I santi di Roma che sembrano quasi vivi

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I santi di Roma che sembrano quasi vivi

Elizabeth Harper fotografa i corpi incorrotti dei santi sepolti a Roma, così perfettamente conservati che sembrano ancora vivi.

Tutte le foto per gentile concessione di Elizabeth Harper

San Giovanni da Triora.

Elizabeth Harper è una fotografa che per vivere lavora come tecnica delle luci in un teatro di Los Angeles—che a suo dire è una città strana se sei interessato alle cose antiche, perché lì le cose più vecchie risalgono agli anni Venti. A parte questo, Elizabeth è davvero ossessionata dal macabro, dalla religione e dal punto d'incontro delle due cose.

Qualche tempo fa, è stata a Roma e ha fotografato le reliquie cattoliche più sconosciute della città per compito del Morbid Anatomy Museum di New York. Tra queste, ha dedicato un'attenzione particolare ai corpi incorrotti dei santi cattolici conservati dietro teche di vetro in alcune delle principali chiese della città. Ovviamente, appena ho visto le sue foto me ne sono innamorato all'istante e ho deciso di contattarla per farmi raccontare la storia dietro quelle, in fondo, sono solo foto di cadaveri famosi.

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Oltre ad avere un'ironia deliziosa e una sensibilità molto particolare, Elizabeth è una persona di una cultura davvero notevole. Abbiamo parlato di religione e di morte come fossimo due romantici dell'Ottocento in Italia per fare il Grand Tour.

Santa Vittoria

VICE: Cosa ti ha spinto a cominciare a lavorare a questo progetto?
Elizabeth Harper: È nato tutto dal mio blog, All the Saints You Should Know. Volevo condividere la mia ossessione per gli aspetti strani del cattolicesimo in modo non accademico, così che potesse risultare interessante sia per chi crede che per chi non crede. Molte di queste cose sono poco conosciute, per vari motivi: alcune esistono ai margini della dottrina cattolica e sono considerate quasi folcloristiche, altre sono imbarazzanti perché ricordano epoche oscure. Inoltre, molti parroci preferiscono concentrarsi sulla loro attività pastorale piuttosto che valorizzare del tutto la storia e l'arte che le loro chiese contengono.

Come sei finita a fotografare le chiese e le reliquie di Roma?
Adoro Roma. Mi approccio alla città con lo stesso spirito degli scrittori romantici che andavano a visitarla nel diciannovesimo secolo: i vari Lord Byron, Chauteaubriand, Goethe. Ho la loro stessa tendenza a farmi ispirare dal gotico, dal macabro e dal sublime, e anche se non sono una scrittrice credo di provare sentimenti simili a quelli che provavano loro.

Tutte queste foto fanno parte di un libro fotografico a cui sto lavorando per il Morbid Anatomy Museum di New York. Il libro vuole raccontare Roma dal punto di vista delle sue chiese e delle reliquie che contengono. Sarà una specie di guida a tutte queste meraviglie nascoste di Roma.

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San Carlo da Sezze

Da dove arriva il tuo interesse per il cristianesimo, i suoi santi e le sue reliquie?
Vengo da una famiglia di immigrati italiani, per cui sono cresciuta a stretto contatto con la Chiesa Cattolica. Inoltre, fin da bambina sono stata una persona piuttosto morbosa. Una volta a scuola, durante l'ora di religione, ho sentito una storia su Gesù e i lebbrosi e sono rimasta allo stesso tempo spaventata e affascinata dalla lebbra. All'epoca non c'era ancora internet, così sono andata in biblioteca e ho chiesto un libro sulla lebbra. Ma devono aver capito male (o devono essere rimasti scioccati) perché invece di un libro sulla lebbra me ne hanno dato uno sui leopardi. Da lì sono passata a leggere le storie dei martiri cristiani, e sono rimasta affascinata in particolare da quella di santa Cecilia.

