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videogiochi

Questo governo sembra una partita di SimCity andata in merda. E se lo fosse?

Abbiamo chiesto a un esperto se c'è la possibilità che ci troviamo tutti dentro un enorme videogame.
Riccardo Coluccini
Macerata, IT
Juta
illustrazioni di Juta
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Illustrazione di Juta.

A volte è davvero difficile credere che l’attualità politica italiana sia un qualcosa di reale. Pensate a personaggi come Danilo Toninelli o Carlo Sibilia; alle infinite giravolte del Movimento 5 Stelle sui temi più disparati; a senatori che fanno battaglie contro la “stregoneria” nelle scuole; o più semplicemente alla timeline di Matteo Salvini su Facebook.

Più questo governo va avanti, insomma, e più si ha l’impressione di vivere dentro ad un videogioco lisergico in cui siamo costretti a superare livelli sempre più senza senso con la difficoltà di gioco impostata a divinità.

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A partire da questa impressione, e visto il fascino per il mondo simulato, ho così contattato Matteo Bittanti, artista, scrittore, e ricercatore accademico sugli aspetti culturali, sociali e teorici delle tecnologie emergenti, per capire se siamo veramente finiti in un esperimento digitale videoludico e, eventualmente, come uscirne.

L’intervista è stata editata per ragioni di spazio.

VICE: Il recente film interattivo Bandersnatch prodotto da Netflix strizza l’occhio alla teoria secondo cui stiamo vivendo in una realtà simulata , generata da un supercomputer. Secondo te, perché siamo tutti affascinati dalla possibilità di vivere in un videogioco?Matteo Bittanti: Si dibatte spesso dell’influenza deleteria del videogioco sul cosiddetto reale—l’esempio ricorrente è Grand Theft Auto, ripetutamente accusato di istigare comportamenti violenti, antisociali, nichilisti—ma la verità è che sottovalutiamo i micidiali effetti del reale sui videogame.

Oggi è difficile distinguere tra realtà e simulazione, perché la realtà è più grottesca di qualsiasi delirio videoludico.

In questo senso, l’idea che l’orrore quotidiano non sia altro che un’illusione videoludica è rassicurante: è più facile immaginare che l’Italia sia un colossale videogioco che cimentarsi con la “cosa reale” e fare i conti con il pasto nudo..

Giochi come SimCity e Civilization offrono effettivamente la possibilità di simulare, dalla comodità dei nostri divani, città o intere nazioni. In che modo le dinamiche di questi videogiochi si sovrappongono alla nostra vita reale e in quali punti invece differiscono?
SimCity è un simulatore di neoliberismo che celebra l’imprenditorialità coatta, il profitto, la crescita sfrenata, il “libero mercato,” la privatizzazione degli spazi pubblici e la disuguaglianza economica ai danni della collettività e dell’ambiente. In questo contesto, la proliferazione di senzatetto e la devastazione ecologica sono le conseguenze dirette del gameplay [ quell’insieme di qualità e interazioni che descrivono l’esperienza di gioco del giocatore].

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L’esito inevitabile di SimCity è Magnasanti. Non è un caso che tanto Berlusconi quanto Trump abbiano costruito la propria fortuna grazie alla speculazione edilizia.

La serie di Civilization, invece, promuove una logica colonialista, anch’essa volta all’espansionismo belligerante, al bieco sfruttamento delle nazioni meno avanzate, all’imperialismo.

Si tratta di videogiochi molto realistici, utilissimi per comprendere la contemporaneità.

Vista la recente situazione politica italiana, credi possa essere corretto immaginare di trovarsi in un videogame sperimentale in cui il governo guida le nostre vite fra uno scontro politico suicida con la Francia e la comunicazione sui social iperpolarizzata? Sarebbe più simile a Civilization oppure a qualcos’altro? E perché?
La dimensione politica—non solo quella italiana—presenta diverse affinità con due dei generi videoludici più popolari: il gioco di strategia e il battle royale. Alleanze temporanee che degenerano in rivalità feroci, e quel che resta sono dei partiti-impresa de facto gestiti dalle lobby e, dunque, dalle multinazionali.

La politica è una forma di looting [fare razzia degli strumenti, armi, e oggetti degli avversari sconfitti] della cosa pubblica e l’Unione Europea è una lunga partita a Europa Universalis che sembra volgere al termine.

I battle royale come Fortnite e PlayerUnknown's Battlegrounds sono l’applicazione ludica del darwinismo sociale, fondato sulla logica del tutti-contro-tutti, della competizione sfrenata e della distruzione del prossimo, ed esemplifica perfettamente lo status quo.

