Uno degli ingressi al Parco Saraceno, complesso abitativo nel Villaggio Coppola. Tutte le foto di Francesca Leonardi/Contrasto.
Claudia con le sue due figlie, Alessandra e Federica, in viaggio verso il carcere dov'è detenuto il padre delle figlie e suo ex compagno.
Francesca Leonardi: Sì, quell'esperienza è stata fondamentale per la mia formazione, mi ha permesso di assorbire gli aspetti canonici della fotografia e moltissime nozioni tecniche, importantissime in quel mondo focalizzato sull'aspetto estetico. Ma ho capito immediatamente che la moda non faceva per me, e poco tempo dopo ho lasciato Miami per New York.A New York avevo bisogno di lavorare, ho continuato a fare l'assistente e ho frequentato l'International Center of Photography, dove ho conosciuto dei fotografi meravigliosi. In quel contesto ho cominciato a pensare all'aspetto narrativo della fotografia, alla necessità di avere delle storie da raccontare, da seguire.
Federica, secondogenita di Claudia, mentre gioca con una bottiglia di plastica in mezzo alle palazzine abbandonate del Parco Saraceno.
Ho cominciato a fotografare una famiglia ecuadoriana, e capito da subito che ciò che m'interessava era indagare all'interno dell'intimità delle persone. Poco dopo sono dovuta tornare in Italia, ma sentivo la necessità di continuare a lavorare su quella che era la tematica che più mi aveva interessato negli Stati Uniti: l'immigrazione. [Tutto è iniziato perché] a New York mi sentivo immigrata in terra straniera e ho cominciato a frequentare altri 'immigrati'—persone come me, lontane dalla propria casa e dalle proprie radici, incontrandomi con i vari temi che a essi sono legati: la solitudine, la nostalgia, le differenze culturali.
Federica il giorno della vigilia di Natale,
Fino ai 20 anni ho vissuto in Italia, quindi i miei riferimenti culturali ed estetici sono italiani. New York, con le sue ricche gallerie d'arte e libertà espressiva, mi ha dato senz'altro degli stimoli creativi che non avrei potuto avere in Italia. Credo anche che confrontarmi con tanti fotografi e artisti provenienti da diversi paesi mi abbia aperto la mente alle molte possibilità d'espressione.A influenzare il mio lavoro credo poi siano stati gli insegnanti di fotografia che ho incontrato all'ICP e i fotografi con cui ho lavorato come assistente. All'ICP ho conosciuto Amy Arbus, che mi ha spinto a superare i molti timori iniziali che avevo e a cercare un certo tipo d'intimità.Parliamo del tuo ultimo progetto, Terra di Cemento. Come nasce?
Terra di Cemento nasce da un'indagine che ho fatto a Castel Volturno sulla via delle migrazioni in Italia da parte dei richiedenti asilo. In Bed dreams, il progetto precedente a questo, mi sono occupata delle condizioni di vita degli immigrati e dei richiedenti asilo politico in Italia, e fotografando la comunità immigrata—soprattutto quella nigeriana—sono entrata nel Villaggio Coppola, che ho poi soprannominato Terra di Cemento.
È successo tutto in modo molto naturale. Più andavo a fondo più la storia m'interessava, e di conseguenza ho sentito la necessità di conoscere le persone che abitavano quelle case, le loro storie personali. Sono tornata più volte per fotografare le strutture, ho cercato di trovare uno stato emotivo da legare a quei luoghi praticamente abbandonati, con palazzoni che sembravano strutture dell'Europa dell'Est, case molto diverse da quelle intorno.Sapevo che c'erano tante persone legate ambiguamente alla legalità. Ho incontrato diversi residenti, tra cui Claudia, che poi è diventata la protagonista della parte successiva del progetto.
Claudia in un momento di pausa nel bar dove lavora come cameriera del turno di notte.
È stato un rapporto costruito nel tempo, nato con un caffè. Lei era tanto curiosa di me quanto io di lei. Ho iniziato a raccontarle della mia vita e gradualmente è nato un rapporto di fiducia. La sua è sempre stata una casa aperta ai tanti conoscenti e amici ed è una persona molto ospitale.La seconda volta che ci siamo incontrate già mi ha invitata a dormire sul divano di casa sua, e questo ha facilitato tantissimo, perché voleva dire vivere la storia dall'interno. Sono entrata in contatto con le sue figlie, con le quali spesso condividevo la stanza. Ci addormentavamo con i miei racconti sull'America e le loro storie del Villaggio Coppola.
Claudia durante l'attesa del terzo figlio.
Condividere con lei la quotidianità è stato estremamente cruciale per la storia e dall'altro lato anche molto difficile. Io ero parte integrante della storia, e alle volte non è stato facile fare un passo indietro ed esserne testimone e non soggetto. Claudia è una persona con stati emotivi molto altalenanti, con picchi di grandissimi slanci sia positivi che negativi. Più il rapporto si faceva intimo, più era difficile non intervenire in determinate circostanze.
Claudia ed Emiliano,
Non ho fatto nessun tipo di scelta estetica. Cerco di lasciare tutto al momento e al fluire delle situazioni. Penso che la situazione in cui mi sono ritrovata mi abbia permesso di avere un punto di vista molto privilegiato, di sparire. Quindi quel tipo di scatti mi sembravano il modo migliore per poter raccontare la storia dal suo interno.A Claudia è piaciuto il progetto?
Un paio d'anni dopo che ci conoscevamo ho avuto la necessità di farle vedere le foto che avevo scattato fino a quel momento, ritenevo importante che accettasse il mio lavoro. Claudia tiene molto al suo aspetto fisico ed è abituata a vedersi in un certo modo—quindi non avevo idea di cosa avrebbe pensato di quegli scatti che la ritraevano anche in momenti di forte emotività.Le ho portato le foto, e lei le ha sfogliate senza fare nessun commento mentre io me ne stavo timorosa a cercare di capire che ne pensava. Non mi ha detto niente finché non siamo andate a portare altre fotografie alla sua vicina di casa, una donna nigeriana anche lei ritratta nel progetto. Guardandosi, la donna ha detto "sono messa malissimo" e Claudia le ha risposto "non sono foto in cui ti vedrai bella, sono foto della tua vita, della tua quotidianità: in queste foto ti vedrai come veramente sei." Quella frase è stata più importante di ogni frase di convenienza che avrebbe potuto pronunciare ed è stata una grande soddisfazione, dato che rifletteva perfettamente quello che era l'intento del mio lavoro.
Federica mentre viene sgridata dalla madre Claudia
Ogni volta seguo le necessità di conoscenza che sento nel momento. Sono sicuramente curiosità umane, e sono delle curiosità che mi portano sempre più all'interno di situazioni, in cui cercare un'esperienza personale.In tutti i miei lavori, in Egitto come nel Villaggio Coppola, ciò che mi preme è la costruzione di un rapporto di fiducia con le persone che sto fotografando. I miei progetti sono storie che riguardano esistenze individuali attraverso le quali poter raccontare la tematica e il contesto sociale.
Claudia ed Emiliano, padre del terzo figlio di Claudia, sul divano della loro abitazione occupata, al Parco Saraceno.