Ricordo ancora la prima volta che ho visto una reliquia di una santo. Non capita molto spesso di vederne una negli Stati Uniti. Era piuttosto grande, credo fosse un pezzo di fegato di un santo. Il prete della nostra chiesa stava in piedi sul sagrato e teneva in alto il reliquiario d'oro perché tutti i fedeli lo potessero vedere. Avrò avuto nove anni, e quello è stato il mio primo contatto con il sublime. Ho visto il fegato di quel santo, ho pensato al mio fegato e per la prima volta nella mia vita ho pensato a quello che mi sarebbe successo dopo che fossi morta.

Qual è il tuo rapporto con la morte?
Ovviamente so bene che non possiamo sapere cosa succede quando si muore. Ma se pensi alla morte come a un'idea invece che come a un evento, scopri che influenza in modo molto profondo le nostre vite—anche perché è l'unica cosa di cui possiamo essere certi. Penso sia difficile, nel mondo moderno, prendere coscienza che abbiamo dei limiti, e per questo la morte è importante, perché è l'unico limite da cui non possiamo mai nasconderci. Sembra banale dirlo, ma la consapevolezza della mia mortalità mi rende felice di essere viva e felice di lavorare a questo progetto. È il mio piccolo contributo per lasciare il mondo un po' più ordinato e un po' più interessante di come l'ho trovato.

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Detto questo mentirei se non dicessi che a questo punto della mia vita la morte mi sembra ancora qualcosa di molto lontano. Le donne della mia famiglia tendono a vivere fino a ben oltre i 90 anni e ad avere vite lunghe e soddisfacenti. Continuo a temere quella che un tempo veniva chiamata "una brutta morte"—una morte improvvisa o violenta. Quando prendo l'aereo ho paura di ogni minima turbolenza. Forse questo mi rende un po' ipocrita, tutto sommato.

Cos'è che ti affascina dei corpi incorrotti dei santi?
Mi piace molto fotografarli perché hanno qualcosa di inquietante. Amo la loro immobilità, la loro monumentale simmetria, l'intimità e la vulnerabilità dei loro volti che sembrano quasi addormentati. Mi piacciono soprattutto quelli conservati sotto bare di vetro, che sembrano usciti da una favola. È come se fossero testardi, come se non gli importasse nulla della società moderna, perché nonostante tutto loro sono ancora lì. Vederli mi dà una sensazione particolare, perché che tu creda o meno nella loro santità sei costretto ad ammettere che anche quando di te non sarà rimasta che polvere loro saranno ancora lì, integri.

Il cardinale e santo

Roberto Bellarmino

Hai imparato qualcosa lavorando a questo progetto?
Ho capito molte cose e ne ho imparate altrettante. Per fare solo un esempio, non avevo mai capito l'ossessione americana per gli zombi, finché non mi sono ritrovata in un putridarium. All'interno di una chiesa, un putridarium è una cripta particolare in cui i corpi venivano lasciati a imputridire all'interno di apposite nicchie. Una volta che ne erano rimaste solo le ossa, queste venivano sepolte. Il putridarium era collegato al concetto di purgatorio—era il luogo dove i corpi si liberavano della carne, così come l'anima in purgatorio si libera dei suoi peccati. Quando non rimaneva che lo scheletro, il morto era considerato finalmente in pace e quindi in paradiso.

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Ho capito che quando pensiamo a un corpo in decomposizione—e quindi, quando pensiamo al concetto di zombi—in realtà stiamo pensando al purgatorio. Non è che un'altra rappresentazione del concetto di purgatorio. Essere uno zombie vuol dire essere intrappolato lì, ed è una cosa che ci fa paura. È il motivo per cui gli zombie ci fanno più paura degli scheletri, e il motivo per cui ad Halloween i bambini si vestono da scheletri ma non da zombie. Abbiamo tutti paura di ritrovarci, dopo la morte, bloccati in un luogo di passaggio. E troviamo sempre nuovi modi per esprimere questa paura.

Ma la cosa più importante che ho imparato l'ha detta Ugo Foscolo molto tempo fa, e con parole di gran lunga migliori di quelle che potrei trovare io: "Le urne degli uomini forti stimolano le menti degli uomini a compire grandi cose, e rendono sacra per il pellegrino la terra che le ospita."

Grazie, Elizabeth Qui sotto, altre foto di Elizabeth.

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_Papa Antonio Ghislieri, Pio V

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