Dieci giorni di meditazione silenziosa in Toscana mi hanno dato allucinazioni e fantasie sessuali estreme

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Dieci giorni di meditazione silenziosa in Toscana mi hanno dato allucinazioni e fantasie sessuali estreme

Quando ti iscrivi a un ritiro di meditazione vipassana, ti viene chiesto di firmare un foglio in cui prometti che non te ne andrai. Ma solo dopo aver davvero iniziato ho capito il perché di quella domanda.

Quando ti iscrivi a un ritiro di meditazione vipassana, ti viene chiesto di firmare un foglio in cui prometti che non te ne andrai. Quando arrivi sul posto ti viene posta la stessa domanda. E dopo aver disfatto i bagagli, quando ti siedi in una cantina a sorseggiare tè alle erbe, ti viene chiesto di nuovo se sei davvero pronto a restare per tutta la durata del ritiro e a seguire alla lettera tutte le regole. Una persona sensibile potrebbe avere l'impressione di non essere ben accetta.

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Le regole sono semplici: devi meditare per dieci ore al giorno. Non puoi parlare, non puoi leggere, non puoi usare il telefono, non puoi fumare, non puoi avere un contatto visivo con gli altri partecipanti, non puoi masturbarti e non puoi andartene fino alla mattina dell'undicesimo giorno. E non dovresti nemmeno uccidere qualcuno.

La nostra guida si chiamava Davide. Assomigliava a Buddha—tondo e grassottello, con quel sorriso onnipresente sul volto di tutte le persone in aura di santità. Ci aveva osservati tutti con attenzione, cercando di capire se qualcuno di noi fosse scettico, cercando di cogliere scuotimenti di testa o incurvamenti delle labbra che facessero trasparire dubbi di sorta. Non vedendone, ci aveva chiesto di consegnargli i telefoni, i quaderni e i portafogli (cosa che non ho fatto, infrangendo la prima regola). A quel punto, la vipassana è potuta incominciare.

La meditazione vipassana è una specie di prigione silenziosa in cui entri di tua spontanea volontà. Durante il ritiro fai la vita di un monaco: non lavori, non ti distrai in nessun modo e limiti le tue attività al respirare, ingoiare cibo e fare pipì quando devi.

Il limite standard di queste sessioni è di dieci giorni, ma i meditatori più esperti riescono ad arrivare a farne anche 90—che immagino essere l'esperienza più vicina alla morte che si possa fare da vivi. La tecnica è stata sviluppata dallo stesso Buddha oltre 2.500 anni fa, ma è rimasta sconosciuta fino al 1950. Negli anni Settanta, in California e in Europa hanno iniziato a comparire centri di meditazione vipassana che offrivano alle persone la possibilità di cambiare la loro vita. John Frusciante, per fare solo un esempio, è uscuto dall'eroina dopo un ritiro di meditazione vipassana.

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Circa sei mesi fa ho iniziato a fare un uso pressoché regolare di sostanze psichedeliche. Un po' perché erano divertenti, ma anche perché sentivo che mi facevano bene. Quando ho sentito che la meditazione poteva avere effetti simili, ho fatto qualche ricerca e trovato un ritiro di dieci giorni di meditazione intensiva in totale silenzio in Italia. La prova della popolarità di esperienze del genere sta nella lista d'attesa: dopo aver fatto richiesta, ci sono voluti sette mesi per arrivare all'approvazione della mia candidatura. Quando finalmente è arrivato il mio turno, ho attivato la risposta automatica della mia casella di posta elettronica, mi sono masturbato per l'ultima volta e ho preso un volo, diretto verso la Toscana e il silenzio assoluto.

Il primo giorno di vipassana non è stato rappresentativo di quelli che sarebbero seguiti, perché avevamo ancora il permesso di parlare e socializzare. Gli uomini e donne—in tutto eravamo un'ottantina—stavano seduti in un'ampia sala comune, a parlare e bere zuppa. Si rideva e sono nate le prime simpatie. Il giorno dopo, alle 4 del mattino, è risuonato un forte gong e ci siamo messi tutti in marcia nell'oscurità, verso la stanza dedicata alla meditazione. Gli uomini e le donne sono stati separati. Per i giorni successivi, gli unici rumori a ricordarci la loro esistenza sarebbe stati il rumore delicato dei passi attraverso il loro lato del giardino, o il ronzio di un asciugacapelli in una gelida mattina toscana.

