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Siamo stati a una delle assurde messe in onore di Mussolini

Dopo 74 anni il fantasma del duce aleggia ancora sull'Italia, ma nell'ultima settimana è stato evocato un po' troppo.
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Saluti romani in onore dei gerarchi fucilati a Dongo, il 28 aprile 2019. Tutte le foto di Matteo Congregalli.

Quando arrivo a Dongo, sul lago di Como, la percezione che ci sia qualcosa di anomalo è forte. Difficile dire se sono i due blindati della polizia arrivati appositamente da Milano, le due unità mobili della Guardia di Finanza, i carabinieri e agenti della polizia locale sul lungolago, oppure le decine di neofascisti in bomber e Dr. Martens d’ordinanza che affollano due dei tre bar della cittadina.

Ma del resto è il 28 aprile, e non dovrei stupirmi più tanto. Perché è il giorno della ricorrenza dell’esecuzione di Benito Mussolini, avvenuta nel 1945 a Giulino di Mezzegra dopo essere stato catturato—proprio a Dongo—durante la fuga dall’Italia. Qui infatti si terrà la prima parte del tour lacustre littorio, con un saluto ai gerarchi fascisti fucilati; poi il gruppo si sposterà Mezzegra per una messa a suffragio in onore di Mussolini, dove si intonerà un “presente” davanti a villa Belmonte, luogo della sua esecuzione.

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L’assembramento sarebbe dovuto cominciare alle 9.30, ma ci vuole più di un’ora per mettere insieme tre file di neofascisti all’interno dell’area di una fermata di un bus. La Digos ha imposto a me e a chi non partecipa al saluto di stare dietro a delle transenne che delimitano la piazza. Sento alcuni abitanti, costretti a farsi strada attraverso la folla di giacche nere e teste rasate, borbottare in dialetto che c’è da aver vergogna ad ospitare un evento del genere. Altri guardano divertiti.

Quando finalmente la formazione è completa, al megafono vengono annunciati i nomi dei fascisti uccisi. Il gruppo—formato tra gli altri da militanti di Forza Nuova, CasaPound, Blocco Studentesco e Veneto Fronte Skinheads—risponde urlando “presente,” accompagnando il grido con il braccio teso. Poi, dopo uno stentoreo “rompete le righe” il gruppo si dissolve e riparte per la seconda tappa dell’evento.

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Nonostante questo tipo di eventi paradossalmente rientrino nell'ordinaria amministrazione—tanto per chi partecipa quanto per chi assiste—quest’anno è il contesto generale ad essere lievemente diverso dal solito: sia l’anniversario della morte di Mussolini che il 25 aprile hanno infatti portato ad un exploit di azioni, manifestazioni e messe a suffragio in onore del duce e dei suoi gerarchi in tutta Italia.

L’inquietudine generale con cui è stata vissuta la festa della Liberazione è racchiusa nella decisione di alcuni esponenti politici di primo piano di non appoggiare la ricorrenza. Primo tra tutti il ministro dell’interno Matteo Salvini, che ha dichiarato di non voler partecipare ai festeggiamenti per il 25 aprile—derubricato a un “derby tra fascisti e comunisti”—attirandosi anche le timide critiche dei suoi partner di governo del Movimento 5 Stelle.

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Alcuni sindaci e amministratori locali hanno inoltre seguito il solco tracciato da Salvini, ritirando il supporto alle manifestazioni dell’ANPI (come a Todi) o cancellando totalmente le celebrazioni (come a Cumiana). A Lentate sul Seveso, il sindaco di Forza Italia Laura Ferrari ha sostituito la giornata della Liberazione con un giorno di “silenzio e riflessione.” A Quarto D’Altino, in provincia di Venezia, l’amministrazione locale ha imposto all’ANPI di non cantare “Bella Ciao.”

