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La Primavera bulgara è iniziata a febbraio

Il Primo Ministro della nazione più povera dell'Unione Europea si è dimesso, ma le proteste non accennano a fermarsi.

Dopo una serie di proteste in tutto il Paese, mercoledì, il Primo Ministro bulgaro Boyko Borisov si è dimesso, dichiarando: "Per noi, ogni goccia di sangue è una macchia sulla nostra reputazione."

Le proteste che hanno portato alle dimissioni di Borisov sono frutto dell'indignazione per l'aumento dei costi di elettricità e riscaldamento nel Paese: il 10 febbraio, decine di migliaia di persone sono scese in strada per chiedere il ritiro delle licenze delle compagnie elettriche. Come spesso accade in queste circostanze, le manifestazioni hanno rapidamente assunto un carattere anti-governativo e sono sfociate in scontri sanguinosi tra polizia e dimostranti, tanto a Sofia come in altre città.

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Alcuni contestatori temevano che la popolazione fosse ormai desensibilizzata a protestare, e due persone, presumibilmente nel tentativo di attirare l'attenzione a livello internazionale, si sono date fuoco.

L'intero comparto elettrico bulgaro è gestito da società private sussidiarie di compagnie straniere come CEZ, E-on, EVN e Energo-Pro, che mantengono un monopolio nelle rispettive aree di influenza. La popolazione accusa queste imprese di alterare la lettura dei contatori così da poter alzare le bollette; forse non è un atto per cui valga la pena darsi fuoco, ma sicuramente giustifica la rabbia della gente e quindi le proteste.

Invece di condannare direttamente le imprese straniere, il governo bulgaro ha scaricato la colpa sulla Commissione nazionale per la regolazione dell'acqua e dell'elettricità, che dovrebbe controllare i fornitori e utilizzare i loro dati per fissare i prezzi. Ma non tutti si sono dimostrati miopi di fronte al disperato tentativo di tenere in piedi questo grosso giro d'affari e il 17 febbraio, una settimana dopo i primi focolai di protesta, i cittadini hanno unito le forze, attraverso Facebook e lo slogan "Bruciamo i monopoli", e sono nuovamente scesi in piazza.

In molti la chiamano "primavera bulgara", perché è chiaro che le ragioni del malcontento non dipendono esclusivamente dall'avidità di guadagno delle società elettriche straniere. La Bulgaria è la nazione più povera dell'Unione Europea, e come se non bastasse, il governo incarna al meglio il significato della parola "corruzione."

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Boyko Borisov e il suo partito, GERB [Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria], sono stati eletti nel 2009 con un ampio consenso popolare: Borisov aveva promesso di mettere fine alla corruzione dilagante a ogni livello dello Stato e di stroncare la criminalità organizzata, che dalla caduta del comunismo non ha fatto altro che crescere e prosperare. Purtroppo—non che sia una sorpresa—Borisov non è riuscito a contrastare la corruzione, così come ha fallito nel gestire la crisi del sistema scolastico e sanitario, settori in cui si registrano alcuni degli standard più bassi di tutta l'Unione Europea. Inoltre, le azioni che ha intrapreso contro il crimine organizzato raramente si sono concluse con una condanna, e alcuni boss mafiosi sono riusciti a scappare dal Paese a processo in corso.

Questo 2013 non si è rivelato un anno positivo per Borisov. Solo nei primi mesi si sono registrati nuovi scandali inerenti alla corruzione, proteste ambientaliste e problemi legati al finanziamento di progetti scientifici. A peggiorare ulteriormente la situazione, sono emersi documenti riservati dell'intelligence bulgara risalenti agli anni Novanta, contenenti informazioni che collegano Borisov alle cerchie criminali dell'epoca. Del resto, l'ex Primo Ministro non è affatto nuovo a controversie, come dimostra il suo curriculum da quattro anni a questa parte.

