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Ho suonato i campanelli di tutta Firenze implorando degli sconosciuti di ospitarmi per la notte

Ho passato tre giorni in giro per Firenze fingendomi un turista senese senza soldi e abbandonato da un padrone di casa couchsurfer, suonando ai campanelli di case e palazzi e implorando perfetti sconosciuti di lasciarmi dormire sul loro divano.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Foto di Gaia Baldassarri

Dopo anni di istinto materno di professoresse del liceo, conversazioni con anziani alle fermate dell'autobus e tacchinaggio persecutorio da parte di venditori ambulanti che abbandonano transazioni ormai completate pur di rincorrermi per strada, ho finalmente capito qual è il mio vero talento: sono una persona rassicurante.

Ovviamente questo ha vari effetti collaterali, ma può anche rivelarsi molto utile. Specie se il tuo mestiere è mettere a repentaglio l'ordine costituito, come faccio io, pur di arrivare a capo di esperimenti sociali di capitale importanza.

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L'altro giorno stavo vagliando accuratamente la nuova missione immersiva in cui investire il mio talento, e mi sono ricordato di un articolo uscito qualche mese fa su VICE. In pratica un giornalista australiano, fingendo di essere un turista rimasto senza un tetto per passare la notte, aveva passato diverse sere in giro per Londra, bussando alle porte degli sconosciuti nel tentativo di farsi ospitare.

Il punto dell'articolo era riuscire a capire quanto effettivamente le persone fossero disponibili ad aiutare uno sconosciuto in difficoltà, e rischiare di fidarsi di lui pur di evitargli freddo e intemperie. Visto che, stando all'Istat, l'Italia è un paese piuttosto diffidente nei confronti degli sconosciuti, ho pensato di replicare l'esperimento.

Così ho passato tre giorni in giro per Firenze fingendomi un turista senese senza soldi e abbandonato da un padrone di casa couchsurfer particolarmente odioso, suonando ai campanelli di case e palazzi e implorando perfetti sconosciuti di lasciarmi dormire sul loro divano.

Venerdì - Campo di Marte

Tentativi: 22
Interazioni: tre conversazioni durate più di cinque minuti.

Visto che la prima sera ero nervoso e volevo prendere un po' la mano con la probabile prospettiva di essere continuamente rifiutato e magari infamato, ho deciso di partire da una delle zone residenziali più tranquille di Firenze. Ma non è stata esattamente una buona idea, perché Campo di Marte è un quartiere costituito perlopiù da palazzi. La difficoltà fondamentale nel replicare l'esperimento, infatti, era rappresentata dal fatto che, rispetto ai quartieri di Londra in cui ci sono diverse case con porta affacciata sulla strada, io avrei dovuto supplicare i potenziali ospitanti via citofono.

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Ho passato le prime due ore girando a caso con la mia fotografa per Viale dei Mille e per le strade parallele, sforzandomi di spiegare a persone anziane dalla voce sospettosa cosa significasse esattamente la parola couchsurfing.

Molti non credevano nemmeno alla mia storia. La conversazione più lunga è quella che ho intrattenuto con un bambino che faceva da tramite al padre impegnato a guardare Superquark: dopo avermi fatto spiegare e aver diligentemente riportato tutto al padre, mi ha liquidato con un "scusi non ci interessa, arrivederci."

Al quattordicesimo campanello invece mi ha aperto un ragazzo sudamericano che stava uscendo per portare fuori il cane. È rimasto a squadrarmi in silenzio per un po', con un sopracciglio mezzo alzato, e poi mi ha dato un consigio. "Visto 'sto caldo," potevo andare a dormire su una spiaggetta che costeggia l'Arno. "Vai tranquillo, stai bene, e fa più fresco." Peccato si sia dimenticato di menzionare che avrei dovuto confezionarmi un nido utilizzando siringhe usate e pezzi di carta stagnola.

Stavo perdendo completamente la fiducia nel genere umano quando, suonando all'ennesimo campanello, mi ha risposto Lars.

Dopo aver ascoltato la mia storia per esattamente un minuto, Lars è sceso in strada e mi ha chiesto di raccontargli cosa mi fosse successo. Una volta capita la mia situazione, mi ha invitato a entrare per discutere insieme ai suoi coinquilini e trovare una soluzione.

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Così mi ha presentato Jonas e Veronica: erano tutti norvegesi e stavano portando a termine un dottorato in Scienze Politiche allo European University Institute. Dopo avermi offerto da bere mi hanno detto che sembravo un bravo ragazzo, che assomigliavo in modo sbalorditivo al bassista dei Turbonegro e che avrei potuto dormire sul loro divano. Ero molto orgoglioso della mia somiglianza, fino a che non ho scoperto che il bassista dei Turbonegro è lui.

