MP3 sta per Movimento Pirati 3a età, ed è il nome di un gruppo anonimo di cyber-attivisti italiani che negli anni Novanta faceva circolare contenuti di varia natura sul web, tra cui immagini e messaggi che richiamavano estetiche femministe e queer. Intorno a questo collettivo c’è un grosso mistero: anche se le fondatrici si presentano come tre anziane ultrasettantenni, non si sa chi ci fosse realmente dietro. Si trattava davvero di signore distinte che hackeravano i server delle Poste dai loro salotti perfettamente spolverati?
Quello che sappiamo di sicuro è che le gesta di MP3 sono riportate su un certo numero di testate dell’epoca, tra cui L’Espresso e Il Giornale. Inoltre, nel 2000, le anziane fondatrici del movimento hanno avuto una querelle pubblica con una trasmissione radiofonica della Rai, Golem: il conduttore, Gianluca Nicoletti, le aveva derise in una diretta e loro hanno prontamente risposto nella notte con un bel DDoS al sito.
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A riportare a galla questa storia bellissima è stata la piattaforma artistica The Internet Saga, che ha presentato un lavoro in cui celebra MP3 all’ottava edizione della Biennale di Bucharest, in corso fino a domenica.
Portare l’attenzione sul Movimento Pirati 3a età — il cui motto era “La rete è per i vecchi, i giovani hanno già la vita” — è un modo curioso per rivivere un’epoca perduta di internet in cui i giovani avevano ancora una vita e in cui l’anonimato in 56k era alla portata di tutti. Ma in un certo senso, ci ha spiegato Francesco Urbano Ragazzi, il duo che sta dietro The Internet Saga, è anche un modo per ‘editare la storia’: fantasticare su un passato di cui si sa poco, nella speranza di costruire un futuro migliore e un nuovo attivismo.
Motherboard: Come siete venuti a conoscenza di questo movimento di hacker anziane che avete portato alla Biennale?
Francesco Urbano Ragazzi: Stavamo studiando il Cyberfeminist International, un raduno che ha rappresentato il primo grande tentativo di istituzionalizzare l’arte e l’attivismo cyberfemminista. Si tenne a Kassel tra il 20 e il 28 settembre del 1997 durante Documenta X. All’evento parteciparono 37 donne provenienti da 12 nazioni tra cui Olanda, Slovenia, Stati Uniti e Russia, ma nessuna italiana. Allora ci siamo chiesti cosa stesse succedendo in Italia in quegli anni e chi avrebbe potuto partecipare.
Ci sono venuti in mente Helena Velena e il suo libro Dal Cybersex al Transgender, la Lista Lesbica Italiana, Decoder con il mitico inserto Fikafutura e le graphic novel di Pigreca. La zine queer Speeddemon con l’allora Italian Queer Alliance. E poi Torazine, che proprio in quegli anni emergeva dall’underground romano, oppure Candida TV, che nel 2004 partecipò a Transmediale. Cercavamo un movimento cyberfemminista e cyberqueer italiano all’altezza della scena internazionale. Avremmo voluto che tutti riconoscessero uno splendore che in realtà non c’è mai stato davvero nel tentativo di “editare il futuro” editando il passato.
Ci raccontereste la vera storia di MP3, per quanto ne sapete?
In realtà quella di MP3 è stata una specie di bufala di fine millennio. Tutto è iniziato da questa pagina Tiscali in cui si annunciava la formazione di un gruppo anarchico di hacker donne sopra i 70 anni. Il loro motto era “La rete è per i vecchi, i giovani hanno già la vita”. Non siamo riusciti a risalire all’autore dello scherzo, però le MP3 ci sono sembrate i giusti soggetti per dare voce alle nostre idee. Le loro identità ci sono parse un guscio abbastanza vuoto da potercene appropriare per il nostro lavoro.
Oggi si cerca di combattere la propaganda e le fake news online col debunking. Nell’attesa che la verità dei fatti trionfi, con MP3 abbiamo provato la strategia opposta seguendo un’esortazione dello storico collettivo Luther Blissett: mistificate la mistificazione!
E come avete condotto la vostra indagine?
Abbiamo fatto un viaggio nella Wayback Machine dell’Internet Archive. Partendo dai siti e dai fenomeni che conoscevamo già, ci siamo messi a ricostruire le reti di relazioni tra i gruppi cyberfemministi o queer che esistevano tra la metà degli anni ’90 e i primi 2000. Siamo rimbalzati dai siti alle riviste cartacee — che all’epoca funzionavano ancora da guide, garanti o megafoni delle cose che succedevano online.
Abbiamo seguito le mappature che all’epoca venivano tentate, come ad esempio quella di AHA, una mailing list nata nel 2001 a Roma per “promuovere la net culture e l’hacktivism italiani”. Così, scavando scavando, abbiamo aggiunto alla lista dei nostri eroi la trans genovese Mirella Izzo con il suo Genderblender, la rete femminista Lilith, Orlando, le signore italiane nel web di women.it, i siti del gayring, la chat gay su Shark Mirc, le hompage lesbiche su Geocities, gli annunci su sexonline.cybercore.com e così via. È stato come visitare le rovine di una civiltà scomparsa.
