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Come un episodio di cronaca è diventato una campagna contro i rom

La notizia di un incidente a Roma che coinvolgeva alcuni ragazzi di origine bosniaca residenti in un campo ha riacceso tutta la propaganda anti-rom. Ma questa tendenza non riguarda solo i rom, e sta diventando sempre più ingombrante.

Al primo anno di università frequentai una lezione di psicologia cognitiva in cui il professore ci mostrò come qualsiasi tipo di informazione che riceviamo venga immediatamente rielaborata per incasellarsi insieme a quelle che già possediamo.

Per darci un esempio pratico di quello a cui faceva riferimento, ci mostrò tutta una serie di dati statistici che andavano diametralmente in controtendenza rispetto all'opinione comune. E ci spiegò come generalmente gli esseri umani passino indifferenti attraverso le evidenze empiriche pur di mantenere una solidità di pensiero.

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È un meccanismo volontario e abbastanza semplice: ci limitiamo a prendere come buone quelle informazioni che rispecchiano la nostra opinione, e a scartare quelle che potrebbero mettere in discussione l'idea che abbiamo delle cose. Tutti lo facciamo.

Questo filtro sulla realtà, però, comincia a essere un problema se ad applicarlo sono i mezzi di comunicazione. Specialmente se il fine è quello di creare un clima sensazionalistico e di polemica.

Nelle ultime ore tutte le home dei siti dei principali giornali italiani hanno riportato la notizia di un incidente avvenuto a Roma in cui un'auto, con a bordo tre ragazzi di origine bosniaca che scappavano da un controllo della polizia, ha investito più persone che stavano attraversando la strada. Una donna filippina di 44 anni è rimasta uccisa sul colpo, mentre almeno altre dieci persone sono rimaste ferite in modo più o meno grave. Un episodio deprecabile e tragico, ma identico purtroppo ad altri innumerevoli casi che non coinvolgono persone appartenenti a una cultura perennemente sotto l'occhio di Sauron.

L'episodio è stato il pretesto perfetto per dare nuovo impulso alla catena sinaptica di odio nei confronti dei rom. Come praticamente ogni notizia negativa che nel titolo o nel primo paragrafo contenga un riferimento alla comunità. Una catena che si è propagata un po' ovunque, e i cui dendriti hanno raggiunto, come al solito, le bacheche dei social di Matteo Salvini.

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Ma questo è semplicemente l'ultimo di una lunga schiera di esempi su come i media tradizionali selezionino le informazioni in modo da sollecitare soltanto le associazioni che portano morbosità, e non siano praticamente quasi più interessati a fornire una notizia che possa avere un peso specifico nel delineare bene una situazione.

In un'editoriale di poco fa sull'Espresso, Emiliano Fittipaldi ha chiarito attraverso una serie di esempi simili totalmente ignorati dall'apparato mediatico, come l'unica cosa che giustifichi questa notizia sia il suo appeal basato sulla parola rom. E come sia completamente strutturata per scatenare indignazione porta-click.

Ovviamente per farlo i giornali sfruttano tutti i mezzi che servono ad evidenziare la notizia agli occhi di chi praticamente non faceva altro che aspettarla, a partire dai titoli allusivi. La copertina de ll Tempo, ad esempio, titola "Saluti da Rom. Troppo buonismo, basta impunità."

Il Tempo, comunque, è particolarmente interessato alle notizie di cronaca che riguardano la comunità rom: lo scorso settembre l'associazione 21 Luglio aveva pubblicato una lettera aperta al direttore per denunciare una campagna anti-rom che andava avanti da svariati mesi sulle pagine del quotidiano. "In tre mesi abbiamo assistito alla pubblicazione di 28 articoli, molti dei quali certificati da un apposito bollino 'inchiesta', nei quali si può rilevare un unico leitmotiv: diffondere e alimentare un'immagine indistintamente negativa e fortemente stigmatizzante di rom e sinti."

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Ma questo è un problema generale, e a questo punto per tutte le testate sarebbe il caso di aprire direttamente una rubrica: "Notizie cucite su misura per i vostri pregiudizi".

Perché la casistica è sterminata: poco tempo fa, ad esempio, una notizia rivelatasi poi falsa, secondo cui un bambino senegalese aveva picchiato una compagna di scuola perché portava il crocifisso, era stata riportata in massa, sempre con lo stesso tono.

Ormai, infatti, data la mole immane di fuffa omogeneizzata che gira vorticosamente su internet, l'unico modo per capire quanto una notizia sia confezionata per soddisfare una mera scaltrezza avvocatizia e di marketing, è quello di limitarsi a constatare da chi e come viene retwittata o postata su Facebook.

Tolta tutta la patina della pretestuosità con cui vengono confezionati questi articoli, però, resta l'impatto che essi hanno sulle persone e sui loro pregiudizi. Poco fa l'associazione 21 Luglio si è espressa riguardo il rischio di un'etnicizzazione del reato che potrebbe portare a conseguenze simili a quanto accaduto in passato a Napoli e Torino, quando notizie del genere avevano poi portato ad azioni violente.

Perché campare sull'odio, ovviamente, non fa altro che amplificarlo.