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La Gran Bretagna è sempre stata profondamente razzista. Anche prima della Brexit

Dopo il referendum di giovedì, ci sono state numerose segnalazioni di atti di razzismo in tutta la Gran Bretagna. Ma come sa chiunque non sia bianco e viva nel Regno Unito, casi di questo tipo non sono niente di nuovo.

Una manifestazione di Britain First. Foto di

Chris Bethell

Ormai l'abbiamo accettato. Abbiamo votato per lasciare l'Unione Europea, dimostrando di essere una nazione convinta di poter tornare indietro nel tempo e sfuggire agli effetti della globalizzazione. Forse stiamo per scoprire che scegliere l'isolazionismo può avere delle brutte conseguenze—più che altro perché non sembra esserci alcun piano su cosa fare dopo la Brexit. Ma eccoci qui.

Mentre gli effetti del referendum di giovedì scorso si diffondevano per il paese, vi sarete accorti di un improvviso incremento dei casi di razzismo e xenofobia. A Londra un centro culturale polacco ha chiamato la polizia denunciando "danni di presunta matrice razziale".

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Nella contea di Cambridge, la polizia ha ricevuto segnalazioni riguardo a dei biglietti lasciati nelle cassette della posta di famiglie polacche, con scritto "Fuori dall'UE; basta vermi polacchi" in inglese su un lato e "Tornatevene a casa polacchi di merda" in polacco sull'altro. Il consulente e ricercatore polacco Max Fras, le cui parole sono citate in un articolo del Guardian sugli incidenti di matrice razzista avvenuti subito dopo la Brexit, ha riferito che venerdì, mentre era in coda da Tesco a Gloucester, avrebbe sentito un uomo dire: "Adesso funziona così, gli stranieri hanno 48 ore per andarsene a casa loro. Chi è straniero qui? C'è qualche straniero?"

In molti hanno riferito di essere stati vittima di discriminazioni o attacchi per il fatto di avere la pelle scura, avere la pelle scura e indossare una giacca e parlare con accento non inglese. Il Muslim Council of Britain ha riferito di aver raccolto oltre 100 testimonianze di simili incidenti tra venerdì e lunedì scorso.

Tutto questo potrebbe benissimo essere vero. Ha senso che i razzisti e gli xenofobi britannici abbiano preso coraggio dopo la vittoria di quella che in fin dei conti è stata una campagna fortemente razzista e xenofoba. Ha senso che ora si trovino più a loro agio a esprimersi apertamente. Tuttavia, come sa benissimo ogni persona non bianca che vive o ha vissuto nel Regno Unito, non è una novità. Tutti i giorni, in qualsiasi momento, può capitare che qualcuno che non sa niente di te ti fermi e ti chieda le tue credenziali etniche. Può capitare che ti faccia domande sul tuo passato, sulla tua "gente," su "di dove sei davvero." Può capitare che ti chieda di toccare i tuoi capelli, che ti segua per strada oppure, come ho avuto il piacere di provare di persona l'anno scorso, può capitare che ti sputi addosso e ti chiami "puttana negra."

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Vivere in un paese storicamente abituato a presumere l'inferiorità di persone di altre etnie—tanto da assumersi l'onere di "civilizzarle" arrivando nei loro paesi, diffondendo la religione cristiana e la lingua inglese e smantellando i loro confini e i loro sistemi economici—vuol dire comprendere che il razzismo fa parte della sua cultura. Sinceramente, molti degli incidenti di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi giorni mi sembrano derivare da ciò che è successo nel Regno Unito da quando ci si sono trasferite persone provenienti dalle ex colonie, desiderose di andare a vivere nel paese di cui avevano sentito parlare così bene e che a quanto gli avevano detto li aveva sollevati dallo stato di selvaggi alla vita moderna.

Fino agli anni Cinquanta non c'erano leggi o altri strumenti per proteggere questi nuovi arrivati dalle discriminazioni in fatto di casa, lavoro e educazione. Forse bastava la cara vecchia buona educazione. Ma anche se non possiamo certo paragonare le periferie inglesi ai ghetti americani, secondo i fratelli Trevor e Mike Phillips, autori nel 1998 di un libro sulle migrazioni in Gran Bretagna, la povertà e l'ostilità che avevano incontrato aveva spinto gli immigrati neri e asiatici "nelle peggiori situazioni abitative all'interno della città." L'arrivo di un nuovo flusso dall'Europa dell'est dopo il crollo dell'Unione Sovietica e l'allargamento dell'Unione Europea ha avuto esiti simili, creando delle enclavi in cui sembra che le persone di un certo paese stiano improvvisamente "invadendo" la Gran Bretagna.

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Secondo una ricerca di Ipsos Mori, più del 50 percento degli elettori che hanno votato per l'uscita dall'Unione Europea l'ha fatto per questioni relative ai flussi migratori. E sì, alcune di queste persone hanno preso la loro decisione sulla base di una sfiducia e di un odio innato per il diverso e una parte di queste potrebbero essere quelle che ora grazie alla Brexit si sentono legittimate a esprimere pubblicamente il loro razzismo e la loro xenofobia.

Ma non possiamo lasciarle vincere. Dobbiamo capire come tirare fuori qualcosa di positivo da questa situazione. Un primo passo sarebbe reagire nel modo giusto. Rispondere a queste dimostrazioni pubbliche di razzismo con le solite lagne tipo #notinmyname o "sono solo una minoranza di stupidi" non basta. Non aiuta le persone a scoprire le vere radici dei loro pregiudizi e a sfuggire al razzismo strisciante e sistemico che non grida "pakistano di merda," ma dà per scontato che i ragazzi neri siano tutti violenti, che le donne velate siano tutte delle vittime di oppressione troppo deboli per ribellarsi, che tutti i rifugiati siriani maschi siano potenziali stupratori.

Zittire i razzisti non funziona. È arrivato il momento di discutere di razza e di etnia in modo aperto e sincero e soprattutto ascoltandoci l'un l'altro. Le persone hanno paura—sono preoccupate per il loro lavoro, la crescita dei loro figli, i tempi d'attesa all'ospedale—e continueranno a trovare capri espiatori sulla base della razza finché non avremo smascherato le vere radici di questi pregiudizi e i veri motivi per cui la vita di molti di noi sta diventando sempre più difficile.

Il razzismo basato sulla paura è sempre esistito. Ora che, dopo la Brexit, sta venendo allo scoperto, è il momento contrastarlo parlando delle vere ragioni dietro il declino economico del paese.

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