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Due cose su Ilaria Cucchi e la pubblicazione della foto del carabiniere indagato

Nel dibattito sulla scelta di Ilaria Cucchi di pubblicare su Facebook la foto di uno dei carabinieri sotto accusa per la morte del fratello ci sono almeno due punti fondamentali che non sono stati sottolineati a sufficienza.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Ilaria Cucchi con il fratello Stefano. Foto via Facebook

Sebbene il primo processo sia arrivato in Cassazione, la sensazione che si stia cominciando a far luce per davvero sulla morte di Stefano Cucchi è arrivata solo negli ultimi mesi. A partire dallo scorso settembre, la procura di Roma—che ha aperto una nuova inchiesta sul caso—ha iscritto nel registro degli indagati cinque carabinieri, che stando alle accuse avrebbero preso parte o coperto il "violentissimo pestaggio" di Cucchi.

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Negli ultimi giorni ci sono stati ulteriori sviluppi. Il Corriere della Sera ha pubblicato l'audio di due intercettazioni particolarmente pesanti—la prima, al telefono, tra il carabiniere Raffaele D'Alessandro e l'ex moglie Anna Carino; e la seconda tra lo stesso D'Alessandro e altri colleghi, dove il poliziotto afferma che "se mi congedano vado a fare le rapine agli orafi."

A completare il quadro ha contribuito anche un'intervista ad Anna Carino, la quale ha detto che il marito "si vantava" di aver pestato "quel tossico," e che "è sempre stato così nel suo lavoro: 'ho fatto questo, ho fatto quello', 'ho avuto una missione importante' e così via."

È in questo preciso contesto—in cui per la prima volta si conoscono i nomi, le voci e anche il punto di vista di alcuni indagati—che ieri sera Ilaria Cucchi ha messo sulla propria pagina Facebook la foto di Francesco Tedesco, uno dei carabinieri sotto accusa, sostenendo di voler vedere " le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo."

In breve, sulla bacheca di Ilaria Cucchi sono comparsi insulti e commenti pesanti nei confronti del carabiniere, al punto tale che la stessa Cucchi è intervenuta per placare gli animi, dicendo di non tollerare "la violenza, sotto qualunque forma."

Quest'ultima, sempre nella serata di ieri, ha poi precisato in un lungo post il ragionamento che l'ha portata a fare una scelta del genere. Anzitutto, spiega Cucchi, "questa foto non è uno scatto rubato in violazione della privacy del soggetto ritratto, ma è stata addirittura postata dallo stesso sui social network." Da qui parte la decisione di pubblicare la foto, "perché la ritengo e la vedo perfettamente coerente col contenuto dei dialoghi intercettati e con gli atteggiamenti tenuti fino ad oggi dai protagonisti."

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In più, Cucchi afferma che "se fosse stato un comune mortale, cioè non una persona in divisa, non ci si sarebbe posto alcun problema. La cronaca nera è piena di 'mostri' rei o presunti tali di efferati ed orrendi delitti sbattuti in prima pagina."

Curiosamente, i commenti su Facebook di un altro carabiniere indagato, il maresciallo Roberto Mandolini, hanno ricevuto molta meno attenzione della foto del collega. A postarli è stata sempre Ilaria Cucchi, e in uno di questi si legge che "ho sempre rispettato la famiglia del Cucchi, non ho mai detto cosa mi ha confidato su di loro la sera dell'arresto, pertanto….."

Nel frattempo, l'avvocato del primo carabiniere ha dichiarato che Ilaria sarà denunciata "per le sue affermazioni e per le numerose gravissime minacce ed ingiurie che sono state rivolte a lui e ai suoi familiari a seguito e a causa della signora Cucchi."

Questa, in sostanza, è la cronaca di quanto è accaduto in queste ore. Trovandomi però a riflettere sulla scelta di Ilaria Cucchi—e senza giudicare sull'opportunità o meno di mostrare (o non mostrare) quella foto—ci sono almeno due punti fondamentali che secondo me non sono stati sottolineati a sufficienza.

Il Corriere della Sera , infatti, ha parlato di "un'Ilaria diversa, per la quale è un po' più difficile provare quell'empatia spontanea che si prova per le vittime e per le loro famiglie." Basta però dare un'occhiata alle homepage di oggi per rendersi conto di come il discorso non valga in assoluto, se applicato alla facilità con cui vengono condivise foto "private" legate a fatti di cronaca. Lo stesso giornale che ha criticato la scelta di Ilaria Cucchi—tanto per fare un esempio—non si è fatto troppi scrupoli ad attingere al profilo Facebook del ragazzo di 21 anni autore del famigerato sms con bestemmia finito sulla diretta della Rai a Capodanno.

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Il secondo punto, invece, è riscontrabile anche in altri casi analoghi a quelli di Cucchi: le famiglie sono puntualmente trascinate in tribunale dagli agenti coinvolti o indagati, nonché da alcuni sindacati, e contestualmente all'azione legale si affianca sempre la delegittimazione delle vittime di abusi.

Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, nel corso degli anni è stata querelata più volte dagli agenti responsabili della morte del figlio e da altri soggetti; a ciò si aggiungono il sit-in sotto il suo ufficio e gli insulti da uno dei poliziotti condannati, che l'aveva definita "faccia di culo" su Facebook.

In passato anche Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva—che proprio in queste ore ha deciso a sua volta di postare su Facebook la foto di uno dei poliziotti rinviati a giudizio, scrivendo che "come Ilaria Cucchi voglio farmi del male per vedere in faccia chi ha passato gli ultimi attimi di vita di mio fratello"—è finita sotto indagine per aver rilasciato un'intervista in televisione in cui accusava i presunti autori del pestaggio del fratello.

Per me, dunque, il senso di quella scelta—al di là dei giudizi—è comprensibile, così come lo è l'atteggiamento tenuto finora: non quello della vittima impotente e perennemente in lacrime, ma quello di una persona che fa di tutto perché la verità sulla morte violenta di un familiare venga a galla dopo sei anni di reticenze, omertà e depistaggi.

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