A parte questo però, la disponibilità norvegese di Lars, Veronica e Jonas mi ha colpito. Quando gli ho raccontato la verità e ho fatto salire la fotografa, sono sembrati un po' disorientati. "Ovviamente prima volevo capire chi fossi e cosa mi stavi chiedendo," mi ha detto Lars, "ma poi ho visto che sei un ragazzo tranquillo, e quindi, dato che potevamo, non aveva senso non darti una mano."

Sabato - Rifredi

Tentativi: 7
Interazioni: cinque conversazioni durate più di cinque minuti.

Dopo l'esperienza tutto sommato positiva della prima sera, sabato ho deciso di provare con gli abitanti di Rifredi, il quartiere più a nord di Firenze. Una zona più popolare, con un sacco di persone di origine straniera e studenti fuorisede. Quasi tutti quelli con cui ho parlato si sono dimostrati molto più comprensivi.

Alessandro, un ragazzo di Perugia, mi ha fatto entrare e mi ha offerto da bere. Sembrava seriamente dispiaciuto per me, e anche se non poteva ospitarmi perché non aveva spazio si è offerto di contattare degli amici per vedere se potevano aiutarmi.

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In realtà le interazioni sono state fin troppo approfondite, in un certo senso: al terzo tentativo, un ometto emaciato sulla sessantina mi ha aperto la porta e dopo avermi ascoltato in silenzio mi ha fatto entrare in casa. "Accomodati sul divano, arrivo subito." Dopo pochi minuti è tornato con una busta di plastica da cui ha estratto una serie di volantini e opuscoli, e sedendosi di fronte a me ha cominciato a mostrarmeli e a mettermeli in mano.

Su ognuno di essi erano stampate immagini ad acquerello e frasi come "Il mondo a chi appartiene?". Il passo successivo era fin troppo prevedibile: "hai mai pensato che i guai in cui ti trovi siano frutto di scelte sbagliate e della confusione?" mi ha chiesto. I venti minuti seguenti sono stati una specie di partita a scacchi fra il mio ateismo e gli infiniti posti letto che Geova avrebbe potuto offrirmi se solo mi fossi convertito. Alfredo (nome di fantasia) ha cercato di indirizzarmi sulla retta via come ha potuto, ma quando ha capito che la base della mia esistenza era il metodo empirico scientifico mi ha invitato gentilmente ad abbandonare casa sua.

Fortunatamente, però, dopo qualche campanello andato a vuoto mi ha risposto Elsa, una ragazza che si è affacciata dal balcone e ha ascoltato la storia di come fossi diventato vagabondo per una notte.

Inizialmente, e comprensibilmente, Elsa era un po' timida. Ma aveva un sorriso molto tranquillizzante e dopo qualche minuto di chiacchiere mi ha invitato a cena, visto che entrambi non avevamo ancora mangiato. Mi ha detto che viene da Parma, che si trova a Firenze per studiare lingue, e che quel giorno le era capitata una situazione simile alla mia. Era anche per quello che aveva deciso di farmi entrare.

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"Ero a Volterra per un evento organizzato da un'amica, e ho scoperto che era previsto uno sciopero dei mezzi soltanto una volta arrivata. Non sapevo come fare a raggiungere la via in cui dovevo andare, ma fortunatamente un signore mi ha aiutato e mi ha dato un passaggio."

Mi ha detto che inizialmente le ero sembrato un po' strano per aver suonato i campanelli a caso in quel modo, "ma poi mi sei sembrato inoffensivo e in difficoltà. hai la faccia da bravo ragazzo e sei vestito come un boy scout, quindi ho deciso di aiutarti. Io credo molto nella condivisione: c'è un frase spagnola che dice compartir es vivir. Ed è vero."

Anche dopo averle detto la verità e aver fatto salire la fotografa, sono rimasto a chiacchierare con Elsa per un po'. Ad un certo punto, senza che ci fosse bisogno di altri accordi o chiarimenti, ha cominciato a sistemarmi cuscini e coperte sul divano. Non so se sarei stato capace di fare altrettanto.

Domenica - Centro storico

Tentativi: 39
Interazioni: quattro conversazioni durate più di cinque minuti.

Visto che la mia mise da boy scout era risultata così vincente, ho deciso di indossarla anche la terza sera. Essendo sabato avrei dovuto essere parecchio convincente per farmi ospitare. E infatti avevo ragione: l'unica persona che mi ha degnato seriamente di attenzione nel corso della prima ora è stata una donna sui 40 andanti con indosso una vestaglietta semitrasparente, e che mi ha aperto il portoncino del suo seminterrato sorridendo.

