Dentro le operazioni di recupero del “relitto della morte” affondato nel canale di Sicilia

Centinaia di corpi, volti senza nome, vittime dimenticate della tragedia dei migranti, sono ammassate da un anno nella stiva di un’imbarcazione adagiata sul fondo del Canale di Sicilia, a 370 metri di profondità, e a circa 85 miglia dalla costa libica.

Sono i morti della più grave tragedia nella storia recente delle migrazioni — quella che vide un barcone affondare durante la traversata del Mediterraneo il 18 aprile 2015, trascinando con sé tra i 700 e i 900 migranti, e lasciando pochissimi superstiti.

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A dodici mesi da quell’incidente – forse causato dalla collisione con un mercantile – è cominciata un’operazione di recupero senza precedenti nel mondo.

Lo scorso 27 aprile, quattro navi della Marina Militare italiana – la Anteo, la San Giorgio, la Alghero e la Tremiti – si sono avviate verso il luogo dell’affondamento per ripescare il relitto dalle acque.

L’unicità dell’operazione riguarda anche le tecniche utilizzate: una volta ripescato dal fondale, il natante verrà congelato con l’azoto liquido – per mantenerne l’interno a una temperatura compresa tra i 5 e i 10 gradi, ed evitare una decomposizione troppo rapida dei corpi – e trasportato su una chiatta larga 30 metri e lunga 90.

Un’immagine del relitto, arenato a 370 metri di profondità. [Foto: Marina Militare, via]

Successivamente, l’imbarcazione verrà trascinata fino al pontile Nato di Augusta, in provincia di Siracusa, per poi essere inserita in una tensostruttura refrigerata.

Una volta riportato il relitto a riva, spetterà a una squadra di 400 vigili del fuoco il compito psicologicamente più arduo: aprire dei varchi all’interno della stiva, e cominciare le operazioni di estrazione dei corpi.

Su quanti cadaveri siano contenuti all’interno, regna l’incertezza.

“Sul numero dei morti non esistono cifre attendibili. Noi fuori dalla nave abbiamo trovato 169 corpi, mentre la Marina, valutando le dimensioni dello scafo, ha stimato che nella stiva possano esserci dai 200 ai 400 corpi,” aveva spiegato tre settimane fa il prefetto Vittorio Piscitelli, Commissario straordinario del governo per le persone scomparse.

La Nave Anteo, centro nevralgico delle operazioni. [Foto: Marina Militare]

“Certo, visto come gli scafisti trattano gli immigrati, il rischio che il numero sia più elevato esiste. Ovviamente ci auguriamo che non sia così,” aveva aggiunto.

Il recupero di 169 migranti di cui parla Piscitelli risale allo scorso anno: si trattava di salme adagiate nelle vicinanze del relitto, sul fondo del mare, a quasi 400 metri di profondità.

I sopravvissuti del disastro furono appena 28, i quali al tempo raccontarono storie strazianti: “Ci siamo aggrappati ai morti per non finire a fondo.”

Il rischio più grande oggi – almeno in teoria – sarebbe quello del propagarsi di una contaminazione biologica, nel riaprire una ‘fossa comune’ stipata a centinaia di metri di profondità per mesi.

Il Ministero della Salute ha tuttavia escluso ogni pericolo, “sia per gli abitanti nel territorio circostante che per il personale dei Vigili del Fuoco.”

Data la complessità dell’operazione, una commissione ha studiato per mesi tecniche di azione e prevenzione, stilando un ‘Documento unico per la valutazione dei rischi’.

La deposizione di una corona di fiori sul relitto della barca, a ottobre 2015. [Foto: Marina Militare, via]

Il recupero dei corpi, tuttavia, non è altro che la prima metà dell’operazione: una volta a riva, i cadaveri saranno analizzati dai ricercatori del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’istituto di Medicina legale dell’Università statale di Milano,

All’interno del tendone refrigerato, una squadra specializzata cercherà di ricostruire le identità dei migranti deceduti — analizzando DNA, lineamenti, tatuaggi, cicatrici, dentatura.

Un processo lungo e complesso, che impiegherà molto tempo. La speranza è quella di riuscire a ‘restituire’ una parte delle salme alle rispettive famiglie, o almeno ridare un’identità ad alcune di queste vittime della povertà e delle guerre.

Al termine delle procedure di identificazione, i corpi verranno seppelliti in vari cimiteri dell’isola, seguendo un piano cui sta lavorando al momento la Prefettura di Siracusa.

I Vigili coinvolti nell’operazione, che entreranno nella stiva per recuperare i corpi, appartengono ai nuclei NCBR (Nucleare, Biologico, Chimico, Radiologico) e indosseranno delle tute scafandrate ermetiche, “dotate di auto protettori che consentono la respirazione anche in ambienti contaminati.”

Al termine di ogni giornata, i pompieri impiegati sul campo subiranno un ‘lavaggio’ di decontaminazione per evitare di portare virus e batteri all’esterno.

Secondo quanto scrive l’Huffington Post, i vigili coinvolti nell’operazione sono stati scelti su base volontaria: chi non se l’è sentita, è stato libero di dire di no. Chi invece ha deciso di accettare la sfida sarà ricompensato con un bonus pari a quello di 12 ore di straordinario.

L’interno del modulo utilizzato per avvicinarsi allo scafo della barca affondata. [Foto: Marina Militare]

Il quotidiano online riporta anche dei malumori delle sigle sindacali di categoria, che a pochi giorni dell’operazione riferivano tutti i loro dubbi riguardo i possibili contraccolpi psicologici subiti da chi entrerà in azione.

“Non sappiamo ancora cosa troveremo e perciò penso che con una sonda dovrebbero fornirci le immagini dell’interno del barcone. Così cominceremo a capire cosa ci troveremo davanti,” spiegava.

Nel frattempo, però, la missione è partita. La complessità dell’impegno è tale che – sia da Labanof, sia da fonti ministeriali – le persone coinvolte stanno mantenendo il riserbo più assoluto.

Non esiste ancora una data certa di termine delle operazioni, che tra l’altro sono possibili soltanto se il mare non supera forza 3.

Gli unici aggiornamenti, risalenti a una settimana fa, dicono che gli uomini della Marina hanno azionato un robot subacqueo che ha cominciato a recidere “cime, cavi e alcune sovrastrutture metalliche” che avevano reso difficile l’accesso alla struttura.


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