Spaghetti alla Bolognese Belgio
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Cibo

Gli Spaghetti alla Bolognese esistono, almeno in Belgio

Spaghetti Bolo: un'aberrazione, ma per expat e figli di emigrati in Belgio non proprio, anzi c'è una bolo-love story da raccontare.

Da italiana che ha vissuto all'estero per molti anni, trovo abbastanza fastidioso vedere come alcuni ristoranti riportino nomi di piatti Italiani in maniera grammaticalmente scorretta. Specialmente a Bruxelles, ho sempre notato il riferimento al “bolognese” e “bolognaise” o, molto più frequentemente, insegne e segnali con su le parole “spaghetti bolo”.

L’insegna di un ristorante nel cuore del quartiere di Saint Gilles, Bruxelles (Belgio).

Li ho guardati sempre con un sguardo di sufficienza se non disprezzo. Ma il fatto che qui a Bruxelles una tale denominazione si trovasse in quasi tutti i menu della piccola ristorazione, mi ha fatto domandare quale fosse la relazione tra i belgi e questo piatto, per poi scoprire essere qualcosa di quasi tradizionale con cui i Belgi hanno creato una sorta di love story. Una BO-LOVE story.

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Il primo scontro di spaghetto-civiltà in Belgio è avvenuto quando sono stata invitata dal mio amico belga Arne a mangiare spaghetti. La prima cosa che ho domandato è stata: “Spaghetti come?”. E lui mi ha guardando perplesso, rispondendo: “…Spaghetti?!”. Per me il suo “Spaghetti” era abbastanza vago, quando per lui significava ovviamente ed esclusivamente gli “spaghetti bolo”.

Gli spaghetti bolo à la Arne

Quelli di Arne, sono stati i primi spaghetti bolo della mia vita. Ho dovuto combattere con spaghetti cotti in bianco, poi ricoperti da uno strato di sugo in cui galleggiano pezzi di ortaggi e carne, e infine una valanga di formaggio Emmental. Ma i Belgi intorno alla tavolata continuavano a impilare gli ingredienti uno sopra l’altro e urlare “formaggio, formaggio!” nella loro più totale abitudine e gaiezza.

Cerchiamo di istruire le persone insegnandogli a mangiare la pasta. Quindi: al dente (…) e ritiriamo i coltelli, perché molti fanno sempre la pasta a pezzettini

Dopo questa prima esperienza di spaghetti bolo, ho cercato di redimermi dal mio peccato, andando a parlare con Giacomo, che dal 2013 dirige Osteria Bolognese a Bruxelles. Entrando di questo piccolo ristorante si sente l’odore delle vecchie osterie. “Qui è una cucina semplicissima siamo un’osteria senza fronzoli dove facciamo il ragù e la gramigna” mi dice. Tutto arriva da Bologna. “Qui spiego sempre che gli spaghetti alla bolognese non esistono. A Bologna si chiamano tagliatelle al ragù”.

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Giacomo prende una prenotazione a fine turno nella sua Osteria Bolognese.

All’Osteria Bolognese fanno circa 20 chili di ragù alla settimana e per trovare un tavolo bisogna aspettare quasi tre settimane. "Cerchiamo di istruire le persone insegnandogli a mangiare la pasta. Quindi: al dente, se non c'è bisogno del parmigiano noi non ce lo mettiamo e non glielo portiamo al tavolo. E ritiriamo i coltelli, perché molti fanno sempre la pasta a pezzettini”.

Esco dal ristorante sollevata: qualcuno a Bruxelles sta facendo un lavoro socialmente utile. Inoltre Davide, il mio amico di Bologna, da lì a qualche ora mi cucinerà delle tagliatelle al ragù. Forse per un bolognese, più che per un italiano, lo spaghetto alla bolognese è un affronto. “Quando vivevo a Newcastle c’era una versione con il mais e magari anche con i funghi. E se vai al supermercato c'è sempre questo barattolo con la salsa bolognese. In generale gli spaghetti bolo, non ne ho mai mangiati e mai ne mangerò”.

