La guida di VICE a Napoli

Situazione: stai programmando le vacanze, un weekend lungo, una gita fuoriporta o semplicemente devi passare mezza giornata in una città che non è la tua. E cosa fai, se non scrivere a quell’amico/a che lì ci vive o ci ha vissuto, e dopo una serie accettabile di convenevoli pregare perché ti dia consigli sui posti in cui mangiare e da visitare?

Ecco, abbiamo pensato di fare un favore ai suddetti amici e liberarli da questa incombenza creando una serie di guide a città o zone d’Italia, tutte scritte da giovani local e pensate per altri giovani. In questo modo tu sai dove andare e noi diventiamo un po’ tuoi amici. Bello, no?

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Dopo esserci fatti un giro nella Sicilia Orientale, siamo a Napoli. Una luogo di cui tutti ora sembrano volere un pezzo, e che è cento città insieme, tutte diverse tra loro e al tempo stesso diverse da ogni altra città italiana. Iniziamo, dunque: cosa vedere, dove mangiare e come divertirsi a Napoli?

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Il mercato di Porta Nolana.

COSA VEDERE GRATIS O CON POCO

Napoli vive in strada e di strada, quindi per vostra fortuna non sarà difficile trovare qualcosa da fare a tutte le ore del giorno, semplicemente camminando per le vie della città—e specifichiamo camminando perché molte delle cose da vedere sono nelle viuzze del centro o poca distanza da queste. Per farvi un’idea, il nostro consiglio è di partire dall’alto: salendo a Castel Sant’Elmo (ecco, per arrivarci magari optate per la funicolare) potrete osservare l’intera città, dal Vomero, i Quartieri Spagnoli e la Sanità a ventaglio sotto di voi fino al Vesuvio in fondo, e in mezzo Spaccanapoli, la via che divide nettamente la città antica tra nord e sud, e ancora il mare e le isole da una parte e la reggia di Capodimonte dall’altra.

Prima palazzo reale, poi fortezza e poi carcere, Castel Sant’Elmo di per sé non offre grandi attrattive al di là di singoli eventi e mostre, ma salire è anche un modo per tornare a piedi dalla Certosa di San Martino attraverso la Pedamentina, oltre 400 gradini che collegano l’altura con il centro e che costeggiano orti, giardini e casette gialle. Napoli è piena di scale, nate soprattutto con le espansioni fuori le mura del sedicesimo secolo—tra queste lo scalone monumentale di Montesanto, il Petraio coi palazzi liberty o il Moiariello, che collega via Foria all’Osservatorio astronomico di Capodimonte—ma se siete pigri o non avete Instagram potete optare per qualche terrazza sul tetto. Il panorama sarà fighissimo lo stesso (inoltre, entro fine anno dovrebbe riaprire al pubblico anche il tetto del Duomo).

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Partecipanti a un evento gratuito dell’Accademia di Belle Arti.

Proprio il Duomo è uno dei posti che troverete in tutte le guide, insieme a piazza del Plebiscito, la cappella Sansevero col Cristo velato, il Maschio Angioino o Castel dell’Ovo (legato a una delle leggende della Sirena Partenope, uccisasi per non essere riuscita a sedurre Ulisse e dissoltasi sugli scogli dando origine alla forma della città). Accanto a questi, però, non si possono non citare simboli di una Napoli contemporanea come l’Orto Botanico (visitabile gratuitamente), il Museo Madre e il PAN (Palazzo delle Arti di Napoli).

Al di là dei musei, un posto speciale è occupato da Palazzo Venezia (o palazzo Capone San Marco), un’ex ambasciata veneta nel cuore del centro storico ma lontana dal trambusto. Il palazzo è gestito da un privato, è accessibile gratuitamente e ospita mostre, eventi, corsi di ballo, workshop di pittura—ma ha anche un giardino e un salotto in cui starsene a oziare o leggere in pace.

Molte altre chiese e basiliche sono visitabili gratuitamente, dal suddetto Duomo al Gesù Nuovo, così come libero è l’accesso al Cimitero delle Fontanelle, scavato nella roccia di tufo della collina di Materdei alla Sanità. Quest’ultimo, nato come ossario in seguito a un periodo di rivolte popolari, carestie, pestilenze ed eruzioni del Vesuvio, fu sede nel dopoguerra del rito delle “anime pezzentelle,” ovvero l’adozione e la cura da parte dei napoletani dei crani di queste anime abbandonate (capuzzelle) in cambio di protezione.

