La fantascienza non usa tanti preamboli per sottoporre le sue metafore, e al lettore riesce sempre semplice e immediato proiettarsi nel nuovo mondo per guardare la “vecchia cultura” come una condizione naturale tipica di tribù che vivono allo stato brado.
In Brave New World, per esempio, Aldous Huxley relega la natura entro confini ben definiti all’interno di un mondo umanizzato e ipertecnologizzato: macchie di verde rigoglioso dove gli abitanti, gli indigeni, praticano il sesso libero innamorandosi alla vecchia maniera e facendo figli come natura ha sempre comandato, e dove le vecchie forme di umanizzazione si traducono in una religione in cui convivono tranquillamente Gesù Cristo e Karl Marx.
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Ma pensate a una filosofia che fa di questa problematica il fulcro di un’azione virale e provocatoria, collocatela nell’era di internet e datela in mano a un filosofo olandese—Koerst van Mensvoort—che lavora insieme a un network di professionisti per diffondere un nuovo verbo fondato sul concetto filosofico di next nature.
Nel suo saggio Real Nature is not Green Mensvoort ci dice chiaramente che per natura non dobbiamo intendere quella macchia isolata di verde popolata da animali selvatici come la intendeva Huxley. Il suo campo d’indagine è l’ambiente entro cui ci muoviamo e ci relazioniamo: un mondo tecnologico, dominato da una cultura fortemente visiva, che è ormai diventato il nostro contesto naturale. Una condizione culturale, quindi, che sta diventando parte integrante della nostra natura.
Per Mensvoort l’umanità dovrebbe togliersi dalla testa l’idea di essere una minaccia per il pianeta: secondo il Next Nature Network noi siamo, invece, i veri catalizzatori dell’evoluzione. Con le nostre conoscenze tecnologiche e biologiche siamo destinati a indirizzare le energie dell’evoluzione naturale per salvare il pianeta e noi stessi. Per seguire questo intento, cioè far sì che la tecnologia non venga pensata come uno strumento diabolico, bisogna chiedersi “cosa è natura?”
L’agricoltura e gli organismi geneticamente modificati hanno avuto un impatto sul sistema evolutivo delle altre specie viventi in maniera considerevole, da sempre. Quanto è naturale il pomodoro biologico a chilometro zero che arriva sulle nostre tavole? Non è frutto anch’esso di incroci controllati e di una sapienza culturale che ha scelto una tecnica biodinamica rispetto a un utilizzo massivo di diserbanti e concimi? Anche le api, d’altronde, utilizzano una tecnica: il miele non è un prodotto spontaneo.
Il messaggio è che non dobbiamo chiederci cosa sia naturale e cosa culturale, ma cosa è “controllabile” e cosa “autonomo”. Natura, allora, “è tutto ciò che ha una qualità autonoma e si colloca al di fuori della portata umana”. È in virtù di questa nuova classificazione che anche i virus informatici e gli ingorghi autostradali rientrano nel dominio del naturale in quanto fenomeni che si collocano al di fuori del nostro controllo.
Sulla base di questa consapevolezza, a detta di Mensvoort, bisogna porre le basi per garantire la salvezza del pianeta e del genere umano, utilizzando gli strumenti del nostro ambiente “tecnologico” e informando tutti nel modo più virale possibile in modo da catalizzare il processo che farà emergere una nuova natura, armoniosa, sicura ed eco-friendly. Gli strumenti sono molti ma comunicare è il primo passo.
I saggi e i progetti sono disponibili sul blog in cui il network informa sulle novità in campo tecnologico e bioingegneristico. Ma la vera svolta non può che partire dall’immaginazione: come Jules Vernes aveva immaginato una macchina sottomarina in Ventimila Leghe sotto i mari e, di nuovo, Huxley aveva preannunciato la fecondazione in provetta, allo stesso modo questo network punta sul valore immaginifico della fiction e sul potere materico del design per mezzo del fiction design, un design che crea oggetti ipotetici, appartenenti a una realtà futura.
C’è anche un e-commerce per acquistarli, il NANO supermarket: c’è lo smoke dress, comodissimo, si adatta perfettamente alle forme di ogni fisico, la stampante che assembla le pietanze atomo per atomo, e persino un incubatore per la creazione di organi che sembra un baco da seta… Tutti oggetti il cui grado di attuabilità è misurato da un indicatore.
L’azione è di impatto e sperimentale. Gli esperti tecnologi, i designer e gli imprenditori sono il pubblico ideale per questa presa di coscienza, ma il punto di arrivo sono gli abitanti del mondo. Quelli che devono essere messi al corrente che divenire consumatori di una carne prodotta in laboratorio non è un miraggio così lontano. Il libro di ricette per cucinare la lab-meat è già in commercio, in una edizione molto curata nella veste grafica. Cominciate a sfogliarlo.