Nordcoreani costretti ai lavori forzati nel cuore dell’Unione Europea? Sembra impossibile. Eppure, un’inchiesta di VICE è riuscita a rintracciarli in Polonia, scoprendo che i soldi da loro percepiti vanno a finanziare direttamente la Repubblica Democratica del Popolo della Corea, il regime di Kim Jong-un.
In tutto il paese europeo, i lavoratori nordcoreani vengono impiegati nei lavori manuali più disparati: i loro salari sembrano viaggiare attraverso una rete di società istituite apposta per fare arrivare il denaro dritto dritto nelle tasche del Partito dei Lavoratori.
Videos by VICE
VICE ha ottenuto accesso a un archivio segreto di documenti confidenziali, contenente contratti di lavoro, cartelle di pagamenti, registri di persone, copie di passaporti. Abbiamo anche visionato un registro anagrafico trafugato clandestinamente dalla Corea del Nord in cui risulta come una società polacca è gestita da un membro di alto rango dell’esercito nordcoreano.
La nostra inchiesta è partita dalla morte di un nordcoreano che lavorava come saldatore in un cantiere navale nella regione di Gdansk. L’uomo aveva riportato ustioni sul 95 per cento del corpo in seguito a un incidente avvenuto a causa dell’uso di equipaggiamento inadeguato e in condizioni lavorative pericolose, come ci ha riferito l’ispettore del lavoro del cantiere Tomasz Rutkowski.
A partire da quell’episodio, abbiamo ricostruito una rete complessa di sfruttamento organizzato, caos burocratico, indifferenza istituzionale e ignoranza politica che si estende fino alla Commissione Europea. Nello specifico, l’inchiesta porta alla luce condizioni lavorative che potrebbero essere qualificate come ‘lavori forzati’, almeno stando alla definizione ufficiale della Convezione Europea sui diritti umani e dall’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO).
Un tessuto di sfruttamento lavorativo su cui le società europee guadagnano, mentre il leader Kim Jong-un si riempie le tasche di denaro straniero.
Secondo quanto appurato dalla nostra inchiesta, tra il 2010 e il 2016 l’Ispettorato Nazionale Polacco del Lavoro (PIP) ha scoperto ben 14 compagnie diverse che impiegano lavoratori nordcoreani.
Nel documento che abbiamo potuto visionare viene nominata anche la Korea Rungrado General Trading Corporation (Rungrando), un’azienda di proprietà del Partito dei Lavoratori di Kim — coinvolta persino nel traffico illecito di parti di missili Scud in Egitto.
La nostra inchiesta si è concentrata su Rungrado e altre tre aziende polacche, due delle quali forniscono lavoratori nordcoreani a due grandi cantieri navali che costruiscono e riparano navi per clienti di tutta l’Unione Europea.
Guarda il video di VICE: ‘Cash For Kim: North Koreans Are Working to Their Death in Poland’ (sottotitoli in inglese)
I documenti del PIP esaminati da VICE mostrano che due società, Armex e Alson, entrambe di proprietà della stessa imprenditrice polacca, Cecylia Kowalska, forniscono infatti lavoratori nordcoreani a Nauta, uno dei più antichi cantieri navali della Polonia, e a Crist, dove uno dei braccianti ha perso la vita dopo che i suoi vestiti hanno preso fuoco lo scorso anno. Nauta cita “manodopera a basso costo” come una delle ragioni per cui il cantiere sarebbe “il posto ideale dove portare a riparare imbarcazioni di altre nazioni NATO.”
I documenti PIP hanno anche dimostrato che tra il 2013 e il 2016 Armex ha ricevuto lavoratori della Corea del Nord da Rungrado, presentata in una brochure promozionale come una società che commercia cosmetici, vestiti e acqua minerale.
Un rapporto approfondito delle Nazioni Unite, pubblicato a febbraio, ha poi collegato Rungrado al traffico illegale di parti di missili Scud in Egitto e, si pensa, anche al contrabbando di merci di lusso in Corea del Nord.
Leggi anche: Come un ragazzo è fuggito a nuoto dalla Corea del Nord
Rungrado fornisce manodopera nordcoreana anche a Atal, una delle più grandi società edili polacche specializzata in palazzine di appartamenti di lusso, stando alle informazioni in possesso del PIP.