Un capitolo a parte tra le cose da vedere senza spendere è quello dei mercati. A pochi metri dalla Stazione Centrale, il Mercato di Porta Nolana parla da sé: di primo impatto è solo un’accozzaglia di bancarelle, ma una volta entrati è impossibile non lasciarsi affascinare dal suo folklore. Il mercato della Pignasecca (che si chiama così perché dal mare al centro storico un tempo era tutta una pineta, poi ridotta a un unico albero infine seccato), a due minuti da via Toledo, è perfetto per l’ora di pranzo, poiché in zona si concentrano bancarelle e ristoranti degni di nota, mentre quello della Torretta a Mergellina è uno dei pochi coperti rimasti in città. Un po’ fuori dai circuiti turistici segnaliamo il mercato Caramanico a Poggioreale, che dal venerdì al lunedì è una specie di paradiso per le scarpe, e quello della Resina a Ercolano—il più grande mercato dell’usato del centro-sud, nato per smerciare oggetti e vestiti trafugati ai convogli americani nel dopoguerra e diventato il luogo in cui trovare camicie di Prada a pochi euro.

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Le cornetterie sempre aperte sono parte della vita notturna di Napoli.

DOVE DIVERTIRSI LA SERA

Il discorso di Napoli di strada vale anche e soprattutto per la sera. Per andare a colpo sicuro iniziate da piazza Bellini, luogo di ritrovo di giovani di ogni tipo e di motorini che si trasformano in panchine. Bevete qualcosa da Peppe ‘o Spritz (il vero nome è Caffè dell’Epoca, ma nessuno lo chiama così) o seduti a uno dei bar che affacciano sulla piazza—che ospita anche il Teranga di vicoletto Costantinopoli, dove si beve e si mangia, e dopo mezzanotte si balla (principalmente afrobeat e dancehall).

Per uno spritz nei dintorni non spenderete più di 3 euro, ma se volete andare al risparmio il posto che fa per voi è Cammarota, alle porte dei Quartieri Spagnoli: qui con un euro è possibile consumare un bicchiere di spritz e vino bianco fatto in casa. Il locale è sempre pieno, soprattutto di universitari, ma se ci si ingegna è possibile trovare un posto a sedere, magari accompagnati da un tarallo venduto dal carrello a fianco.

Accanto a piazza Bellini ci sono invece Futuribile Record Club, in cui troverete una selezione invidiabile di Italo Disco, e Perditempo, sempre affollato e altrettanto pieno di musica. Da lì ci si può spostare su via Benedetto Croce—al primo piano di Palazzo Venezia da poco più di un anno è nata A’ Mbasciata, ex casa abbandonata ora ritrovo di condivisione di arte, musica e teatro, mentre la traversa via San Sebastiano ospita il club Galleria 19 (ex Rising South)—e poi su piazza San Domenico Maggiore e piazzetta Nilo, e ancora a scendere via Palladino (amanti del gin tonic, segnatevi La Fesseria), via Mezzocannone e largo Giusso, che ospita uno dei bar più storici e più frequentati del centro, il Kestè, esattamente sotto l’Università l’Orientale.

Il quartiere Chiaia ha invece una frequentazione più “fighetta”: i cosiddetti “baretti” in via Bisignano sono sempre affollatissimi. Tra questi, Happening cocktail bar e Drogheria Fiorelli.

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Aperitivo da Cammarota.

Per il fine serata, invece, i cornetti—classico (crema e amarena), a marmellata, al cioccolato, di pasta brioche o di pasta sfogliata—sono un’istituzione. Ci sono i bar come Tico o L’Eden a Fuorigrotta, Il Ciottolo a via Marina o a viale Michelangelo, e poi c’è il bar Esposito a via Salvator Rosa, che offre il servizio di consegna a domicilio fino alle ore più piccole.

COSA MANGIARE

Una gita a Napoli non può prescindere dal cibo: dalla gastronomia qualunque su Just Eat ai ristoranti e le trattorie in ogni via o vicolo, è difficile trovare un piatto che vi deluderà—a partire dalla pizza. Oltre alle classiche e a quelle col cornicione ripieno ci sono la pizza fritta e quella a portafoglio, e non potete andarvene da qui se non ne avete assaggiata almeno una per tipo (sotto trovate gli indirizzi fondamentali).