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Sono stato messo in una stanza insieme a cinque ragazzi sulla ventina, forse italiani, a giudicare dall'abbigliamento. Ma non posso esserne sicuro: a parte sentirli russare la notte, non ho potuto scambiare con loro neanche una parola. Ho imparato a riconoscerli anche dall'odore, perché nei ritiri di meditazione vipassana si tende a indossare gli stessi vestiti per dieci giorni e a dormire vestiti, perché di notte fa freddo. Inoltre, dato che ai partecipanti viene anche detto di risparmiare per quanto possibile l'acqua, la pulizia quotidiana non va molto oltre il lavarsi il viso. In generale, l'odore era talvolta caldo, talvolta stantio, talvolta di piedi sudati o di cane bagnato.

All'inizio la cosa più difficile della meditazione vipassana è stare seduti immobili. Ti vengono dati un cuscino e una coperta, e ci si aspetta che tu stia tutto il giorno così, con le gambe incrociate, ora dopo ora, tutto il giorno. La schiena inizia a farti male, le ginocchia ti bruciano, il coccige—quella parte del corpo che ti accorgi di avere solo quando ci cadi sopra—comincia a pulsare.

La seconda cosa più difficile della meditazione vipassana è il tempo. Ti siedi là con il corpo che ti si sbriciola sotto, aspettando i brevi minuti di pausa in cui potrai sgranchirti le gambe e bere una veloce tazza di tè. Avevo un orologio al polso: ogni volta che abbassavo lo sguardo, le lancette erano ferme. Ero convinto fosse rotto. Me lo sono tolto, ho tolto la pila, ci ho soffiato dentro, me lo sono strofinato contro il braccio, me lo sono rimesso e l'ho fissato finché la lancetta non si è mossa. Funzionava perfettamente. Era il tempo che si era rotto.

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Quella prima notte, dopo essermi messo a letto, ho tirato fuori il cellulare di nascosto. Non c'era campo. Ho deciso che il giorno successivo, invece di andare nella stanza della meditazione alle quattro di mattina con tutti gli altri, avrei fatto una puntata in cima alla collina in cerca di segnale.

La mattina dopo, però, ero troppo stordito per pianificare una fuga. È suonato ancora il gong, e prima che me ne accorgessi mi sono ritrovato seduto sul mio cuscino con le gambe incrociate, circondato dagli altri meditatori, ad ascoltare le istruzioni che mi dicevano di seguire il mio respiro. Mi aspettava un altro giorno di tortura.

Accanto a me c'era un uomo più vecchio di me. Aveva una felpa rossa con il cappuccio, e la scritta l Surf, Life, Love. Est. 1987 sulle maniche.

Per passare il tempo ho trasformato quelle parole in un codice, in cui ogni lettera rappresentava la sua posizione numerica nell'alfabeto più uno. Quindi Surf sarebbe stato 19, 21, 18, 6. E 1987 sarebbe stato A, I, H, G. Ho ripetuto questo procedimento per tutta la giornata, anche se non sembrava accelerare lo scorrere del tempo. Ho convertito tutti i numeri e le lettere che vedevo. Quella sera ho deciso di andarmene. La mattina dopo, pensavo, sarei andato in cima alla collina, avrei contattato dei miei amici, me ne sarei andato e avrei passato i giorni rimanenti a bere, mangiare, masturbarmi e godermi una vacanza in Italia.

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Quando mi sono svegliato la mattina dopo ero sul piede di guerra. Mentre gli altri meditatori si avviavano verso la stanza per la meditazione mi sono messo la giacca, sono uscito dalla fila, ho saltato il recinto che avevo promesso di non superare e mi sono messo a correre nell'erba bagnata, diretto verso la collina. La prima cosa di cui mi sono accorto è quanto fossero diventate inutili le mie gambe dopo che le avevo tenute incrociate per due giorni. Le mie ginocchia cigolavano come delle vecchie maniglie. Dopo pochi passi le cosce hanno iniziato a farmi male. Quando alla fine sono arrivato in cima ala collina, il segnale era così debole che funzionava solo Whatsapp. Ho mandato un messaggio al mio amico Andrea:

Domani me ne vado. Posso stare da te?