E nonostante questo, sono state proprio le 15.000 persone riunitesi a Sofia il 17 per tirare uova e pomodori marci contro la sede del Parlamento a mettere fine al suo incarico. Dopo aver passato un'ora a lanciare cibo e a intonare slogano contro il governo, la folla si è mossa verso il Ponte delle Aquile, a poche centinaia di metri dal Parlamento, bloccando uno degli snodi principali della capitale. Da lì, i manifestanti si sono diretti verso il quartier generale della CEZ—la compagnia che gestisce la rete elettrica di Sofia—dove hanno tirato sassi e bottiglie agli ufficiali di polizia messi a protezione dell'edificio.

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Tuttavia non si è trattato di un giorno segnato esclusivamente dalla violenza. A Varna, dopo che i dimostranti si erano scontrati con la polizia per tutta la settimana, un gruppo di ragazze si è messo a distribuire fiori ai poliziotti. Stranamente la cosa ha funzionato. Gli agenti di polizia si sono spogliati dei caschi e degli scudi e hanno fatto strada a 30.000 manifestanti, che sono riusciti a chiudere un'altra via di fondamentale importanza.

Il giorno successivo, il Ministro delle finanze Simeon Djankov, tra i più criticati del governo GERB e detentore del ruolo di Vicepresidente del Consiglio, ha dato le dimissioni.

Purtroppo licenziare un uomo non basta per rimediare a quattro anni di disastri, e la dipartita di Djankov non ha placato gli animi dei cittadini. Borisov non aveva ancora rilasciato una dichiarazione a proposito delle proteste di massa che stavano agitando il Paese che, ufficialmente, avrebbe dovuto governare. A fine giornata, il Ponte delle Aquile era stato nuovamente chiuso mentre all'incirca 5.000 protestanti furiosi si dirigevano verso il Parlamento scandendo lo slogan "via Djankov, ora fuori Boyko."

La polizia si era posta a scudo dell'edificio, che in bulgaro significa "Mettiamoci bene in fila così è più facile colpirci con sassi e bottiglie". Ma non tutti i manifestanti hanno accettato il loro suggerimento; molti volevano seguire l'esempio dei dimostranti di Varna e facevano appello a una protesta non violenta. Tuttavia, un gruppo più piccolo—formato soprattutto da giovani vestiti di nero—ha continuato a provocare la polizia.

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Istigare dei poliziotti già arrabbiati significa solo stimolarli a reagire, e così hanno fatto, respingendo la folla dall'edificio, inseguendo i rivoltosi per le strade di Sofia ed eseguendo arresti di massa per tutta la notte.

Martedì Borisov è infine apparso a una conferenza stampa per presentare alcune soluzioni al problema dei costi dell'elettricità. Forse è stato per i suggerimenti vaghi e completamente privi di valore, o forse perché ricorreva il 140esimo anniversario della morte di Vassil Levski (eroe nazionale detto "Apostolo della libertà") ma le proteste non si sono fermate. Quella stessa sera, più di 5.000 persone si sono radunate intorno al monumento di Levski, a due passi dal Ponte delle Aquile e dal Parlamento.

Alcuni portavano fiori, altri fuochi d'artificio, altri ancora urlavano. Dopodiché la folla è tornata davanti al Parlamento, dove alcuni agenti di polizia hanno abbassato gli scudi, calmando la folla e assicurando che non ci sarebbero stati scontri. Purtroppo, però, l'intermezzo pacifico non è durato molto.

Da lì a poco è scoppiato lo scontro più sanguinoso e violento finora avvenuto tra manifestanti e polizia: le persone venivano spinte a terra e picchiate dalle forze dell'ordine in un mare di foschia provocato dai fumogeni. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e il giorno dopo—mercoledì 20 febbraio—Borisov ha rassegnato le dimissioni.

Ora è compito del Presidente Rosen Plevneliev governare il Paese fino alle elezioni di aprile, e ha tutta l'aria di essere una sfida per niente facile. Nonostante le dimissioni di Borisov, le manifestazioni non si sono fermate, alimentate dai dimostranti scesi in piazza mercoledì sera e da nuovi gruppi di contro-protesta formati da sostenitori del GERB, che hanno sfilato la stessa sera e il giorno successivo.

La primavera bulgara è cominciata, e sembra destinata a durare.

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