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Un avvocato ci ha spiegato perché il tuo capo può controllare i tuoi messaggi online

La Corte Europea Dei Diritti Umani ha stabilito che un'azienda rumena ha il pieno diritto di sorvegliare la navigazione internet di un suo dipendente.
Foto di Roman Pilipey/EPA

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Sappi che in questo momento qualcuno probabilmente ti sta controllando, proprio mentre leggi questo articolo.

Domenica scorsa la Corte Europea Dei Diritti Umani ha stabilito che le aziende hanno il pieno diritto di monitorare l'uso di internet dei loro dipendenti durante le ore lavorative, e licenziarli se la loro navigazione non viene ritenuta interamente professionale.

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Il caso analizzato dalla Corte coinvolgeva un ingegnere rumeno, licenziato nel 2007 dopo esser stato sorpreso a usare un account Yahoo Messenger per rispondere alle domande dei clienti, e contemporaneamente per comunicare con parenti e amici.

Dopo essersi difeso - dicendo di aver utilizzato il profilo a solo scopo professionale - a Bogdan Mihai Barbulescu è stata presentata una trascrizione delle sue comunicazioni in un periodo compreso tra il 5 al 13 luglio 2007, e che avrebbero incluso "messaggi contenenti scambi di carattere personale con suo fratello e la sua fidanzata, come la sua salute e la sua vita sessuale."

'Sul posto di lavoro non esiste privacy'

La policy interna della società proibiva l'uso di strumenti di proprietà dell'azienda a scopo personale. Barbulescu, tuttavia, si è difeso sostenendo che monitorare le sue comunicazioni costituisce una violazione del diritto alla privacy.

Di diverso avviso è stata la Corte Europea dei Diritti Umani, che ha rigettato la difesa dell'uomo, sostenendo che "non riscontra motivazioni ragionevoli contro la sorveglianza, da parte dei datori di lavoro, sull'operato professionale dei suoi dipendenti nelle ore lavorative."

Controllare le comunicazioni di Barbulescu - si legge - sarebbe stato "l'unico metodo per stabilire se ci sono state violazioni disciplinari," sebbene il dipendente abbia fatto notare come l'accesso al suo account, in fin dei conti, fosse parte integrante del lavoro perché contenenti "comunicazioni relative al cliente."

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La possibilità o meno - per un impiegato - di consultare le proprie reti sociali in ufficio, è spesso legata alle leggi nazionali e alle policy delle diverse società. In genere - tuttavia - i datori di lavoro sono autorizzati a controllare la mail e l'uso di internet del proprio staff se questo viene informato esplicitamente della cosa.

"È ormai estremamente comune non avere alcun tipo di privacy a lavoro," ha spiegato Paul Scholey, un avvocato specializzato in diritto del lavoro. "I capi possono tranquillamente dire di essere autorizzati a monitorare le comunicazioni dei dipendenti perché vengono prodotte in orario d'ufficio, coi loro strumenti."

'Penso sia scandaloso'

Sbirciare le comunicazioni personali viola i diritti individuali alla privacy e alla libera espressione: si tratta di diritti sanciti dalla Convenzione Europea per i Diritti Umani, ma possono essere bilanciati da altri diritti—come quello, in questo caso, dell'interesse dei datori di lavoro e il loro diritto di controllare se i propri dipendenti stanno facendo quanto dovrebbero oppure no.

Un uso responsabile della rete, e una social media policy trasparente, possono essere due degli interventi che potrebbero abbassare la frequenza dei controlli. "Ma come fai a saperlo?" spiega Scholey. "Sono i loro strumenti, i loro sistemi, la loro connessione."

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L'uso di Facebook è diventato un problema serio negli ultimi anni, continua Scholey, che ha difeso diversi dipendenti licenziati per aver danneggiato in qualche modo il nome dell'azienda per la quale lavoravano, o per aver insultato i loro superiori sul sito. Le corti britanniche ed europee si sono mosse progressivamente a favore delle società, piuttosto che per i dipendenti—ha aggiunto il legale.

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"Penso sia scandaloso." Chiedere ai dipendenti di comportarsi responsabilmente, e in modo che non danneggino la reputazione della società in rete, è una pretesa ragionevole, continua. Ma è diverso da dire "in un mondo nel quale possiamo condividere un tweet in pochi attimi, le persone non dovrebbero fare qualcosa del genere in orari lavorativi."

"Che differenza c'è tra questo e una chiacchierata alla macchinetta del caffè, o una telefonata? L'unica cosa che cambia è la tecnologia utilizzata, il che vuol dire che possono monitorare tutto ciò che viene detto e fatto, semplicemente perché possono—e non è una buona ragione."

'I diritti delle imprese stanno avendo il sopravvento su quelli individuali'

L'organizzazione per i diritti digitali Open Right Group ha definito la decisione della Corte "un'opportunità persa per stabilire principi chiari sui limiti della sorveglianza nei posti dli lavoro."

Il direttore esecutivo del gruppo Jim Killock ha aggiunto che in questo modo, almeno, è stato "ricordato che la sorveglianza sui luoghi di lavoro può esistere solo dopo un accordo contrattuale, così da restringere il campo di ciò che un'azienda può o non può fare."

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L'esperienza di Scholey con le corti britanniche lo ha lasciato piuttosto pessimista. "Se stiamo parlando di dipendenti sui social media, non aspettarti che la legge ti protegga."

Usare il proprio device per mandare messaggi personali o usare i social network potrebbe essere un'alternativa, ma in caso sarebbe preferibile usare la loro rete 3G o 4G - non il wi-fi aziendale, perché "una volta connessi a questa, allora si può presumere si entri a far parte del loro sistema—portandoli a poter fare quello che vogliono."

Non si può far altro che stare molto attenti, conclude Scholey. "Le corti europee si stanno muovendo verso lo stesso indirizzo di quelle britanniche: i diritti delle imprese stanno avendo il sopravvento su quelli individuali."


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