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Capire di cosa parlerà Expo 2015 è praticamente impossibile

Tutti hanno imparato a conoscere Expo per i ritardi nei cantieri, gli scandali e le traduzioni a caso, ma di cosa parla esattamente Expo 2015, e cosa ci sarà dentro il sito espositivo? Abbiamo cercato di capirlo.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

A poco più di due settimane dall'apertura di Expo 2015, le polemiche sui ritardi e sulla preparazione si fanno sempre più fitte—nonostante il commissario Giuseppe Sala e gli Expottimisti continuino a ripetere come un mantra che "sarà tutto pronto" per il primo maggio.

Ultimamente, persino la stampa generalista ha cominciato ad avanzare seri dubbi. Qualche giorno fa, ad esempio, Repubblica ha scritto che "vagando per il cantiere" viene la "tentazione di buttarsi in ginocchio sullo sterrato e invocare l'intervento di Harry Potter, Mary Poppins e la fata di Cenerentola" per realizzare l'impresa di completare quello che "a oggi sembra lontano anni luce dall'avere una forma presentabile."

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Ma al di là dei ritardi del cantiere principale e del futuro incerto di cui noi stessi abbiamo parlato, quello che si è perso nella frenesia generalizzata è l'esatta comprensione di cosa ci sarà dentro il sito espositivo.

Come noto, il tema dell'esposizione universale milanese—"Nutrire il pianeta, energia per la vita"—è il cibo e tutto quello che gli gravita attorno. Nel sito ufficiale si legge che Expo è destinato a diventare "il più grande evento mai realizzato sull'alimentazione e la nutrizione," in cui ricorrono espressioni come "cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli," "rispetto del pianeta" e "stili di vita sostenibili."

Nel primo dossier di candidatura presentato al Bie ( Bureau International des Expositions) nel settembre 2006, la promessa era che Expo sarebbe stata "di tutti paesi che intendono impegnarsi per combattere la fame nel mondo" attraverso la salvaguardia dell'ambiente, la tutela della biodiversità e il rispetto delle tradizioni.

E in principio, infatti, il progetto originario era quello di un "visionario" Orto Planetario glorificato dall'allora governatore della Lombardia Formigoni e da lasciare in eredità a Milano e al paese. Il concept elaborato dagli archittetti della Consulta (tra cui Stefano Boeri, che poi sarebbe diventato assessore alla cultura del comune di Milano) immaginava un parco botanico "di circa un milione di metri quadri, circondato da un canale navigabile con serre e terreni che riproduranno tutti i climi del mondo e le loro tipicità alimentari."

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Uno dei rendering dell'Orto Planetario.

Questo approccio a "impatto zero," tuttavia, non ha mai riscosso un grande successo. Nel marzo del 2011, il commissario Giuseppe Sala aveva detto che vendere l'Expo "come un enorme orto botanico è un errore grandissimo," poiché il concetto di un'Expo "eccessivamente verde" non vende. Poco dopo, il segretario del Bie Vicente Loscertales aveva definitivamente seppellito l'Orto Planetario—e l'annessa retorica "sostenibile"—con un commento piuttosto sarcastico: "Non possiamo pensare che 150mila visitatori vengano ogni giorno a Milano per vedere come si coltivano le melanzane del Togo."

Naufragato miseramente questo disegno, nell'arco di qualche anno si è passati alle colate di cemento, ai padiglioni, alle automobili che si trasformano in uccelli e a un Expo "cyber-tecnologico," di cui il padiglione " Future Food District" della Coop (ossia il "supermercato del futuro") è la rappresentazione più triste e al contempo più emblematica.

Via.

Nonostante ciò, la vocazione "verde"—anche grazie alla presenza organica di Slow Food e dei buoni, cioè la "società civile" di Expo dei popoli—è continuata a esistere esclusivamente nella retorica e nella propaganda ufficiale. Con risultati che definire grotteschi è dir poco.

Lo scorso febbraio è venuta fuori la notizia che Coca-Cola e McDonald's sono diventati sponsor ufficiali e partner di Expo. La prima, informa un comunicato che è un capolavoro di Bispensiero, è stata scelta come "Official Soft Drink Partner" in virtù del "suo impegno sul fronte dell'innovazione e della crescita sostenibile" e dell'incoraggiamento a "consumi e stili di vita equilibrati."

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L'acqua scorre sul Padiglione — CocaCola4Expo (@CocaColaITA)April 2, 2015

La partecipazione di McDonald's si concretizzerà in un "ristorante da 300 posti, 400 metri quadrati più 200 di terrazza" e soprattutto nel progetto " Fattore Futuro," un'iniziativa patrocinata dal ministero dell'agricoltura attraverso il quale venti agricoltori/allevatori under 40 saranno "selezionati come fornitori per i prossimi tre anni."

L'idea dell'agricoltore italiano secondo McDonald's. Via.

Quando si è realizzato che la presenza delle due multinazionali non era uno scherzo, si sono levate parecchie critiche—in primis da Slow Food, che è nata proprio contro lo stile di vita fast.

