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Ehi ciao! Sai che la fine della globalizzazione potrebbe essere vicina?

L'elezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe pregiudicare un intero sistema commerciale messo in piedi dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, l'impegno per mantenere una politica commerciale 'aperta' - insieme agli accordi per la sicurezza con il Giappone e i paesi NATO - è stato uno dei caposaldi della politica estera statunitense. Due settimane fa, tuttavia, decenni di investimenti politici in crescita dell'integrazione globale sono stati fermati da una semplice parola: NO.

È stata questa la risposta data dal leader della maggioranza del Senato americano, Mitch McConnell, quando i giornalisti gli hanno chiesto se il controverso accordo di libero scambio Trans-Pacific Partnership (TPP) sarebbe stato votato nell'aula del Congresso nel periodo di interregno tra la fine del mandato di Obama e l'instaurazione di Donald Trump come 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il leader designato della minoranza, il democratico Chuck Schumer di New York, ha confermato che l'accordo era morto durante una conversazione con i capi dei sindacati.

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"È chiaro che non approfondiremo la strada della globalizzazione, in questo momento," dice Chad P. Brown, senior fellow del Peterson Institute for International Economics a Washington. "La questione è se resteremo dove siamo, o se ci sarà un'importante retromarcia."

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Ovviamente, il motivo scatenante di questa inversione di tendenza è il tornado politico che ha investito gli Stati Uniti nelle ultime due settimane. La vittoria di Donald Trump è stata vista come la rinuncia su larga scala a decenni di tradizione politica americana che metteva d'accordo entrambi i fronti politici — il commercio, appunto.

O almeno, è così che la cosa è stata recepita all'estero. Il giornale governativo cinese Global Times ha poi rincarato la dose, scrivendo che una guerra commerciale - adesso - sarebbe "ingenua" e avrebbe conseguenze pesanti per gli iPhone, gli aerei Boeing e i produttori di auto USA — dichiarazioni che hanno fatto crollare del 3 per cento il valore delle azioni Apple. "Se Trump distruggerà il commercio sino-americano, una serie di industrie americane saranno danneggiate," si legge in un editoriale della testata cinese.

La cosiddetta 'globalizzazione' è nata come conseguenza della seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti hanno deciso che commercio 'aperto' e sicurezza erano le uniche vie per evitare un'altra guerra e controbilanciare l'espansione sovietica.

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Tutto è cominciato 27 anni fa, tra il tripudio del rumore di martelli che abbattevano il Muro di Berlino: la caduta del comunismo ha fatto transitare circa metà del pianeta nel sistema economico-finanziario degli Alleati, vittoriosi nella seconda guerra mondiale.

Nel 2001, poi, l'ingresso della Cina nell'Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO) ha coinvolto nel sistema anche il paese più popoloso del mondo — in un climax pro-globalizzazione che finora ha fatto uscire circa 800 milioni di cinesi dalla povertà, ma che ha avuto conseguenze serie e durature per le classi operaie del mondo sviluppato.

Ricerche recenti, e in particolare di David Autor del MIT e di Gordon Hanson della University of California a San Diego, hanno delineato le drammatiche conseguenze dell'ingresso della Cina nel sistema del commercio globale per la classe operaia americana, accelerando la perdita di posti di lavoro nelle fabbriche in diverse comunità in cui le industrie sono esposte alla manifattura cinese.

Bisogna essere chiari: si tratta di un declino di lungo termine. Solo nel 1970, negli USA, le fabbriche fornivano un posto di lavoro su quattro — oggi il livello è meno di uno su dieci. Il lavoro nelle fabbriche era in preponderanza maschile e ben pagato, ed era un'importante fonte di impiego per chi non frequentavano l'università.

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Il numero di posti di lavoro nell'industria degli Stati Uniti è iniziato a calare negli anni Settanta, un trend che ha preso velocità solo negli ultimi anni — quando la Cina è diventata, essenzialmente, la 'fabbrica del mondo'. Negli ultimi 20 anni sono scomparsi circa 5 milioni di posti di lavoro nella manifattura, mentre l'economia americana si è spostata verso i servizi ed ha subito l'impatto del commercio straniero e del cambiamento tecnologico.

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A causa delle preoccupazioni riguardanti la crisi occupazionale è crollato anche il sostegno americano per il commercio, proprio mentre la crisi finanziaria riduceva la fiducia nelle promesse dei legislatori economici. La crescente disuguaglianza ha reso i benefici del commercio - come il basso costo dei beni di consumo prodotti in Asia - apparentemente minuscoli rispetto alla perdita di milioni di posti di lavoro.

Soprattutto, il sostegno per il commercio è crollato tra i repubblicani, tradizionalmente promotori del commercio libero e dell'economia del lasseiz-faire. Donald Trump ha reso la critica degli accordi commerciali - specie per quanto riguarda il NAFTA, stipulato con Messico e Canada durante il governo di Bill Clinton - un caposaldo del manifesto populista che ha portato alla sua elezione. Allo stesso modo, l'opposizione al TPP ha caratterizzato la campagna per la nomination democratica di Bernie Sanders, e persino Hillary Clinton, che ha poi vinto la nomination, si è opposta al TPP — nonostante nel 2012, da Segretario di Stato, avesse detto che "è un buon esempio" per gli accordi commerciali.

Il controverso patto commerciale collegava 12 paesi attraverso una serie di accordi che avrebbero eliminato 18.000 tariffe doganali su beni molto importanti per le esportazioni USA, come prodotti alimentari o chimici — anche se, secondo i funzionari governativi, alla fine l'accordo sarebbe stato benefico per la crescita economica. Il TPP esclude anche la Cina, includendo così una serie di economie emergenti come il Vietnam, le Filippine e la Malesia nella sfera di influenza geopolitica degli Stati Uniti.

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Ma c'è accordo crescente sul fatto che la sconfitta del TPP rappresenti più della fine di un accordo commerciale. Sembra esserci un contraccolpo contro la visione economica dominante nell'era post-seconda guerra mondiale, secondo cui i benefici dell'aumento del flusso internazionale di prodotti, capitali e - fino a un certo punto - persone valgano più dei costi.

Se Trump ha minacciato di usare le tariffe doganali come un'arma, in particolare contro la Cina, il rischio serio è che le barriere al commercio libero potrebbero venire innalzate subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca — sebbene, per il momento, le barriere commerciali rimangano basse, e potrebbero comunque rimanere tali.

"Non sarebbe la fine del mondo," dice Bown del Peterson Institute. "Sarebbe molto, molto diverso se si tornasse a quello che facevamo e avevamo negli anni Trenta."

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