Se i Nine Inch Nails si possano considerare o meno un gruppo industrial resta uno dei dibattiti più stupidi mai sentiti nel mondo della musica. Ripudiato da anacronistici puristi che hanno passato ormai decenni a lamentarsi di quanto il genere si sia allontanato dalle sue pulsanti e cartilaginose origini, Trent Reznor ha avuto la sua dose di combattimenti nelle trincee di Chicago. Visto che il suo nome compare su dischi dei Pigface e dei Revolting Cocks non dovrebbero esserci dubbi riguardo le sue origini. Eppure la mente dietro uno dei progetti più di successo ad essere mai stati associati con l’industrial viene ancora snobbata da scenester dell’ultima ora che probabilmente non avrebbero mai sentito nominare tutti quegli artisti EBM che si vantano di ascoltare senza essere passati prima da Reznor.
Ma chi se ne frega. Con due album in cima alla Billboard 200 e tre full-length da svariati dischi di platino, i Nine Inch Nails (spesso abbreviato in NIN dai fan) hanno senza dubbio un vasto e affezionato pubblico. Mentre Reznor nel corso degli anni ha collaborato con leggende come Adrian Belew, Dr. Dre e Adrian Sherwood, il progetto è stato per lo più un veicolo della sua visione, una visione allo stesso tempo oscuramente intima e fondamentalmente apocalittica. Live, i NIN continuano a essere inarrestabili, riempiendo con i loro lavori massimalisti spazi di solito riservati a pop star ed eventi sportivi.
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Un termine e un concetto limitato come quello dell’industrial finisce per pregiudicare e sottostimare la varietà e la qualità della musica di Reznor. Per quanto non riceverà mai il riconoscimento che è andato a, per dire, i Radiohead per aver trasceso generi e categorie riuscendo allo stesso tempo a intrattenere le masse, il catalogo della band, che l’anno prossimo festeggerà 30 anni di attività, raggiunge comunque un’ampiezza impressionante. Alla luce di questo evento imminente, mi sembra il momento più appropriato per fornirvi un’introduzione alla discografia dei NIN.
Forse ti interessa: la fase edonistica heavy metal
Venticinque anni fa la musica industrial è cambiata per sempre. L’uscita, in settembre, dell’EP Broken ha lanciato tutta la sporcizia ricoperta di pelle nera e carne cruda della scena alternativa in faccia ai teenager brufolosi delle periferie americane. Dopo un intro a base di frucii e batteria, l’impressionante singolo “Wish” esplodeva come una bomba artigianale con il suo primo verso—questo è il primo giorno dei miei ultimi giorni—e un riff mutilato, per poi detonare con una nuova carica all’arrivo del suo ritornello metal epico. Preso da un poi censurato lungo video che sembrava ritrarre un brutale omicidio, il clip che accompagnava la canzone vedeva la band suonare in gabbia circondata da un’orda di neo-neanderthal che cercavano di penetrare fra le sbarre per massacrarli. Si trattava di una vista poco rassicurante anche per gli standard dell’MTV Headbangers Ball dei tempi, e spianò la strada verso la vera ascesa dei Nine Inch Nails al mainstream.
Le paranoie sadomasochistiche di Broken e il suo remix ancora più depravato Fixed non erano idee nuove nel metal o nella musica in generale. Eppure raramente le metafore erano state allo stesso tempo così esplicite e gravi come sull’ode ai flagellanti “Happiness In Slavery”. Proseguendo sulla linea di questa sessualità ombrosa, The Downward Spiral (1994) apriva letteralmente con il suono di un pestaggio, che portava alla devastante e dogmatica “Mr. Self Destruct”. Registrati nella casa che era stata di Sharon Tate, la vittima di una famosa strage della Manson Family, inni nichilisti come “Heresy” e “Reptile” sprizzano mostruosità e terrore appropriandosi di tropi metallici come gli assoli gratuiti della seconda.
Eppure tutte queste chitarre brutali erano lì a nascondere un dolore straordinario, con testi dolorosamente intimi sussurrati ma anche urlati. Mai conosciuto per le sue qualità poetiche, l’heavy metal ha raramente raggiunto il tenore topico di “The Becoming”, perlomeno mai con la grazia di Reznor. Per quanto i dischi successivi abbiano considerevolmente ridotto la carica aggressiva, i NIN hanno sempre dato l’idea di lasciare un po’ di spazio per il suo ritorno.
Playlist: “Wish” / “Mr. Self Destruct” / “The Idea Of You” / “Last” / “Heresy” / “Survivalism” / “Somewhat Damaged” / “March Of The Pigs”
Forse ti interessa: la fase new wave sporcacciona
Come i progenitori della scena Ministry, i NIN non hanno cominciato da band industrial, tutta suoni metallici e pistoni. Pescando le proprie influenze dalla scena new wave e new romantic (Adam Ant, Depeche Mode e Gary Numan), Reznor ha seguito il sentiero synthpop tracciato dagli esordi gotici di Al Jourgensen con With Sympathy nel primo album del 1989 Pretty Hate Machine. Alcuni malati di NIN cercheranno di convincervi che è meglio il demo Purest Feeling, ma in realtà vi potete tranquillamente far bastare la versione ufficiale di “That’s What I Get”.
Per quanto lo stereotipo del genere reciti che il suono è artificialmente brillante, è un’oscurità genuina a prevalere nei suoi praticanti migliori. La Tubeway Army di Numan costruì il necessario tessuto connettivo tra glam e new wave e la connessione tra “Are Friends Electric” e “Down In The Park” di quel gruppo con “Closer” e “Every Day Is Exactly The Same” dei NIN dovrebbe risultare evidente anche all’orecchio meno preparato. Per quanto a Reznor manchi la voce di Dave Gahan o l’eccentricità di Robert Smith dei Cure, condivide con loro la stessa malinconia affascinante in “Sanctified” da Pretty Hate Machine.