Dopo aver mandato il messaggio, mi sono sentito sollevato. Sono sceso dalla collina e sono tornato a letto. Quando più tardi è arrivata la colazione, ho bevuto del caffè solubile e mangiato del porridge freddo con l'atteggiamento di un uomo che sapeva che dal giorno dopo, nel suo futuro, ci sarebbero stati solo cornetti e cappuccini. Quando più tardi ho sentito il gong, mi sono diretto verso la stanza per la meditazione. Ho fatto 49 scalini (li ho contati) e mi sono messo al mio posto, vicino all'uomo con la felpa rossa, che era ancora tranquillo e sereno. Sono cominciate le istruzioni: concentratevi sul vostro respiro. Solo che questa volta, dato che avevo deciso che non c'era motivo di opporre resistenza a qualcosa che sarebbe presto finito, le ho seguite. Ho chiuso gli occhi e mi sono concentrato sul mio respiro. Mi sono concentrato così intensamente che a un certo punto ho sentito che la testa stava crollando.

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Solo che a cadere non era stata la mia testa, ma qualcosa al suo interno. Dopo, ricordo solo che la stanza era diventata incredibilmente silenziosa. Dico incredibilmente perché durante le sessioni precedenti c'erano sempre stati colpi di tosse e starnuti, nasi che tiravano su e gente che si schiariva la gola. Ma in quel momento, la stanza era diventata silenziosa come una bara. La mia testa è caduta un altro po' e mi si sono accese un sacco di luci dentro. Ho iniziato a vedere forme, come dei mandala, e poi dei razzi e delle esplosioni di luce così brillanti che ho dovuto aprire di nuovo gli occhi. Ho perso l'equilibrio, sono scivolato dal mio cuscino e sono caduto addosso la tizio con la felpa rossa seduto accanto a me.

"Scusa," ho detto in automatico. Lui mi ha guardato in modo gentile e si è portato l'indice alle labbra.

A inizio ritiro ci era stato detto che in caso di emergenza saremmo potuto andare a parlare con Davide, la guida che aveva organizzato e supervisionava il corso. Dopo quell'esperienza sono andato a trovarlo nella piccola stanza dove alloggiava. Mi sono seduto per terra, di fronte a lui, e mi sono sentito come un bambino che dopo essere stato in piedi per 40 minuti ha finalmente la possibilità di sedersi di fronte a Babbo Natale.

"Davide," gli ho detto, "ho appena fatto un viaggio."

"Cosa?" mi ha risposto Davide.

"Ho avuto le allucinazioni. Mentre meditavo. Così forti che sono caduto dal cuscino. Cosa significa?"

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"Significa che sta cominciando a funzionare," mi ha detto Davide, e mi ha congedato.

All'ora di pranzo abbiamo interrotto la meditazione. Durante le sedute di vipassana il pranzo è sempre molto frugale: vegano e molto poco saporito. Ma i pasti sono anche l'unico momento in cui si ha davvero qualcosa da fare, per cui ogni volta l'emozione che precedeva questi momenti era enorme. Il menù era praticamente lo stesso ogni giorno: riso, verdure, frutta. Mangiavamo in silenzio. Di fronte a me c'era un tizio con un poncho che mangiava la banana con forchetta e coltello. A tre sedie da lui, un altro teneva sollevata una foglia di insalata e la leccava lentamete. Io mi riempivo la bocca di lenticchie fredde. Se chiudevo gli occhi, tornavo a vedere quella specie di mandala che si tuffava e si muoveva da un angolo all'altro del mio campo visivo, come una piuma che esce da un cuscino bucato. Qualsiasi cosa avessi fatto, dovevo essere riuscito ad accedere a quella sezione del cervello che i neurochirurghi potrebbero chiamare "droga gratis."

Dopo pranzo sono tornato nella stanza della mediatazione e ho ricominciato a seguire il mio respiro. Questa volta ho iniziato a sentire delle scariche elettriche che mi scorrevano lungo le mani. Lo stomaco mi rimbombava, e c'era una grossa bolla d'aria che partendo dal mio intestino mi attraversa il collo fino ad arrivare alla testa, come una scossa. Era come essere sotto gli effetti dell'ecstasy, solo che non c'era musica, non stavo ballando e nessuno intorno a me fumava sigarette. Non stavo facendo altro che chiudere gli occhi e concentrarmi.