In un post pubblicato sul proprio sito, l'associazione fondata da Carlin Petrini sostiene che la presenza di McDonald's appare come un "autogol clamoroso." Tuttavia, non è la prima volta che Slow Food critica aspramente le scelte di Expo.

Anzi: a ben vedere si è sempre lamentata di un'esposizione in cui c'è dentro fin dal primo momento, e in cui avrà uno spazio "interamente dedicato alla biodiversità." Già nel 2011, Petrini scriveva che "il giocattolo Expo" non è altro che "un vuoto colossale d'idee" che farà fare all'Italia una "figura da peraccotai." Qualche anno dopo, nel 2014, il fondatore si era spinto a definire Expo come un evento dannoso e senz'anima.

Chi invece si è scagliato contro chi critica McDonald's è stato il patron di Eataly, definendola una stupidaggine enorme . "Il tema di Expo è nutrire il pianeta, ed è universale. […] Quelli di McDonald's li ho incontrati, e abbiamo parlato di prodotto sano e pulito. Intanto danno lavoro a tante persone." Al contrario di Petrini e Slow Food, il rapporto di Farinetti con Expo è decisamente meno tormentato. Anche perché Expo ha assegnato a Eataly (senza gara) uno spazio enorme che comprenderà "venti ristoranti regionali"per un totale di 2.2 milioni di pasti da sfornare. Sala aveva giustificato questa scelta con "l'unicità" della creatura farinettiana "nell'ambito dei servizi di ristorazione, compresa la riconoscibilità mondiale del brand."

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Il presidente dell'Anticorruzione Raffaele Cantone, tuttavia, non si è lasciato convincere del tutto da questa pretesa "unicità," e la settimana scorsa ha presentato dei pesantissimi rilievi sull'opportunità e la legittimità dell'affidamento diretto, chiedendo esplicitamente quali siano le effettive circostanze che hanno condotto alla proposta di collaborazione di Eataly.

Dal canto suo, Farinetti già mesi fa—quando Cantone aveva chiesto le carte dell'affidamento—aveva protestato pesantamente, e ora è arrivato a dire che "avremmo preferito non essere chiamati, almeno ci apriamo i negozi all'estero, ma abbiamo deciso di farlo volentieri per l'Italia."

Naturalmente, Eataly si guarda bene dallo sfilarsi da Expo. Anche perché—nonostante le lamentele di Farinetti—l'evento non solo garantisce una visibilità incredibile, ma sopratutto tira la volata al FICO, il progetto della "Disneyland del cibo"di Eataly che dovrebbe sorgere a Bologna dopo Expo e che, lo afferma Farinetti stesso, sarà presentato "pesantamente" a Milano di fronte agli operatori turistici.

Dopo Expo, toccherà a — Rai Expo (@RaiExpo)April 11, 2015

A ogni modo, quello che si riesce a scorgere sotto gli strati della propaganda di Expo, come mi dice Wolf Bukowski— autore del recentissimo La danza delle mozzarelle, un saggio sulla "narrazione" di Slow Food, Eataly e Coop—è un mastodontico "supermercato grande come una metropoli che contiene al suo interno anche la proprio opposizione, o meglio: il simulacro della propria opposizione."

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La sussunzione della critica nel meccanismo Expo, tra l'altro, emerge con ancora più forza se si pensa che la reale opposizione alla declinazione del tema "Nutrire il pianeta" è necessariamente fuori da Expo.

A parte il movimento No Expo, in questi mesi diverse associazioni che si occupano di alimentazione e agricoltura hanno manifestato il netto rifiuto verso un evento che ritengono essere la celebrazione del potere dell'attuale sistema agroalimentare. Per gli autori del libro su Genuino Clandestino—una rete di comunità agricole che rivendica "l'autodeterminazione alimentare contro la distruzione degli ambienti rurali tradizionali"—Expo "non nutrirà il pianeta, semmai lo affamerà" con colate di cemento, lavoro precario e gratuito e "cluster" dedicati agli "affaristi del cibo.

Secondo Bukowski, tuttavia, non esistono due Expo diverse—una dei "poteri forti" e una green. Anzi. "Dentro Expo sono strutturali questi due aspetti," continua l'autore, "e proprio il fatto che siano strutturalmente confusi fa di Expo ciò che è: un contenitore buono per tutto, in cui ognuno si può immaginare quello che ci vuole vedere dentro."

In effetti, basta dare un'occhiata alla lista dei partecipanti di Expo per rendersi conto di come ci sia davvero di tutto: le multinazionali come la Nestlè insieme alle Ong che si battono per la sicurezza alimentare; la paladina anti-Ogm Vandana Shiva (critica, ovviamente) e le aziende che producono Ogm; una parata di chef pluristellati e la Caritas; e così via.

Il rischio, insomma, è che l'evento che si aprirà a breve si trasformi in "una patetica, nostalgica e tragicamente fallimentare fiera paesana […] che si propone come antitesi dell'innovazione." E se a dirlo è il Sole 24 Ore—non un ciclostilato clandestino che gira nei circoli sovversivi di Milano—allora l'impostazione generale del Grande Evento è sfuggita di mano. O forse, molto più semplicemente, doveva andare esattamente così.

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