Perché avete deciso di immergervi così a fondo nella storia dell’internet italiano?
Siamo stati invitati alla Bucharest Biennale, che ha per titolo Edit Your Future. Ci è sembrata la situazione ideale per andare di compensazione e dare lustro a un movimento italiano che non è mai veramente esistito — o se è esistito non è mai stato riconosciuto. Magari andando a rivedere il nostro passato cyberfemminista possiamo immaginare un’Italia del futuro in cui non ci sono ministri che promettono 30 minuti di internet gratis al giorno. Un altro aspetto importante del nostro progetto è che non lo abbiamo presentato a nostro nome ma appunto a nome di MP3, il Movimento Pirati della Terza Età.
E a cosa si riferiscono o si ispirano i poster che avete esposto fisicamente alla mostra?
La serie di poster ricontestualizza alcuni dei nostri ritrovamenti archeologici: motti e simboli di “quando eravamo cyborg”. Se da un lato le fantasie di questa prima epoca della connettività andavano verso il post-umano, l’ibridazione uomo-macchina e la la moltiplicazione delle personalità, dall’altro si scontravano bruscamente con i limiti di un internet a 56k. In questo contesto, i primi titoli e loghi legati a una rivoluzione dei generi iniziavano a costellare la rete diventando goffi catalizzatori di grandi sentimenti libertari.
Nel 1997 su Towanda, la storica rivista lesbica italiana al suo terzo numero, appena dopo la rubrica “Prese dalla Rete” con un articolo intitolato “Verranno a te sull’aere… Ovvero: gestire un web per fare comunità” compariva la sezione “Hardware & Software” a cura di Roberta Calì con uno speciale sui motori di ricerca. “I miei motori preferiti, o meglio quelli con cui finora sono riuscita a trovare meglio le cose che m’interessavano sono: per la ricerca internazionale AltaVista e HOTBOT; per la ricerca nei siti italiani Arianna. Se si vuole invece effettuare una ricerca specifica sui siti lesbici, vi segnalo il “Womyn and Lesbian Queer Links” c’era scritto. Per finire con una curiosità, circa un anno e mezzo fa, cercando la parola “lesbica” con AltaVista (allora non c’erano motori italiani), si avevano zero pagine trovate, ora la stessa ricerca ne dà 221″.
Il sovraccarico di aspettative con cui questi stemmi alle prime armi dovevano misurarsi ha qualcosa di struggente. Per questo abbiamo deciso di riprenderli ed amarli: per ora li abbiamo applicati come degli sticker a una serie di schermate di paesaggi naturali tratte da Gorillas In the Mist, un film del 1988, il cui titolo ruota attorno ad un crimine commesso da ignoti. Ma ci piacerebbe in futuro trasporre questa serie di immagini in una piccola collezione di T-shirt da immettere nel mercato del desiderio. Quello che ci interessa è rendere iconici i segni di un movimento che, un po’ per eccesso di ideologia un po’ per mancanza di mezzi, non ha avuto l’attrattiva estetica e la forza creativa che avremmo voluto.
Oggi in Italia ci sono dei movimenti queer e gender, secondo te quali sono le differenze rispetto al passato?
Se consideriamo il fenomeno in termini di linguaggio, negli anni ’90 il discorso cyberqueer italiano utilizzava un lessico politico molto più vicino a quello dei centri sociali piuttosto che a quello della gender theory statunitense. Oggi non è più così, le parti si sono invertite. Per quanto riguarda il cyberfemminismo invece, questo si è dovuto scontrare con il cosiddetto femminismo della differenza, che in Italia aveva sicuramente una tradizione e un riconoscimento anche accademico più consolidati.
Bisogna poi pensare che negli anni ’90 a internet si accedeva solo connettendosi dal PC di casa. L’esperienza che se ne aveva era quindi di un luogo altro, parzialmente separato dalla propria vita quotidiana. Era percepito molto di più come uno spazio di fantasia o desiderio che aveva un’influenza sulla realtà molto meno diretta di quella che ha adesso.
L’alone di mistero che circondava le persone sull’internet degli anni novanta oggi è praticamente impensabile: bufale come MP3 non sono più davvero possibili. Cosa è cambiato, di così radicale?
Oggi siamo noi stessi. L’Internet è penetrato capillarmente nelle nostre vite e ha preso le sembianze di uno stato. Uno specchio in cui riflettersi e lasciare traccia, che sempre più controlla i propri accessi. Ora abitiamo le timeline, geolocalizziamo i nostri bisogni, raccontiamo le nostre storie, mostriamo i nostri volti. Abbiamo rinunciato all’internet dei misteriosi nickname androgini e al brivido di incontrare qualche gorilla nella nebbia. Ma un problema torna a occupare il nostro tempo. Non parlo del controllo e della perdita della privacy, che pure è un problema, perché potremmo sempre decidere di nasconderci: il web è grande e profondo. Parlo più che altro del problema della noia, la noia di essere noi stessi e più nessun altro.