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Il deathmatch tra i partiti di governo è trasmesso live su Twitch. Il co-op [la classica modalità di gioco in cui si collabora con altri giocatori] è bello che finito. Auguro il permadeath a questa classe politica di noob, newbie e twink [tutti termini del mondo del videogame che descrivono giocatori alle prime armi e/o che fingono competenza], ma in Italia, com’è noto, il respawn [la possibilità di rinascere quando si perde la vita nei videogame] è inevitabile.

Se pensiamo alle dichiarazioni trionfanti di Salvini sugli sbarchi o l'intero caso Diciotti viene in mente il videogioco Papers, Please in cui vestiamo i panni di un ispettore dell’ufficio immigrazione. In quel caso, il libero arbitrio al centro del film Bandersnatch torna centrale: seguire semplicemente le regole imposte come un ingranaggio nel sistema oppure ribellarsi e infrangerle. In che modo le simulazioni dei videogiochi aiutano anche a riflettere sulla nostra (dis-)umanità?
Sono passati più di vent’anni dalla pubblicazione del videogioco di Antonio Riello Italiani Brava Gente che chiedeva agli italiani di fermare la “terribile invasione degli albanesi”. La situazione attuale è assai più drammatica dello scenario simulato dall’artista italiano, ma le “meccaniche di gioco” e la retorica dominante—basata sulla logica del “noi contro di loro,” dei capri espiatori, dei panici morali—non sono cambiate: continuiamo a scontrarci non tanto contro muri di gomma, ma contro muri invisibili.

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Barriere che non solo ci impediscono di progredire, ma che de facto ci fanno regredire. La classe politica considera gli elettori dei meri NPC.


Guarda il nostro video sul videogioco più scorretto della politica italiana:


Recentemente la Commissione Europea ha pubblicato le stime di crescita degli Stati membri. L’Italia è all’ultimo posto. Sembra chiaramente un riferimento alla nostra classifica giocatori, siamo finiti in ultima posizione.
Non è vero che l’Italia è ultima in Europa. In alcuni campi, primeggiamo. Inquinamento fuori controllo, proliferazione delle discariche abusive, dati sull’emigrazione che sbriciolano tutti i record, politiche ambientali inesistenti, fiumi di plastica, crescita zero. Certo, la sinistra è DBNO [pur essendo rintanata in un angolo continua ancora a dirsi non sconfitta], ma il vero epic fail è la totale assenza di un movimento ambientalista. Questa lacuna riflette la scarsa attenzione degli italici per la dimensione ecologica.

I record dell’Italia non possono essere sottovalutati. Nelle leaderboard che contano, non abbiamo rivali.

Allo stesso tempo, sembra che siamo finiti in un loop di gioco: le critiche al governo vengono facilmente schivate spostando l’attenzione dei cittadini sfruttando il circo mediatico. È successo recentemente con le critiche al sistema di voto del Festival , e con il continuo sfoggio di abiti delle forze dell’ordine che hanno trasformato Salvini in un cosplayer.
Considerando che il governo è in mano a griefer [ giocatori che si divertono a molestare e infastidire altri utenti] e live streamer, non mi sorprende che le teorie complottistiche costituiscano la retorica dominante.

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Fraintendendo Pariser, rintanarsi in filter bubble poco porose che riducono al minimo—o meglio precludono di default—l’esposizione a Twitter e al Corriere della Sera, a Facebook e al telegiornale, a Candy Crush e alle radio commerciali, è un meccanismo di difesa non solo utile ma necessario.

Oltre alle maschere antismog dobbiamo indossare fogli di alluminio per schermarci dal bait, dallo spam e dal malware quotidiano dei ministri.

Il linguaggio è un virus, la stupidità contagiosa. Farsi ammaliare dal cosplayer è un grave errore: don’t feed the troll.

La ripetizione, i loop, la coerenza stessa delle meccaniche di gioco che rischiano di non permetterci di portare un vero cambiamento—perché bloccato in origine dagli stessi sviluppatori—potrebbero farci stancare di questo videogioco. Cosa succede al rapporto fra videogiocatore e gioco se il patto che hanno stretto si incrina e, soprattutto, se noi non possiamo semplicemente smettere di giocare?
Se ciò che distingue la presunta alternativa dal regime precedente è una mera skin e una spruzzata di texture, sorprendersi o—peggio—lamentarsi per l’inevitabile fenomeno di dissonanza ludonarrativa, è privo di senso.

Visto quanto ci siamo detti finora, pensi che potremmo effettivamente essere all’interno di un videogame?
Purtroppo no. Quando le cosiddette cariche istituzionali ci vomitano addosso win quotes, è chiaro che la gamification della politica ha raggiunto il punto di non ritorno. GLHF.

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