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Salute

Lasciare un fidanzato depresso non fa di te una brutta persona

Ho cercato di essere tutto per Max, ma a volte devi lasciare che una persona cerchi da sola l'aiuto professionale di cui ha bisogno.
selfie di coppia
Foto per gentile concessione di Shanti Das.

Ho lasciato il mio ragazzo quando era depresso, ed è la cosa più difficile che abbia mai fatto. Le parole mi morivano in gola e piangevamo entrambi, abbracciati, nel letto di un brutto AirBnb. Mi ha chiesto se lo volevo davvero e io, con l'hangover che mi spaccava la testa, ho detto di sì. Siamo andati a fare colazione nel nostro posto preferito, abbiamo bevuto la spremuta in silenzio. Poi mi ha implorato di rimanere insieme mentre piangevamo su una panchina. Ci siamo baciati e abbracciati, poi sono salita in macchina e ho guidato fino a casa dei miei, a tre ore di distanza.

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Ammettere di averlo lasciato quando era in un momento così basso mi fa sentire in colpa. Un'egoista. Dicono che quando ami davvero una persona, le stai accanto anche quando è malata e quando attraversa momenti bui. Io ci ho provato, ma non ha funzionato. La verità è che i suoi problemi 'infettavano' anche la mia testa, e chiaramente io non ero abbastanza forte da gestire la situazione. Ne sono uscita con una sindrome da attacchi di panico e sull'orlo della depressione io stessa.

Quando lo scorso anno il rapper Mac Miller è morto per una probabile overdose a 26 anni, sui social media molti hanno fatto in fretta a puntare il dito contro la sua ex, Ariana Grande. Già qualche mese prima, quando Mac Miller era stato arrestato per guida in stato d'ebbrezza in seguito a un incidente e internet aveva accusato Ariana, la popstar aveva risposto che "è assurdo minimizzare il rispetto per se stessa di una donna, e il suo senso del valore, dicendo che dovrebbe rimanere in una relazione tossica."

E ha ragione. Che il problema sia la droga o la salute mentale, stare con una persona che affronta un momento difficile è stata una delle esperienze più estreme della mia vita.

Max è stato il mio primo vero fidanzato. Ci siamo incontrati a Rio de Janeiro quando entrambi stavamo facendo il giro dell'America Latina. Il primo bacio ce lo siamo scambiati a Copacabana. Abbiamo fatto in modo di rincontrarci qualche mese dopo a La Paz, in Bolivia. Io facevo la stagista per una rivista e lui viaggiava zaino in spalla, ma abbiamo finito per comprare un materasso singolo e delle lenzuola di Toy Story e dormire sul pavimento di una villa abbandonata. Nella casa c'era una minuscola stanza per i bambini mezza dipinta e assi di legno scricchiolanti come in un film dell'orrore. Era enorme, buia e vuota, e ci abbiamo passato più di un mese. Poi siamo tornati alle nostre vite in Inghilterra e abbiamo deciso che una relazione a distanza era infattibile, quindi siamo andati a vivere insieme. Lo adoravo.

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Insieme in Bolivia. Foto per gentile concessione di Shanti Das.

Avevo 19 anni, lui 22. Tutti i miei amici andavano al college mentre noi vivevamo in una topaia che a stento potevamo permetterci, ma sono stati gli anni migliori della mia vita. Mangiavamo chicken nugget su un tavolo di cartone e dormivamo su un futon. Poi ci siamo trasferiti, per il mio lavoro. Le cose hanno cominciato a farsi complicate. Avevo cominciato a fare la giornalista e lavoravo sempre. Ero spesso stanca e stressata. Max odiava il suo lavoro ma non vedeva vie d'uscita, perché non era sicuro di quello che voleva fare nella vita. Io sapevo già della sua depressione. Da adolescente aveva fatto dentro e fuori dagli ospedali per una malattia del cuore che gli aveva causato un lungo periodo di umore depresso. Era sempre lì, ma fino a quel momento era stato gestibile.

In quei mesi ci siamo chiusi in un circolo vizioso di esaurimento e fatica. La felicità di uno dipendeva da quella dell'altro, ma eravamo del tutto fuori sincrono. Un commento o un cambio d'umore avrebbe fatto andare tutto fuori controllo. Max alla fine si scusava nel tentativo di convincermi che era colpa sua. Io gli dicevo che non era colpa sua. Lui non mi credeva. Io mi sentivo in colpa. Andavo a passeggiare, giravo in auto per il quartiere, fumavo sigarette al parco, mi fermavo di più in ufficio per non dovergli parlare. Avevo attacchi di panico. Lui rimaneva a casa dal lavoro. Io lavoravo 12 ore al giorno, e quando ero a casa lui richiedeva tutta la mia attenzione. A volte mi sentivo soffocare.

