” disse puntando a un fan entusiasta. “Vai a cuccia!”

Gli sketch dello show furono ancora più tristi del monologo: Carson lesse finti pezzi di romanzi rosa e il pubblico reagì tiepidamente. Un tizio—forse lo stesso di prima—gli urlò con cattiveria “Basta, mi fai male,” e Carson rispose immediatamente “Potrebbe essere un’idea!”

Carson continuò a sorridere alla sua spalla McMahon, ma in verità gli lanciava occhiate intimamente sofferenti. A un certo punto arrivò persino a dire “Avrei dovuto andarmene prima dallo showbusiness.”

Bill Cosby nel frattempo si stava godendo la scena da dietro le quinte, perché quando arrivò il suo turno si dimostrò preparato ad affrontare quel pubblico. Dopo essere stato presentato entrò nel set portandosi la sua sedia pieghevole e si sedette di fronte all’audience. “Per cortesia, per cortesia…” disse mentre gli applaudivano, “dobbiamo fare in fretta perché sta arrivando Morrissey.” Questa battuta catturò il pubblico che rise genuinamente per la prima volta, quella sera.

“Prima stavo parlando con Morrissey, e lui mi ha detto che gli piace quello che faccio, mi ha detto di dirvi di stare attenti a quello che dico,” continuò Cosby, mettendo l’accento sul nome del cantante nel tentativo di conquistare il pubblico. “Morrissey ha detto che non stavate molto attenti al Signor Carson e che non siete molto pazienti, e Morrissey crede che siate stati un po’ irrispettosi. Quindi ora Morrissey vuole che chiediate scusa al Signor Carson.”

Poi Cosby tentò di tornare alle sue normali battute sulla Festa del Papà, che cadeva quel fine settimana, ma al pubblico sembrava importare poco di tutto ciò che non contenesse la parola Morrissey. Quindi Cosby tornò a spingere sull’acceleratore in quel senso, chiudendo le punchline con frasi tipo: “Capite che intendo? …No perché Morrissey capisce!” Insomma, usava il suo nome come punchline, e dopo ogni applauso del pubblico faceva le tipiche faccette da Cosby, voltandosi di tanto in tanto verso Carson come a dire “guarda un po’ questi coglioncelli.” I due si diedero da fare per trasformare quell’episodio dello show in un’unica grossa presa per il culo nei confronti del giovane pubblico.

Dopo il triste siparietto di Cosby ci fu la pubblicità, poco più tardi Carson non resistette e tornò a punzecchiare il pubblico, che era ormai in trepidante attesa dell’act musicale. “Morrissey è dovuto andare via, in compenso abbiamo qui Jerry Vale per voi,” disse. Il pubblico non tardò a reagire allo scherzo con uno sciame di BOO. “Ok, tranquilli,” continuò, e finalmente arrivò alla tanto agognata presentazione: “Lui è un musicista molto noto—” ma il pubblico lo interruppe con urla disumane. Una voce si levò per dire qualcosa di poco chiaro e Carson rispose, scocciato: “Va bene, quando vuoi.”

“Il suo concerto qui al Forum di Los Angeles è andato sold out,” lesse Carson dalla sua cartellina, ottenendo in cambio altre urla. “Questo pubblico ama gli edifici, mi sa,” continuò strizzando l’occhiolino a Cosby, che nel frattempo ridacchiava nell’assistere all’impossibilità per Carson di contenere l’audience.

“Okay, questo è il suo ultimo album,” continuò, tirando su una copia di Kill Uncle. “Diamo il benvenuto a…” A quel punto c’era troppo casino in sala e Carson non riuscì nemmeno a finire la frase. Morrissey era uscito da dietro le quinte ed era salito sul palco. Ogni contegno che il pubblico aveva a malapena mantenuto fino a quel momento andò a farsi friggere quando il grande idolo apparse. Carson, che oramai non riusciva più a fare nulla, si fece da parte e ordinò al cameraman di concentrarsi sulla ragione di quel casino.

L’intro di “Sing Your Life” infuocò il pubblico e la camerà inquadrò la band che sembrava appena uscita da un film tipo Grease. Cinque ragazzi con risvoltino ai jeans e camicie aperte che suonavano contrabbassi e chitarre acustiche, e tra loro il vero re della serata. I jeans arrotolati negli stivali, i capelli talmente leccati che facevano sembrare il suo volto lungo il doppio e la sua camicia lucida aperta fin quasi all’ombelico. Aveva appena compiuto trentadue anni, ma ne dimostrava dieci in meno.

“Sing your life, any fool can think of words that rhyme,” disse alla folla, infondendole un sentimento di esistenzialismo ottimistico con quello stile rétro che lo ha sempre contraddistinto, mentre pian piano il pubblico cominciava a far silenzio. “And make no mistake, my friend, your pointless life will end.”

Morrissey dominò la scena, sventolando il microfono sopra la testa con movimenti ampi e circolari come fosse un ballerino di ginnastica artistica. La sua chioma nocciola andava su e giù, riprendendo posizione solo nei brevi momenti in cui lui stesso si fermava.