Ma la cucina napoletana è in generale ricca di piatti della tradizione povera così come di specialità di mare. Solo sulla pasta ci sono tante combinazioni quanti i giorni dell’anno: pasta e patate con la provola, pasta e fagioli, pasta e piselli, pasta alla genovese (ragù in bianco e cipolle), frittate di pasta, pasta con le vongole o coi frutti di mare, che possono essere in bianco o con un po’ di sugo. E poi salsiccia e friarielli, polpette, gattò di patate, casatielli, zucchine alla scapece, melanzane a funghetto, polpi alla luciana, fritture di paranza, alici imbottite o fritte con la provola e baccalà in tutte le salse.

A proposito di fritti non si può poi ignorare o’ cuoppo, un cartoccio a forma di cono che si riempie con ogni sorta di fritto. Sono un esempio di cuoppo di mare quelli con alici fritte, baccalà fritto, arricchiti con zeppoline di mare, oppure con anelli di calamari e moscardini. Sul resto del cibo di strada, rimandiamo alla sezione successiva.

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Sfogliatelle da Attanasio.

Quanto ai dolci, uno dei più tipici della tradizione napoletana e campana in generale è la sfogliatella, riccia se preparata con pasta sfoglia oppure frolla se preparata con la pasta frolla. Sarebbe arrivata a Napoli a inizio Ottocento, dopo che un oste che frequentava il convento di Santa Rosa entrò in possesso della ricetta segreta di un dolce chiamato Santarosa e la trasformò. Ma la lista dei dolci è lunga, e molti di questi hanno a che fare con conventi: babà, pastiera (Pasqua e tutto l’anno), struffoli (per lo più a Natale), zeppole di San Giuseppe, fiocchi di neve (micro-panini di pasta brioche farciti con panna, ricotta e crema, nati nella pasticceria Poppella del Rione Sanità).

Vi è venuta fame? Bene, ecco un po’ di indirizzi in cui assaggiare queste cose.

DOVE MANGIARE

Partendo proprio dalle sfogliatelle, per chi arriva a Napoli in treno è d’obbligo una tappa da Attanasio, su una traversa di piazza Garibaldi, che sforna sfogliatelle inimitabili (1,30 euro l’una) insieme a un’ottima pasticceria (provate anche la caprese bianca o la classica al cioccolato e i babà ai frutti di bosco). C’è sempre fila, ma prendete il biglietto all’interno e con un po’ di pazienza sarete serviti. Quanto al cornetto, a colazione provate quelli del bar Moccia o del bar Cimmino.

Su primi e secondi consigliamo Osteria della Mattonella in via Giovanni Nicotera per pasta alla genovese (6 euro) e pasta e patate, o polpette (a 6,50 euro) e qualunque contorno disponibile (3 euro) alla Taverna del Buongustaio in via Basilio Puoti. Più o meno a metà tra questi due indirizzi c’è una proposta per chi cerca una fuga dalla tradizione e una clientela mediamente più giovane: Soulcrumbs, un bistrot con piatti di ispirazione nordica preparati con prodotti campani. Arrivate all’aperitivo per i vini naturali e fermatevi per i noodles di segale con una zuppetta di vongole, lemongrass e peperoncino, o anche solo per il loro incredibile pane.

Tra i più giovani va anche Tandem, specializzato in ragù napoletano (‘o rraù) e presente in vari punti della città: polpette o scarpette in via Paladino, carni di grande formato in via Sedile di Porto, genovese di carne e genovese di polpo in piazza del Gesù, e da asporto in via Mezzocannone, con opzioni vegane (aka ragù di seitan) in ognuno dei quattro indirizzi.

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A pranzo da Nennella.

Se fino a questo punto non abbiamo nominato Nennella è perché ormai è talmente famosa da essere parte del patrimonio cittadino e in particolare dei Quartieri Spagnoli. Qui non dovete perdervi pasta e patate con la provola, linguine olive e capperi e salsiccia e friarielli, oltre ai tanti piatti del giorno pubblicati insieme al resto del menù sulla loro pagina Facebook. Preparatevi ad aspettare (se non si fosse capito, la maggior parte di questi locali non funziona col sistema delle prenotazioni, ma lasciando il proprio nome all’arrivo) e al personale piuttosto particolare. Astenersi se permalosi o attaccabrighe.

Sui piatti esclusivamente di pesce regna indiscussa la Pescheria Azzurra. Posta nello storico mercato della Pignasecca è aperta a pranzo e cena, quando spariscono i banchi del pesce e si fa spazio per altri tavoli. Da provare assolutamente gli spaghetti con vongole e tarallo, i paccheri pesce spada e olive nere o quelli impanati e fritti farciti di baccalà (tutti e tre i piatti 8 euro ciascuno). Per chi va di fretta o non vuole fare la fila, per 5 euro è possibile portar via un cuoppo eccellente.