Anche con l’arrivo del Ventunesimo secolo, la nostalgia per l’elettronica pura della sua giovinezza è rimasta in Reznor. Specialmente negli ultimi anni ha mostrato il suo lato più sintetico con singoli atipici come “Copy Of A” e tracce come “Dear World” da Not The Actual Events.
Playlist: “That’s What I Get” / “Less Than” / “Copy Of A” / “Every Day Is Exactly The Same” / “Dear World” / “The Wretched” / “Closer” / “Sanctified”
Forse ti interessa: la fase più arena rock
Se la prima volta che hai visto i NIN live è stato da una terrazza VIP con un cocktail sperimentale in mano in uno di quei megafestival all’americana tipo Coachella, ci sono buone probabilità che tu preferisca la parte più rock del loro catalogo. Seppur un certo hard rock più convenzionale si fosse già fatto strada tra le pieghe dell’opulento doppio disco The Fragile, ha preso il centro del palco nel ritorno del 2005 dal perfetto titolo With Teeth. Le chitarre hanno sempre avuto un ruolo importante nella discografia di Reznor, ma pezzi come “The Collector” e “The Hand That Feeds” sembravano adattarsi più che mai alla figura ora decisamente più muscolosa del frontman.
Dopo anni di terrificanti stadi con rumori da incubo, l’incedere più digeribile di With Teeth e del suo seguito distopico del 2007 Year Zero senza dubbio riflettevano una maturazione per l’artista che ormai aveva superato la boa dei 40 anni. Più mago della produzione che rude rocker invecchiato o clone decerebrato dei Nickleback, composizioni come “The Beginning Of The End” e “1,000,000” offrono grande profondità sonora e riescono a sorprendere. Se si tolgono un po’ di strati di distorsione emerge una vena indie artistoide anche da questo materiale più grezzo. A confermarlo, in Hesitation Marks del 2013, amato dalla critica, fa capolino l’approccio angolare e strambo di “Everything”.
Playlist: “1,000,000” / “The Collector” / “The Beginning Of The End” / “We’re In This Together” / “Everything” / “Discipline” / “The Hand That Feeds” / “Where Is Everybody”
Forse ti interessa: la fase da artista tormentato
Quantomai improbabile come autore di ballate, viste le tendenze violente della maggior parte della discografia dei NIN, ma Reznor si dedica al crooning fin da Pretty Hate Machine. Il tormento del desiderio in “Something I Can Never Have” è un’ottima introduzione a questa soddisfacente sezione della sua opera.
Condotte dalla voce vulnerabile di Reznor, queste tracce dimostrano una sensibilità pensosa che di solito viene seppellita dalle ondate di elettronica e chitarre. La maggior parte dei veri album dei NIN sfoggia almeno un esempio di questo tipo, e lo stesso gli EP. Questo materiale ha un impatto così grande sui fan che la band è stata in grado di usare “The Day The World Went Away” come singolo di lancio per The Fragile nonostante l’assenza di una batteria sulla traccia, una mossa che sarebbe stata molto audace durante la pausa di cinque anni che ha seguito The Downward Spiral. Ha raggiunto il numero 17 della classifica dei singoli di Billboard 100, il risultato migliore mai raggiunto dai NIN.
Non sorprende che queste siano le canzoni che danno un momento di respiro in mezzo alla furia dei live della band. Un classico senza tempo come “Hurt” resta tra i momenti centrali di ogni show, un pezzo straziante che si rivela eternamente importante per tutti coloro la cui vita è stata toccata dai NIN. È importante ricordare che è stata coverizzata anche dal Man In Black in persona, Johnny Cash.
Playlist: “Something I Can Never Have” / “Right Beside You In Time” / “Find My Way” / “The Fragile (Still)” / “The Day The World Went Away” / “The Great Below” / “Lights In The Sky” / “Hurt (Live)”
Forse ti interessa: la fase ambient
Proprio come l’importante musicista industrial Graeme Revell degli SPK prima di lui, Reznor ha avuto successo anche nel campo delle colonne sonore. Anche prima di diventare l’uomo di fiducia del regista David Fincher, insieme al partner Atticus Ross, quella predilezione per il sound design evocativo si manifestava tanto dentro quanto fuori dai NIN, dal drone minimalista di “Another Version Of The Truth” al delicato shoegaze di “Beside You In Time” fino alla sua fastidiosa colonna sonora per il videogioco da PC Quake. Ascoltando la stupenda e ariosa “A Warm Place” da The Downward Spiral viene quasi la tentazione di tracciare un parallelo tra Reznor e il pioniere dell’ambient Brian Eno.
Chi vuole davvero farsi un viaggione dovrebbe andarsi a cercare Ghosts I-IV, una raccolta lunga quasi due ore di strumentali. Per quanto parte del materiale spalmato su questi quattro volumi ricordi i NIN più vicini alla forma canzone, gran parte si aggira nei territori di motivi rilassanti e deviazioni clandestine. Normalmente è considerato un disco per completisti, ma potrebbe servire anche da punto d’ingresso meno caustico al vasto mondo sonoro di Reznor.
Playlist: “A Warm Place” / “13 Ghosts II” / “Another Version Of The Truth” / “Beside You In Time” / “Hand Covers Bruise” / “30 Ghosts IV” / “Adrift & At Peace” / “Videodrones; Questions”