Le tagliatelle di Davide

Ma Chiara la sua ragazza laureata in legge, vede il soggetto in questione da un punto di vista alquanto giuridico, dichiarando che gli spaghetti bolo abbiano una propria identità. “Non trovo niente contro questi spaghetti bolognese” mi dice “perché, alla fine ti servono gli spaghetti alla bolognese per quello che sono. Non tentano di essere qualcosa di diverso da quello che stanno vendendo”. Per Chiara, é infatti normale che un piatto venga adattato alla cultura del posto.“ D’altronde noi andiamo nei ristoranti giapponesi dove il sushi viene servito con il Philadelphia.”

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Era qualcosa a cui non avevo pensato. Forse Chiara ha ragione.

La spaghetteria Meiboom é aperto solo a pausa pranzo e offre spaghetti

Il Belgio ha avuto una forte emigrazione italiana fin dall'800, ma soprattutto negli anni a seguire della Prima e Seconda Guerra Mondiale. Causa la necessità di ricostruire il paese all’indomani della Prima Guerra Mondiale, e la carenza di manodopera per svolgere i lavori più pesanti o pericolosi, molti Italiani si sono riversati in Belgio in pochissimo tempo. Prima, grazie ad un accordo della Federazione Belga delle Miniere, che tra il ‘19 e ‘25 recluta più di 20,000 Italiani. Poi con l’accordo Italo-Belga del 1946 in cui il governo italiano scambiava forza lavoro italiana con il carbone belga. Gli italiani, soprattutto del Nord Italia, più colpito dalle due Guerre, si sono quindi ritrovati a dover lasciare il Paese, i proprio ingredienti, ma non le loro tradizioni culinarie.

Giacomo di Osteria Bolognese mi ha detto che l’idea di aprire il ristorante gli era venuta anni addietro, quando suo fratello, che viveva a Bruxelles, ogni qual volta che ritornava in Italia, si portava barattoli di ragù, pezzi di parmigiano e i tortellini. Quel sapore autentico, quel gusto di casa a cui siamo tanto abituati.

Adesso, con l’avvento delle grandi catene di supermercati, tutto è costantemente reperibile, perfino ingredienti regionali. Un lusso a cui noi siamo abituati, ma che le vecchie generazioni non hanno conosciuto. Chi è emigrato nel secolo scorso ha incrociato cucina locale, inter-regionale, di origine, creando piatti con quello che era reperibile sul mercato locale. La famiglia di Salvatore Difficile si é trasferita negli anni ’50 lasciando la produzione di Greco di Tufo, in Campania .”Nel Sud Italia, noi facciamo questi spaghetti con la salsa di pomodoro e dentro ci mettiamo la braciola ripiena che leghiamo con dello spago, e mettiamo dentro la salsa” mi racconta. “La prima volta che mia madre è venuta in Belgio nel ‘58, ed é andata a comprare la fettina per fare la salsa, il macellaio le ha dato dei pezzi di carne che in Belgio si usano per il piatto tradizionale, la carbonade. Gliel’avevano tagliata così, ma lei non l’aveva presa, perché voleva una fetta, non dei pezzi. Non sapeva cosa farsene. Poi pian piano si è abituata.”

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Interno della cucina del MONK

Salvatore mi racconta della vita in una città di miniera, dove gli operai si incontravano e mangiavano insieme sul posto di lavoro, scoprendo piatti non solo di altri paesi, ma anche di regioni diverse del proprio paese. Così lui da bambino, aveva scoperto i tortellini, che erano qualcosa che, pur essendo un piatto tipicamente italiano, non aveva mai mangiato prima.