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E a cena alla Pescheria Azzurra.

Sulle pizzerie si apre un capitolo più complicato: ognuno è certo di conoscere la migliore e non accetterà di sentirsi dire “ma Sorbillo l’ho già provato a Milano.” Come il caffè, la regola impone che a Napoli sia sempre un po’ più buona. Tra i nomi che sentirete più spesso ci sono, oltre al già citato Sorbillo, l’Antica Pizzeria da Michele a Forcella, che dal 1870 offre solo due varietà, marinara e margherita (normale, large e doppia mozzarella); Di Matteo su via dei Tribunali e Concettina ai tre Santi in via Arena della Sanità. Qui, oltre che per dire di essere stati a mangiare la pizza da Ciro Oliva (d’obbligo quella al tarallo), provate la frittatina di pasta alla genovese. Se non volete aspettare troppo, arrivate dappertutto a inizio o fine servizio. Per la pizza fritta, i nomi sono invece La Masardona, col suo doppio disco di pasta per massima protezione del contenuto, Starita a Materdei, Da Zia Esterina (costola di Sorbillo, in via dei Tribunali), De’ Figliole e La figlia del Presidente.

Sul capitolo street food fortunatamente c’è Munchies, che ci porta tra gli ambulanti sul lungomare per provare taralli (0,50 l’uno, e che non hanno nulla a che fare con quelli pugliesi), ‘o pere e ‘o musso (piedi di maiale e muso del vitello, bolliti e serviti freddi a piccoli pezzi con un condimento di sale e succo di limone), panini e pannocchie. Aggiungiamo solo che nei pressi di Porta Capuana c’è Lello delle Granite, un chioschetto diventato un’attrazione per la varietà delle granite di frutta fresca e le macedonie (il tutto a solo uno, massimo 2 euro).

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Granite da Lello.

IL MARE A NAPOLI

“Andare a mare” a Napoli è facile senza necessariamente spostarsi sulla costiera o le isole (per inciso, l’aliscafo da Napoli per Ischia o Capri costa da 20 euro in su a tratta), ma dirigendosi semplicemente dal centro verso il quartiere di Posillipo.

Il posto più scenografico è sicuramente la Gaiola, a cui si arriva a piedi dalla Discesa Gaiola. Dal lato opposto alla spiaggia sul costone roccioso c’è la riserva marina protetta vera e propria, coi suoi due isolotti collegati da un ponte artificiale—una descrizione che avrete modo di criticare per la sua incompletezza andandoci gratuitamente (l’accesso è limitato a 100 persone al giorno rilasciando un documento all’ingresso, e senza possibilità di consumare cibi o bevande all’interno) o informandovi sulle a tratti macabre storie che la riguardano.

Marechiaro, da cui il Parco Sommerso di Gaiola si estende fino alla Baia di Trentaremi, è un vecchio borgo di pescatori. Si può fare il bagno sia sulla scogliera (a cui si accede scendendo a destra e passando sotto le impalcature di legno) sia dalla Calata Ponticello (scendendo dalle scalette a sinistra), tramite un barchino che per pochi euro vi porterà allo Scoglione. Dalla stessa zona partono anche imbarcazioni per escursioni alla Gaiola o a Parco Sud Italia con le sue ville. Negli ultimi anni ai barchini si sono aggiunte le escursioni in kayak (vedi Kayak Napoli, che ne offre di vario tipo) con punti di partenza da diversi lidi: la partenza è consigliata dalla Baia delle Rocce Verdi, quasi a Capo Posillipo.

A proposito di lidi, ci sono vari stabilimenti balneari, come il Bagno Elena o il Bagno Sirena (da quest’ultimo partono altre escursioni in kayak) in cui, con un ingresso tra i 10 e i 15 euro, è possibile avere un lettino o sdraio (le tariffe per cabina e ombrellone sono a parte, e arrivando nel pomeriggio si paga meno).

Già che ci siete, potete approfittare della presenza in zona per un giro sulle terrazze sul golfo del Parco Virgiliano—che non va confuso col Vergiliano, un altro parco sempre a Napoli (e nemmeno troppo lontano, a 200 metri dalla metro Mergellina) che ospita le tombe di Virgilio e Leopardi.