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Avevo scambiato il suo invitarmi a entrare senza neanche farmi spiegare per una forma genuina e dilagante di ospitalità: ma quando ho aperto bocca il suo sguardo si è subito indurito, e frapponendosi fra me e la porta ha detto che avevo capito male e che stava aspettando delle persone. Solo con l'aiuto socio-antropologico della mia fotografa mi è stato chiaro che probabilmente la suddetta signora era una di quelle esperte della transazione valuta monetaria-in-cambio-di-bioemissioni-indotte.

In una stretta via del centro, nella zona di Santa Croce, poi, un nobile di alto lignaggio mi ha informato attraverso le fessure delle sue persiane che se non avessi smesso di suonare ai campanelli di quella strada mi sarei beccato una "bicchierata di piscio." Quindi me ne sono andato.

Poco più in là ho contrattato per un po' con dei ragazzi appollaiati su una finestra, ma mi hanno offerto una transazione valuta monetaria-senza-bioemissioni, quindi ho rifiutato.

Dopo due ore, e un'infinità di campanelli suonati, però, sono finito in una viuzza vicino alla Stazione Leopolda.

Al primo campanello che ho suonato ha risposto la voce di una ragazza che si è messa a ridere quando le ho spiegato come ero rimasto con il culo per terra. "Aspetta che chiedo a Vanni se possiamo farti salire," mi ha detto. Poco dopo mi hanno aperto, e salendo le scale ed entrando in casa mi sono trovato di fronte due ragazzi sulla ventina, Matilda e, appunto Giovanni. Nell'aria c'era profumo di curry, e ho iniziato a salivare come se mio padre fosse stato Ivan Pavlov.

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Vanni sembrava un po' perplesso e ho dovuto spiegargli nuovamente tutta la storia, ma dopo poco mi hanno invitato in cucina e offerto una birra mentre loro finivano di preparare da mangiare.

Abbiamo continuato a parlare, e in modo del tutto naturale siamo entrati in confidenza lasciando perdere la storia dell'ospitalità. Entrambi sono degli studenti fuorisede, a Firenze per studiare design e illustrazione digitale.

Abbiamo continuato a cazzeggiare senza sosta, e dopo aver mangiato ci siamo spostati in salotto. La situazione è presto degenerata e ho perso la cognizione del tempo. Tanto che ad un certo punto la fotografa mi ha dovuto fare uno squillo per ricordarmi della sua presenza. Sono stato quasi dispiaciuto di dover dire la verità a Vanni e Matilda, ma quando gli ho spiegato che stavo scrivendo un articolo per VICE mi hanno riconosciuto: "sei tu quello che si è vestito come un coglione al Pitti!"

A quel punto mi hanno chiesto di far salire la fotografa, e siamo rimasti a bere tutta la sera.

Quando ho chiesto a Matilda cosa l'avesse spinta ad accettare così d'impulso la richiesta di uno sconosciuto, mi ha risposto che non le sembrava niente di trascendentale. "Alla fine ti abbiamo fatto salire per una birra. Se non ci fossi piaciuto ti avremmo chiesto altrettanto tranquillamente di andartene. Però si vede che sei un tranquillone, e se sei in difficoltà mi fa piacere aiutarti…" Poi ci ha pensato un attimo e ha aggiunto: "Però ecco… probabilmente se fossi rimasto davvero a dormire ti avrei disegnato dei cazzi in faccia, questo sì."

Sarei rimasto a casa di Vanni e Matilda per sempre, ma purtroppo il mio esperimento era finito e a malincuore li ho salutati.

Prima di iniziare ero quasi certo che nessuno avrebbe accettato di ospitarmi. Più che altro ero curioso di vedere comele persone mi avrebbero respinto, quali ragioni mi avrebbero dato e dopo quanto mi sarei effettivamente beccato una bicchierata di piscio.

Invece, nonostante abbia dovuto suonare a 68 campanelli in tre sere e abbia inanellato un sacco di risposte prevedibilmente stizzite, c'è chi mi ha ascoltato e aperto. Ovviamente si tratta di una minoranza composta da studenti fuorisede fra i 20 e i 30 anni, quindi una fascia demografica abbastanza ristretta, ma è pur sempre un dato. Quasi tutte le persone adulte, soprattutto le famiglie, sembravano spaventate dal mio bisogno di aiuto. Non dico di non poterle capire. Io stesso nella loro situazione avrei avuto non pochi dubbi.

Tutto sommato dopo quest'esperienza porto con me due nuovi propositi: cercare di essere più tollerante con gli altri così come Lars, Veronica, Jonas, Elsa e Matilda sono stati con me. E fare qualcosa per il mio doppio mento, se non voglio di nuovo essere scambiato per il bassista dei Turbonegro.

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