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Non avevamo spazio per respirare o provare emozioni senza darci sui nervi a vicenda e mettere in moto una serie di eventi che poteva trascinarsi per giorni. Io l'ho implorato di andare da un medico, ma dal medico l'unica cosa che ha ottenuto è stato un questionario a crocette su quanto era probabile che si uccidesse. Nonostante avesse detto ai medici che aveva pensieri suicidi, non è stato considerato abbastanza a rischio. Gli hanno dato degli antidepressivi e l'hanno iscritto a un gruppo terapeutico in cui gli venivano mostrate diapositive che raccomandavano di fare più esercizio. Max andava già in palestra cinque giorni a settimana, e al lavoro in bici. Dato che non c'era disponibilità di terapeuti del servizio sanitario nazionale, gli hanno alzato la dose. Non ha funzionato.

Mi ero già distaccata emotivamente da lui prima che ci lasciassimo. Ho suggerito che entrambi tornassimo alle rispettive case per risparmiare, ma sapevo che avevo bisogno di resettare. Ci siamo rivisti dopo qualche settimana e dopo un paio di mesi abbiamo deciso di partire per un weekend insieme. Non avevo in programma di lasciarlo, ma le parole mi sono uscite da sole durante un litigio alcolico. Il giorno dopo mi ha chiesto se lo pensavo davvero, e mi sono accorta che la risposta era sì.

Nelle settimane successive Max ha toccato il fondo. Mi aveva sempre detto che ero la cosa migliore che gli fosse mai successa e che odiava la vita prima di incontrarmi, ma allo stesso tempo era convinto che io sarei stata meglio senza di lui. Per la prima volta gli ho dato ragione: e sapevo che anche lui sarebbe stato meglio senza di me. Eravamo in un loop autolesionista, e le cose non sarebbero migliorate se non l'avessimo rotto.

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So che non sono l'unica in questa posizione: quando la persona con cui stai ha dei problemi di salute mentale, è difficile sapere da che parte cominciare. "Forse la cosa più importante da fare è incoraggiare il partner a cercare aiuto," mi ha spiegato Stephen Buckley dell'associazione per la salute mentale Mind. "Puoi rassicurarlo dicendogli che forme di aiuto esistono, e che anche tu sei lì per sostenerlo." È anche importante prendersi cura della propria salute e benessere. "Sii onesta su quello che puoi e quello che non puoi fare da sola," ha aggiunto. "Anche la tua salute mentale è importante, e prenderti cura di qualcun altro può inficiarla."

Quando ci siamo lasciati, soffrivo e pensavo che avrebbe potuto farsi del male. Volevo essere lì per aiutarlo, ma sapevo che non avrei fatto che peggiorare le cose. Ho scritto a sua madre per sapere come stava. Ero terrorizzata, dentro di me, che la rottura avrebbe potuto spingerlo a uccidersi e cambiare per sempre la mia vita.

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È stato il momento più basso di entrambe le nostre vite, ma anche il più formativo. Dopo 18 settimane di lista d'attesa, Max ha cominciato a vedere uno psicologo privato, che insieme alla sua famiglia crede sia stato fondamentale. La terapia gli ha dato gli strumenti per affrontare i pensieri negativi, per capire che la mia infelicità non era colpa sua, e che lui vale. Gli ha anche fatto capire che nella vita vuole aiutare altre persone in situazioni simili, quindi ha cominciato a studiare psicologia. Ha finito il primo anno e sta bene. E—colpo di scena—siamo tornati insieme.

È successo a fine 2017, ce la siamo presa con calma e abbiamo parlato a lungo. Max stava meglio, e io anche. Non che ora le cose siano perfette, ma siamo più forti e più felici di quanto non lo siamo mai stati.

Dobbiamo smettere di dare la responsabilità della vita di una persona al partner. Non fa che perpetrare il mito che donne e uomini devono rimanere in relazioni dannose. Non devono farlo, e non si può sostenere il contrario.

Nel mio caso, la rottura con Max correva il rischio di finire in tragedia. Se fosse successo, mi sarei sentita responsabile per tutta la vita, ma so che non l'avrei reputata una mia colpa.

Nota: Max ha dato il suo consenso alla pubblicazione dell'articolo e delle foto.