
A Medellín, in Colombia, durante gli anni Ottanta, il Russo (che come tutti i criminali intervistati per questo articolo desidera rimanere anonimo, tanto che "il Russo" non è nemmeno il suo soprannome) era riconosciuto come un uomo d’azione talentuoso e di valore. All'epoca, Pablo Escobar, il re dei re della droga, stava costruendo il suo impero, cosa che ovviamente lo portava a costanti scontri con rivali e polizia. La parte più sporca del lavoro era portata avanti dai membri della gang nelle baraccopoli, che ora sono conosciute con il nome di combos. Così, per uno come il Russo è stato fin troppo facile finire a lavorare come sicario, o “arma in affitto”.Le caratteristiche più evidenti del Russo sono i suoi capelli rossi e una serie di cicatrici da ustione sulle braccia, che lui chiama curriculum vitae. Se le è fatte quando era un ragazzo e lavorava in un laboratorio di produzione di cocaina. “Un giorno un container di acido solforico mi si è rovesciato addosso,” ricorda. “Sono stato sei giorni in coma—avevo ustioni di secondo grado e un piede e un braccio rotti. Non è facile uscire vivi da un posto del genere. Mi davano per morto, e alla fine mi hanno buttato fuori. Il giorno dopo uno che passava di lì con un mulo mi ha trovato.”Dopo un anno e mezzo di riabilitazione, il Russo ha raccolto un po’ dei soldi che aveva nascosto e ha cercato le persone che l’avevano abbandonato credendolo spacciato. “Un amico mi prestò una calibro 38,” racconta prima di fare una pausa, come se stesse rivivendo la scena dentro la sua testa. “Li ho uccisi tutti.”
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