E poi ci sono state le azioni pubbliche organizzate dai gruppi della variegata galassia dell’estrema destra italiana. La più eclatante si è verificata a piazzale Loreto, il 24 aprile, dove alcuni tifosi laziali del gruppo ultras “Irriducibili”—in città per una partita di Coppa Italia contro il Milan—hanno srotolato uno striscione che recitava “Onore a Benito Mussolini” e fatto il saluto romano. Due giorni prima, sempre nel milanese, un gruppo di ignoti ha dato fuoco ad una statua di legno di Giulia Lombardi, staffetta partigiana assassinata dai fascisti nel 1944. Il 28 aprile, Forza Nuova ha esposto a Roma uno striscione che recitava “Mussolini per mille anni” nei pressi del Colosseo; e a Filottrano, in provincia di Ancona, ha affisso dei necrologi per Mussolini accanto a quelli degli abitanti del paese.

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Insomma: chi credeva che polemiche, tensioni e atti dimostrativi potessero dissolversi la mattina del 26 si è sbagliato di grosso. D’altronde, il 25 aprile è solo la data ufficiale della Liberazione e della fine della guerra; la morte di Benito Mussolini, avvenuta il 28 aprile 1945, è una congiuntura fondamentale nel calendario delle nuove destre italiane.

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A tal proposito, sono state numerose le funzioni religiose a suffragio organizzate in varie parti d’Italia proprio in memoria del duce. A Ventimiglia, solo l’intervento del vescovo Antonio Suetta ha fermato una messa programmata per la giornata di ieri per evitare strumentalizzazioni. Tutto è andato liscio per i 300 che si sono radunati a Predappio—da decenni il luna park per i nefascisti di tutta Italia. Sul Giornale di Brescia è invece apparso un necrologio per Mussolini, seguito da un annuncio di un’altra funzione in memoria delle vittime della Repubblica Sociale Italiana e della “guerra fratricida 1943/1945”, voluta dall’Associazione Nazionale della Famiglie Caduti e Dispersi RSI. Il sindaco di centrodestra di Sondrio ha dato il benestare a una funzione in memoria di Mussolini, giustificando la decisione per l’alto numero di richieste ricevute.

Una quarantina di neofascisti ha invece forzato il veto posto dal sindaco su un’altra messa, a Cremona questa volta, presentandosi alle porte del cimitero cittadino e intonando Giovinezza sulla tomba di Roberto Farinacci, segretario del Partito Nazionale Fascista ucciso nel 1945. La celebrazione all’interno del cimitero è stata tenuta da Floriano Abrahamowicz, sacerdote espulso dai lefebvriani nel 2013 dopo aver officiato la messa per il funerale del gerarca nazista Erich Priebke, uno dei responsabili degli eccidi delle Fosse Ardeatine.

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E poi, per l’appunto, c’è stata la commemorazione Giulino di Mezzegra. Per chi non lo conoscesse è un piccolo paese sopra Lenno, abbarbicato sul fianco della montagna. Risalendo in macchina la strada verso villa Belmonte rimango bloccato tra la folla di neofascisti che già si sta radunando davanti al cancello della residenza coperto di insegne fasciste, rischiando di fare tardi alla messa che verrà celebrata—come tutti gli anni—da don Luigi Barindelli. C’è da notare che il tutto avviene senza troppa opposizione: nel momento in cui i neofascisti sfilano a Mezzegra, l’ANPI sta tenendo un convegno sulla Resistenza a Dongo a 21 chilometri di distanza.

Riesco a farmi strada fino al sagrato della basilica di Sant’Abbondio, dove, alla spicciolata, gli ultimi ritardatari si affrettano ad entrare. Diversi labari sono retti dai bonehead a fianco dell’altare. Un ex bersagliere suona il silenzio militare italiano alla tromba. Poi è il momento di don Barindelli, che invita i presenti a pregare per le anime di Benito Mussolini e dell’amante Claretta Petacci in quanto “persone e non personaggi storici” uccise in “maniera non chiara,” auspicando che ci possa essere una “liberazione dall’odio” e che gli italiani possano fare pace con il proprio passato.