Forse la piramide di Emmental é la chiave di volta a questo mistero. È stato il sapore che più mi ha colpito, mentre mangiavo gli spaghetti di Arne. Ma semplicemente, perché da italiana, mi sarei aspettata il parmigiano, invece ho avvertito un gusto che mi ha scioccato, sul momento. L’ingrediente tra tutti più lontano dalla tradizione italiana. Ma forse, come dice Chiara, c’é stato bisogno di adattarsi: gli italiani, portando la loro tradizione hanno dovuto fare quello che potevano con prodotti locali e al contempo la popolazione locale ha integrato il cibo italiano nella propria cucina, secondo i propri gusti.

A questo punto è il caso di interpellare qualche Italo-belga o italiano di seconda generazione.e chiedere loro di darmi una risposta alla domanda: "Ma quindi, questa bolognese, ci piace? È italiana o belga?"

Quattro ragazzi belgi si stupiscono del mio interesse verso gli spaghetti bolo. “Pensavo fosse un piatto italiano, non é così?” mi dice uno di loro.

“In Belgio è normale mangiare spaghetti bolo sin da bambini”, mi racconta Luana, figlia di Salvatore, metà belga e metà italiana. “Nelle famiglie credo che molta gente lo mangi almeno una volta alla settimana, perché è un modo facile per far mangiare la verdura ai bimbi, visto che ce le puoi nascondere dentro”. Le prime volte che Luana mangiava gli spaghetti bolo erano quelle in cui andava a casa delle sue compagne di scuola. “È allora che ho notato che la pasta era completamente diversa da come la faceva la mia famiglia di origini italiane” dice.

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Mathieu Grillo, music producer nato in Belgio da genitori italiani trasferitisi ad Anversa circa trent’anni fa, mi racconta un’esperienza simile. “Credo la signature Belga sia di impilare questi ingredienti uno sopra l’altro, che é un po' fastidioso perché poi finisce che devi mescolare tutto all’interno del piatto, che è pressoché impossibile”. Questa piramide che si erge dal piatto é qualcosa che non convince nemmeno gli italo-belgi. Anche il sugo é un altro mistero: “Ai i pomodori del giardino di mia nonna, mia madre, che è belga, aggiunge forse una carota“ dice Luana. “A casa dei miei amici nel sugo della bolognese trovi una quantità infinita di ortaggi come funghi, melanzane, zucchine”.

Comunque entrambi mi confermano che gli spaghetti bolo piacciono e li mangiano volentieri. “È un piatto italiano fatto alla belga” dice Mathieu “Io la vedo così perché so come viene preparata la pasta in Italia, ma al contempo in Belgio mi piace mangiare anche questa versione”. Per Luana, gli spaghetti bolo sono iun piatto nostalgico, qualcosa a cui tutti i belgi possono relazionarsi, un gusto che appartiene all’infanzia: “Tutti qui da sempre mangiano gli spaghetti bolo, lo trovi sul menu perché é una safety bet che un po’ ti fanno pensare a quando eri piccolo”.

Spaghetti Bolo in Belgio

Ragazzi Belgi mangiano gli Spaghetti Bolo al Meiboom. È normale accompagnarli con della birra e a volte si riceve anche del pane.

Mi accorgo che forse sono stata un po’ troppo frettolosa a giudicare, pensando che ci fosse un tentativo di copiare, storpiandolo, qualcosa di italiano. Mentre invece per i Belgi gli spaghetti bolo sono un piatto nostalgico, un piatto che dà sicurezza e ricordi. Un comfort food.

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Decido di abbandonare la mia intransigenza culinaria e ritentare il mio approccio agli spaghetti bolo alla Belga. Mi domando se questo ibrido tra cucina belga ed italiana possa in realtà piacermi, ora che ne conosco la storia, il significato e che in esso non devo ricercare un sapore che si possa collegare alla cucina italiana.

A Bruxelles, ci sono ristoranti dove poter mangiare solo ed esclusivamente spaghetti. Forse devo partire da lì. Mathieu mi fa un nome: il Monk, l’istituzione degli spaghetti bolo nel centro di Bruxelles. Quando abitava in centro, Mathieu ci andava quasi tutte le settimane. Anche Luana me ne parla.