Dopo aver eseguito il secondo pezzo, ancora più melancolico del primo, “There’s a Place in Hell for Me and My Friends,” lo show, per ragioni che non ci spieghiamo, proseguì con un’intervista a Beau Bridges. L’attore stava promuovendo qualcosa tipo un film—ma non aveva importanza, perché nessuno gli dava attenzione. Il povero stronzo si trovò nell’infelice posizione di un opening act che, anziché prima, suona dopo l’headliner.

La trasmissione si concluse in una maniera un po’ bizzarra. Carson congedò e ringraziò i suoi ospiti: Bill Cosby, Beau Bridges… e basta. Nemmeno un cenno a quell’altro tizio.

“E, grazie a Dio, vi diamo finalmente la buonanotte, ragazzi,” disse Carson rivolgendosi alla telecamera.

McMahon si alzò dal suo divanetto per far notare l’omissione: “E Morrissey!” Carson sentì chiaramente, ma fece finta di nulla. Continuò a sorridere freddamente e a fare ciao con la mano. Insomma, fece apposta a ignorarlo. Il pubblico in quel momento si rese conto che l’omissione di Carson era voluta e lo ricompensò con un’orda di BOOOO. Con il segno per gli applausi ancora acceso, la scena fu ancora più penosa. La band continuava a suonare e i titoli di coda iniziarono a scorrere, Carson se ne uscì, lasciando i suoi ospiti soli a stringersi la mano a vicenda. La trasmissione finì allo stesso modo in cui era iniziata.

Morrissey, come aveva predetto, non riuscì a piazzare nemmeno una hit in classifica durante il Kill Uncle Tour. Nonostante la sua ospitata televisiva, nonostante i record di vendite ai concerti e, soprattutto, nonostante la sua fedele armata di fan, né “Sing Your Life” né “There’s a Place in Hell…” né altre canzoni di Morrissey raggiunsero le classifiche statunitensi, quell’anno. Nemmeno l’anno successivo. E neppure quello dopo, o quello dopo ancora. Bisognò aspettare il 1994 perché “The More You Ignore Me, the Closer I Get” diventasse il singolone da sfondamento per le chart americane. Il 1991 continuò ad essere dominato da roba strappamutande, R&B e pezzi da ballare, tanto che ai vertici delle classifiche c’erano “(Everything I Do) I Do It for You” di Bryan Adams, “I Wanna Sex You Up” di Color Me Badd e “Gonna Make You Sweat (Everybody Dance Now)” di C+C Music Factory. Altri artisti, come Mariah Carey, Paula Abdul e Michael Bolton furono le star di quell’annata discografica. Persino i R.E.M. furono in grado di far capolino nella top 100, con la loro super hit finta-presabene, “Shiny Happy People.” Invece per Morrissey e per le sue assurde prospettive sulla realtà evidentemente non c’era posto.

L’anno successivo, sarebbero arrivati i Nirvana, spalancando la porta con un calcio coi loro anfibi e rendendo socialmente accettabile per tutti i fan essere etichettati come “quelli strani”. La scena grunge di Seattle superò in stranezze ogni incursione di artisti d’oltreoceano tipo Morrissey. Fu un vero e proprio cambio della guardia che segnò la fine e l’inizio di diverse epoche per la musica alternativa.

Morrissey tornò al Tonight Show nel novembre del 1992, stavolta presentato da Jay Leno. Più di vent’anni più tardi, nel 2015, tornò un’altra volta, quando lo show era sotto l’egida di Jimmy Fallon. Moz non fu più feroce come ai tempi di Kill Uncle. Le sue guance molli avevano preso il posto della mandibola d’acciaio di una volta, e il suo ciuffo era ormai grigio—niente di paragonabile a quell’onda selvaggia da cui, come una volta aveva detto Fritz Coleman, “gli elfi potevano fare Bungee Jumping.” Il ragazzo, però, aveva sempre un pubblico fedele alle spalle, anche se l’entusiasmo della folla era un’altra cosa che si era ammosciata rispetto a vent’anni prima.

Anche Cosby tornò a presenziare nei Late Night, nel corso degli anni, salvo poi essere accusato per aggressioni sessuali. Mentre gli ultimi stralci di notorietà lo accompagnano negli anni del declino, avrà sicuramente cose più importanti a cui pensare—tipo le accuse a suo carico, l’onta che grava sullla sua carriera e il senso di colpa che non smetterà mai di attanagliare la sua povera anima. Forse però, in quei rari momenti in cui ricordi felici gli riaffiorano alla mente, ripensa ancora a quella volta, nel giugno del 1991, quando fu invitato al Tonight Show. E allora ricorda il caro Johnny, e il suo amico Ed, e quel pubblico, e di come avevano preso per il culo quei poveri fan. E, dentro di sé, maledice quel fottuto nome: Morrissey.