Se l’omelia in chiesa che ho appena ascoltato ha puntato a sollevare Mussolini da qualsiasi responsabilità storica, le effigi dalla mascella volitiva, le magliette con i motti mussoliniani, le aquile imperiali, gli striscioni e le braccia tese sembrano trasformare a loro volta la persona in un feticcio attorno al quale i fascisti possono ancora aggrapparsi.

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Ancora una volta, al “rompete le righe” segue la dissoluzione del corteo. Gli organizzatori recuperano bandiere e striscioni. Mentre scatto qualche foto a Giulino che torna ad essere Giulino, un militante prova a identificarmi chiedendomi dove vivo e piantandomi la fotocamera del suo telefono in faccia. “Cosi se queste foto vanno da qualche parte sappiamo dove trovarti,” mi dice.

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Don Luigi Barindelli mentre celebra la messa in suffragio di Benito Mussolini.

In linea di massima, il dibattito di quest’anno sul 25 aprile lascia intuire la cronica incapacità del paese di fare i conti con il proprio passato—ancor oggi si preferisce una narrativa semplificata sulla Liberazione che appiattisce la complessità storica della Resistenza Italiana. In secondo luogo, il fiorire di eventi di commemorazione per la morte di Mussolini—che pure può essere letto come un tentativo di fazioni politiche marginali di sfruttare le ricorrenze per affacciarsi nel mainstream—ha molto a che fare con gli eventi di villa Belmonte e il modo in cui Mussolini è stato giustiziato.

Come ricorda lo storico Sergio Luzzatto nel saggio Il corpo del Duce, l’esecuzione di Mussolini ha evitato “l’elaborazione di una versione italiana del mito” della sopravvivenza del duce—contrariamente a quanto successo ad Adolf Hitler subito dopo la sparizione del suo cadavere, organizzata dai servizi sovietici. Esporre il corpo di Mussolini, appeso alla tettoia di un distributore Esso di piazzale Loreto, ha quindi evitato il nascere di possibili teorie del complotto sull’“immortalità terrena” del duce.

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Paradossalmente, però, la presenza di un corpo da seppellire, le traversie che il cadavere ha passato negli anni—e quindi la possibilità di dare un luogo fisico di riposo che fosse concretamente visitabile—ha dato vita a una serie di centri di aggregazione in cui il neofascismo può mostrarsi pubblicamente. Il raduno a Mezzegra ne è un esempio lampante; così come lo sono le commemorazioni per i gerarchi giustiziati a Dongo, il Giovinezza cantata sulla tomba di Farinacci, o le fiaccolate in ricordo di Sergio Ramelli a Milano.

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Quest’anno, però, il gran numero di messe a suffragio organizzate in diverse parti d’Italia con l’appoggio di figure politiche e religiose locali mostrano un meccanismo diffuso e non più legato alla fisicità di una tomba. Per poter essere un fascista alla luce del sole e celebrare il culto del duce, insomma, non occorre spostarsi in pellegrinaggio.

Lungi dall'essere ritrovi "folkloristici" di quattro nostalgici innocui, le messe a suffragio in cui si prega per la persona—e non per la figura storica—diventano così uno strumento perfetto per chi vuole celebrare apertamente fatti e personaggi dell’epica fascista, senza peraltro temere conseguenze legali di sorta. Che lo strumento sia difficilmente disinnescabile l’ha specificato anche il vescovo Suetta di Ventimiglia: una messa a suffragio può essere tenuta per chiunque, indipendentemente dalla sua reputazione in vita.

A 74 anni di distanza dalla sua dipartita, Benito Mussolini non è solo un corpo morto in una tomba. È un fantasma immanente, che può essere evocato a piacimento e aleggia ancora sull’Italia—e poco importa che ci si trovi a Giulino di Mezzegra, Predappio, Sondrio, Cremona, Brescia o Ventimiglia.

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