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Ho deciso di rimanere. Era troppo bello per perderselo. Quella notte, mentre stavamo tornando verso le nostre stanze, sono scivolato di nuovo fuori dalla fila, sono salito sulla collina e ho mandato un altro messaggio.

Una volta a letto ho chiuso gli occhi, e fino alla mattina è stato un trip continuo.

Il giorno successivo, però, è stato triste. L'uomo con la felpa rossa se ne è andato. Non era più di fianco a me nella stanza della meditazione: al suo posto era rimasto soltanto il suo cuscino, e l'odore lasciato dal suo sedere premuto su di esso per tre giorni. Ho chiuso gli occhi, mi sono concentrato sul mio respiro e ho aspettato le allucinazioni. Ma non è arrivato niente. Non sono riuscito nemmeno a concentrarmi. Riuscivo a pensare solo al sesso. Seduto in quella stanza silenziosa, ho ripensato a tutte le donne con cui sono stato da che ho memoria e ho immaginato di farci sesso di nuovo. Ho dovuto nascondere l'erezione sotto la coperta. Dopo la pausa, ho continuato. Niente riusciva a levarmi dalla testa il ricordo vivo di tutti i rapporti sessuali che ho avuto nella mia vita. Non era nemmeno granché, visto che nella maggior parte dei casi si tratta di incontri avuti da sbronzi su materassi sporchi, in stanze piene di poster attaccati al muro col patafix.

Un disegno dal diario dell'autore

Un amico che ha già fatto meditazione vipassana mi aveva preparato a quest'evenienza. È la ragione principale per cui separano i sessi. Il diavolo tiene occupate le mani pigre, penso, specialmente quelle che non possono toccarti per dieci giorni. Dopo la pausa sono tornato nella stanza. Questa volta ero determinato a non pensare al sesso. Volevo le allucinazioni. Questa determinazione ha cambiato qualcosa, solo non nel modo che avrei voluto. Ho iniziato a pensare di fare sesso con degli uomini. Ragazzi grossi, con barbe lunghe e petti villosi. E poi i peli del petto si sono trasformati in peli di cane, e ho visto un cane—Pascal, il cane del mio vicino, un animale dal manto giallo e pieno di buchi—che mi è salito sul petto e ha tirato fuori la lingua, Mi sono ritrovato ad avere un'erezione, mi sono alzato lasciando scivolare la coperta sul pavimento e ho barcollato fuori, alla luce del giorno. Era una bella giornata di tarda primavera. Nella valle sotto di noi i contadini stavano spingendo i loro trattori nel fango fresco e le vecchie raccoglievano la menta ai lati di un ruscello. Quei quattro giorni di meditazione intensa mi avevano fatto scoprire di essere un maniaco sessuale—o mi ci avevano fatto diventare.

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Sono andato a parlare con Davide.

"Sì?" mi ha detto.

"Davide," gli ho detto, "c'è qualcosa che non va. Ieri ero euforico, oggi è tutto un pensare alle perversioni."

"Deprivazione?" mi ha chiesto.

"Sì," ho risposto, "è orribile."

"È la legge dell'impermanenza," mi ha detto Davide, "niente dura per sempre. Questa è la lezione della vipassana."

"Quindi domani non sarà come oggi?"

"Niente dura per sempre," mi ha detto ancora Davide, sorridendo di nuovo.

"Grazie," gli ho detto, e mentre iniziavo a ripetermi mentalmente la sequenza "20, 8, 1, 14, 11, 19," mi sono chiesto se avesse ragione, e se prima o poi avrei smesso di trasformare lettere in numeri o di fantasticare di fare sesso con qualsiasi cosa si muova. Per cena abbiamo mangiato pasta al sugo. Nel mio piatto c'erano centinaia di piccole pennette oleose che mi fissavano. Mentre le mangiavo avevo un'erezione, ovviamente.

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Un disegno dal diario dell'autore

Il quinto giorno se n'è andata un'altra persona. Uno degli italiani grassottelli in camera con me. Sono tornato dalla meditazione mattutina e ho visto che il suo letto era fatto e non c'erano più le sue cose. Il suo russare era come un motore a due tempi in salita. Aveva un odore di vecchia gomma mista a talco. Chissà come si chiamava. Mi sarebbe mancato.