Mi reco dunque al Monk per parlare con loro. Qualche anno fa il titolare, devoto della Bolognese, ha scritto un libro intitolato “De Mijne is de Beste” ( “La mia é la migliore”): una compilation di diverse versioni della bolognese proposte da personalità della scena fiamminga che hanno condiviso le loro ricette personali. Il menù del Monk é sempre stato lo stesso: si può scegliere tra quattro tipi di sughi, tra cui la bolognese, e tre tipi di formaggio. Il parmigiano c’é. Poi c’è l’Emmental, e infine il formaggio di Orval, fatto dai monaci trappisti nell’abbazia all’interno della foresta di Gaume, in Belgio.

Il cuoco del Monk prepara un piatto di spaghetti à la Monk

Questo mese il sugo speciale é la ricetta segreta del cuoco del Monk. Lui si occupa di circa 250 coperti giornalieri fin dal primo giorno di apertura, cinque anni fa. “Stesso cuoco, stessa ricetta, e la gente é disposta ad aspettare più di un ora per i nostri spaghetti. È pazzesco anche per me.” Mi dice Elena, che lavora qui come floor manager da due anni.

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Molti belgi ai tavoli. Mathieu prende sempre e solo la bolognese con il parmigiano, mentre Luana si lancia sull’Emmental ed il tabasco: “Non lo farei mai con gli spaghetti di mia nonna, ma per me questi sono diversi, fanno anche parte della mia tradizione”.

Dopo aver appreso della storia del locale, la pura passione e nostalgia legata a questo piatto, non posso non cadere nel sentimentalismo, e decido che forse è il mio momento di riprovarci. Mi faccio consigliare da Lina, la cameriera di turno. Dice che devo provare la vera esperienza del Monk: spaghetti bolo à la Monk e formaggio Orval. Mi porta il piatto dove si staglia una piramide di cibo e mi dice che molti clienti belgi mettono il tabasco e un altro condimento alquanto piccante. Va bene dai, cosa vuoi che sia.

Gli spaghetti bolo à la Monk con formaggio Orval.

Mi manca il parmigiano, ma quello che vado a mangiare non é cattivo, non é una copia. È solo diverso è ha una sua storia, che può diventare parte della mia cultura di giramondo. Forse la cucina del futuro sarà ibrida. E intanto, cosa ci posso fare, gli spaghetti bolo iniziano a piacere anche a me.

Il mio piatto alla fine del pranzo al Monk con tutti i condimenti immaginabili. Pollici in alto.

Forse i belgi mi hanno contagiato con la loro storia d’amore con la bolo, la loro bo-love story. Adesso leggendo le parole “spaghetti bolo” di solito sorrido.

Così passando davanti al Meyboom, un sorta di spaghetteria, tanto quanto il Monk, ci entro. Parlo con il proprietario che é di origini spagnole: i suoi genitori hanno iniziato a lavorare qui, quasi quarant’anni fa. Ovviamente gli spaghetti bolo la fanno da padrona. Quattro ragazzi belgi lì per pranzo si stupiscono del mio interesse verso gli spaghetti bolo. “Pensavo fosse un piatto italiano, non é così?” mi dice uno di loro.

Monk.

Gli spaghetti bolo mi iniziano a piacere, ma ho ancora bisogno della mia fase di transizione. Infatti non riesco a fermare una declamazione sul perché lo spaghetto alla bolognese, non sia un piatto italiano, a causa dello scontato fattore logistico: lo spaghetto è infatti tipico del Sud dell’Italia, mentre il ragù alla bolognese é un sugo tradizionalmente del Nord e quindi, no, non esiste. Riprendo a respirare. Ma mi pento immediatamente di questa arringa. Gli dico che comunque al Meyboom tornerò per mangiarci.

Ammetto che comunque mia madre, siciliana, ci mette i piselli nel ragù, quindi avete tutti la mia benedizione.

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