COME NON FARE I TURISTI

Napoli è una meta turistica e culturale in continua ascesa, ed è passato del tempo da quando veniva descritta come città della munnezza. Ma questo non significa che non abbia delle problematiche, in alcuni casi ben più accentuate rispetto ad altre aree d’Italia. Ci sono zone che gli stessi napoletani magari evitano o vi diranno di evitare, e che rappresentano lo zoccolo duro dell’illegalità diffusa e della disobbedienza incivile disorganizzata (non parliamo dei palcoscenici della cronaca nera come Secondigliano e Scampia o gli agglomerati di San Giovanni a Teduccio e Ponticelli, ma di vie del centro).

Il consiglio migliore, in questo e altri casi, è essere consapevoli. Anche solo ricordandovi—cosa comunque valida dappertutto—che le persone non esistono per il vostro feed e che non siete in una specie di safari. Basta fare foto ai bambini per strada per metterle su Instagram, tanto per cominciare. Per quello ci sono le iniziative di “fotografia sociale” dell’associazione No Comment, che cerca di far conoscere una realtà di disagio tra le piazze e i quartieri normalmente frequentati dai turisti e che, al di là della denuncia civile (che non va confusa con lo scandalismo fine a se stesso), fa anche opera di conservazione della memoria storica dei quartieri.

Se poi volete farvi un’idea di quali siano i problemi e le iniziative messe in piedi da parte della cittadinanza per rispondervi, provate a dare un’occhiata alle attività dell’ex OPG Je So’ Pazzo (sì, sono quelli da cui nasce Potere al Popolo, ma per un attimo freghiamocene della politica). Occupato a inizio 2015 da studenti, disoccupati e professionisti, in questi anni l’ex ospedale psichiatrico è diventato un centro solidale per aiutare persone in difficoltà e contrastare intolleranza, discriminazioni, disoccupazione, sfruttamento e lavoro nero (legato anche all’industria del turismo locale, e che quindi potrebbe riguardarvi direttamente).

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VOCABOLARIO MINIMO

In questa sezione, invece, troverete un po’ parole e modi di dire ancora oggi insostituibili:

FRÀ/FRATM: diventato ormai un intercalare, non si usa solo per il fratello di sangue o per il migliore amico. Frà può essere il barista che ti serve il caffè tutte le mattine, il barbiere, il parcheggiatore abusivo.

PARIÀ/PARIAMM/PARIARE: divertirsi, perdere tempo, comportarsi in modo sciolto, godersi la vita. Ma in alcuni casi può avere anche un’accezione diversa, tipo infastidire, deridere: “te sto pariann ncuoll” (ti sto sfottendo). O anche divertirsi in modo esagerato: “sto pariando malamente”, “sto pariando a pazzi.”

CHE TARANTELLE: “Che casino!”, ad esempio rispetto a un litigio o rispetto a un racconto intricato.

MANNACCIA LA MARINA: è un’imprecazione che ha origini storiche: si narra che Francesco II di Borbone imprecò contro la Marina del Regno delle Due Sicilie quando seppe dello sbarco di Garibaldi sulle coste calabresi e siciliane.

AUMM AUMM: più che una parola è un suono. Qualcosa fatto aumm aumm è sicuramente qualcosa di losco, che deve rimanere segreto.

SPARAGNA E COMPARISCI: in sintesi, ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. È un concetto figurato molto ampio che è alla base della napoletanità.

È FERNUT ‘A ZEZZENELLA: è uno dei detti più comuni della lingua napoletana. L’estate sta finendo, si torna in città, sui libri, a lavoro, la spensieratezza e il relax cominciano ad allontanarsi e si riavvicinano impegno, senso del dovere e responsabilità. In breve: ZEZZENELLA IS OVER (“è fernut ‘a zezzenella”).

UNA PLAYLIST PER ENTRARE NEL MOOD

“Da qualche anno a questa parte,” spiegano su Noisey, “Napoli sembra non avere più segreti. Tutti ne parlano come di un mondo (a parte) che conoscono a menadito, salvo confondere una città con l’allucinazione collettiva prodotta dalle luci del set di Gomorra, il bomberino di Liberato e il TripAdvisor di De Magistris. Inutile dire che, come ogni luogo in cui da secoli si addensano umani, imbarcazioni, merci e laterizi, Napoli di segreti è piena.” Ecco perché abbiamo pensato di concludere il nostro viaggio con Napoli Segreta, una raccolta di tracce nata dalla collaborazione tra Nu Guinea, DNapoli e Famiglia Discocristiana in cui troverete disco napoletana anni Settanta/Ottanta, funk sintetico d’epoca, produzioni misconosciute e sotterranee per non dire totalmente oscure.

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