Incrociare le gambe nella stanza per la meditazione era piacevole come rimuoversi delle schegge, e le fantasie sessuali preoccupanti continuavano, anche se mi sentivo sollevato dal fatto che non includevano più animali domestici o uomini pelosi. Le allucinazioni non tornavano. Mi sentivo come se avessi ricominciato tutto da capo. Quel giorno, dopo pranzo, mi sono preso una pausa e sono andato sulla collina. Ho mandato un altro messaggio:

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Me ne vado. Questa volta per davvero. A presto. Un bacio

Sono sceso dalla collina e sono andato a parlare con Davide. A questo punto avevamo preso a chiamarci per nome. Sono entrato nella sua stanza e mi sono seduto a gambe incrociate di fronte a lui. Prima ancora che aprissi bocca, ha indicato le mie gambe.

"Guarda," mi ha detto.

Mi sono tirato su i pantaloni e ho notato che avevo una zecca all'altezza del polpaccio. C'erano dei cartelli, vicino alla collina, che avvisavano di non camminare nell'erba alta. Davide mi si è avvicinato, ha preso la zecca tra le unghie e l'ha tolta. L'ha tenuta nel palmo e me l'ha fatta vedere. Ho pensato che la zecca doveva avere un buco, eppure non provavo alcun desiderio sessuale nei suoi confronti. Con un solo gesto, Davide mi aveva salvato dalla malattia di Lyme e aveva curato la mia crescente depravazione sessuale.

"Che volevi chiedermi?" mi ha detto.

Non ho risposto.

Ma ho capito che dovevo rimanere. Il sesto e il settimo giorno sono andato a ogni singola sessione di meditazione—anche a quelle facoltatve. Meditavo anche durante il mio tempo libero e prima di addormentarmi. Lo trattavo come uno sport, una meditazione competitiva.

Durante quei due giorni ha piovuto. Forse era il tempo, o forse il fatto che le metà inferiori di noi si stavano decomponendo lentamente e dolorosamente, ma le persone hanno cominciato a comportarsi in modo strano. Il ragazzo italiano nella mia stanza ha cominciato a parlare con gli oggetti. Di notte arrivava a letto e diceva, "Ciao letto!" mentre la mattina, quando si metteva le scarpe, le incoraggiava con un "Andiamo!" Un altro ragazzo arrivava nella stanza per la meditazione con i pantaloni della tuta al contrario e un pezzo di sedere di fuori. I cordini della tuta gli penzolavano sul sedere come un gatto con due code. Il giorno seguente, dal corridoio si è sentito il rumore di una donna che russava. Qualcuno aveva provato anche a svegliarla, me lei continuava a riaddormentarsi. Non c'era niente che riuscisse a tenerla sveglia, neanche il dolore alle gambe, la fame o lo sfinimento derivante dal non aver nulla da fare.

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Quella notte abbiamo lasciato la meditazione e ci siamo messi a girovagare fuori, sulla collina, aspettando di rimetterci in fila per raggiungere le nostre stanze. Il cielo era stellato e luminoso come non mai. Qualcosa lo illuminava lasciando una lunga scia. Era la stella cadente più brillante che avessi mai visto. Nessuno è sembrato stupirsene.

L'ottavo giorno mi sono svegliato prima del gong, sono andato nella stanza per la meditazione quando era ancora vuota e ho cominciato a meditare da solo. Mi sentivo le gambe di gesso e il sedere mi faceva male come se qualcuno mi avesse preso a calci. Avevo degli spasmi alla schiena. Ho iniziato a seguire il respiro. Seguivo il mio respiro. Stavo attento a ogni piccola sensazione che mi attraversava. Le esaminavo una ad una come un chirurgo, come dicevano di fare nelle istruzioni. A un certo punto è successo qualcosa di stupendo e imprevisto. Delle piccole onde, che si muovevano come delle lunghe sciarpe di seta, hanno cominciano a scorrere lungo le mie membra indolenzite. Mi sono sentito incredibilmente leggero. Non mi sentivo più il sedere. Forse si era disciolto nel cuscino su cui ero seduto. Mi facevano male le spalle, e all'improvviso un'energia incredibile mi è fuoriuscita dallo stomaco, mi è salita nelle ossa ed è scesa di nuovo verso di me, come secchiate e secchiate di acqua calda che mi sfioravano piano. Avevo la sensazione di star levitando, di andare oltre la pelle e le ossa. Questa sensazione è andata avanti per tutta l'ora successiva, e quando il gong ha scandito l'ora del pranzo non mi sono alzato, non ho disteso le gambe, ma sono rimasto lì seduto e ho pianto.

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Bhanga Nana, è questo il termine usato dai maestri di meditazione vipassana per descrivere la dissoluzione del corpo. È un'esperienza incredibilmente potente, che ti porta al di là di qualsiasi dolore corporeo. E allo stesso modo ho passato anche il nono e il decimo giorno, in uno stato di iper-percezione e versando tante, tantissime lacrime.

Quando Davide ci ha detto che potevamo di nuovo parlare, siamo usciti sulla collina e ci siamo guardati l'un l'altro come se ci fossimo appena svegliati da un coma, finché finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dire "Buongiorno." Poi, dato che per gli italiani stare zitti è facile tanto quanto evitare di farti entrare la sabbia nelle scarpe quando vai in spiaggia, l'intera collina è stata avvolta dal rumore delle chiacchiere.

Alcuni non avevano fatto particolari esperienze. ll ragazzo che parlava con gli oggetti, Raphael, mi ha detto di non aver avuto visioni o belle sensazioni—solo dieci giorni di dolore al fondoschiena.

"Allora perché non te ne sei andato?" gli ho chiesto.

"Per il cibo," mi ha risposto. "E perché comprare un altro biglietto del treno per tornare mi sarebbe costato troppo."

Due ore prima di andarcene, gli uomini e le donne hanno avuto il permesso di rivedersi. Due ore erano abbastanza. Eravamo tutti eccitatissimi, e ancora un po' il nostro piccolo e silenzioso monastero in Toscana si sarebbe trasformato in un bordello.

Nel viaggio in treno fino all'aeroporto mi è sembrato di attraversare il giardino dell'Eden. Ma in aeroporto, mentre guardavo su un grande schermo le immagini del terremoto in Nepal, non riuscivo a smettere di piangere. Una donna mi si è avvicinata e mi ha chiesto se stavo bene. "Hai perso l'aereo?" mi ha chiesto. Ho alzato lo sguardo, e ho visto che aveva dei denti orribili. Non ho potuto fare a me di pensare a quanto doveva essere stata difficile per lei l'adolescenza, e non ho potuto fare a meno di piangere ancora. Continuavo a versare lacrime. Era come se il flusso di erezioni indesiderate fosse culminato in una sorta di eiaculazione oculare. Stavo avendo quello che gli esperti di meditazione vipassana chiamano "risveglio della compassione."

Restare per dieci giorni seduto in silenzio, imparare a meditare, rischiare di contrarre la malattia di Lyme, aver dolori ovunque dalle anche, alle ginocchia, al sedere, sono state tutte esperienze bellissime. Tornare nel mondo reale mi ha aiutato a mettere tutto in prospettiva. Il dolore e il piacere sono cose temporanee, e rincorrere solo queste di cose porta soltanto infelicità. E anche se sembra facile a dirsi, farlo non lo è affatto. Rimanere confinato per tutto quel tempo, costretto a concentrarmi su questa visione, mi ha dato la possibilità di farla mia. Quando nella vita mi succederanno cose brutte, ripenserò al dolore che ho provato alle gambe durante la meditazione vipassana e saprò che posso scegliere tra farmi stressare dal problema o lasciarmelo scorrere addosso.

Nel breve termine, credo che fare un'esperienza del genere abbia in qualche modo l'effetto di rallentare il tempo. Probabilmente perché nei giorni immediatamente successivi alla fine del ritiro non riuscivo a preoccuparmi delle cose di cui non aveva senso che mi preoccupassi, e questo mi faceva guadagnare un sacco di ore. Anche prendere decisioni era diventato molto più semplice. Per quanto possa sembrare stupido, il nostro corpo è in grado di dirci cosa dobbiamo fare, una volta che siamo riusciti a metterci in comunicazione con esso a un livello molto profondo.

Invece, per quanto riguarda le mie perversioni sessuali, posso solo dire che il primo uomo barbuto gay che ho visto quando sono tornato nel mondo reale non mi ha fatto alcun effetto, e lo stesso il secondo. Non mi ha fatto effetto nemmeno rivedere Rascal. L'ho accarezzato sulla testa e basta.

Thumbnail via Flickr. Segui Conor Creighton su Twitter.