In risposta alle domande di VICE, un portavoce di Atal ha detto che i nordcoreani non lavoravano per la società ma per un’azienda sussidiaria, JP Construct, il cui direttore generale Mateusz Zbigniew è anche il figlio del presidente di Atal, Zbigniew Juroszek.
VICE ha visitato un cantiere edile di Atal nella città di Wroclaw in cui stavano lavorando diversi nordcoreani, impiegati – come ci ha riferito la guardia polacca del cantiere – alla costruzione di pavimenti e muri. “Atal ha lavorato con i coreani per oltre otto anni,” ha detto, “possiamo contare su di loro.”
I documenti del PIP mostrano che i nordcoreani lavorerebbero anche in altre industrie, come quelle per la costruzione di superfici, la produzione di mobili, agricoltura, lavorazione di metalli, medicina e finanza.
Parlando con i coreani presenti al cantiere navale, abbiamo appreso che molti di loro lavorano spesso anche 11 o 12 ore al giorno, cinque giorni la settimana, con turni più brevi al sabto: sette ore. I lavoratori vengono trasportati a un cantiere edile della Atal a Varsavia, su un autobus, alle 5:52 del mattino, e riportati indietro oltre le sette di sera in un quartiere residenziale sorvegliato situato in una zona rurale isolata.
Un nordcoreano, alla domanda se lui e i suoi colleghi siano controllati da guardiani, ha risposto: “Ovviamente.” Non poteva dirci “niente di più,” ha poi aggiunto con fare nervoso. Abbiamo chiesto se parlare con noi avrebbe potuto creargli problemi, e ha risposto: “Non ne verrebbe fuori niente di buono.”
Abbiamo parlato anche con altri lavoratori che godevano di un livello di libertà leggermente superiore, avendo lasciato il cantiere di Crist in bicicletta – ma anche questi lavoratori ci hanno riferito di non avere accesso a telefoni cellulari o contanti.
“Non riceviamo i soldi personalmente,” ci ha raccontato uno di loro. “Lasciamo che se ne occupi l’azienda. Quando tornerò in [Nord] Corea riceverò il denaro. Se avessimo contanti, potremmo perderli. E comunque non abbiamo bisogno di soldi mentre andiamo e torniamo da lavoro. Li lasciamo all’azienda, è la cosa più sicura.”
“Nel complesso abitativo ogni stanza ha un letto solo, e dentro ci vivono quattro o cinque lavoratori.”
L’uomo non è riuscito a spiegarci quanto guadagni all’ora o al mese. Quando abbiamo chiesto il nome della società nordcoreana che lo aveva inviato in Polonia, ha risposto: “È un segreto.”
Nel loro complesso abitativo ogni stanza ha un letto solo, e dentro ci vivono quattro o cinque lavoratori. Considerando che sono richiesti loro anche dei turni lavorativi notturni, ci sono di solito due o tre persone che dormono nella stanza a ogni ora del giorno.
Abbiamo chiesto a un altro nordcoreano se riesce a comunicare con i suoi colleghi polacchi. “Non abbiamo il tempo. Andiamo a lavoro e poi torniamo a casa. È tutto quello che facciamo,” ha risposto.
Leggi anche: Il programma spaziale della Corea del Nord è come una Playstation 4
Quando abbiamo chiesto se fosse vero che i lavoratori non possono intascare lo stipendio, e che il loro datore di lavoro ne ritiene comunque la maggior parte, ha detto: “Sfortunatamente, non posso rispondere a questa domanda.” Dopo un attimo di pausa, ha aggiunto: “Fammi chiarire. Noi lavoriamo per l’azienda Armex. Questa azienda, Armex, trasferisce i soldi alla nostra azienda. La nostra azienda poi li distribuisce a noi.”
Armex ha rifiutato di parlare con noi quando l’abbiamo contattata al telefono e via email – ma quando ci siamo presentati al loro ufficio, siamo riusciti a parlare con Kowalska.
Lei ha negato in maniera categorica che i lavoratori non siano pagati direttamente, sostenendo che ogni lavoratore è stato pagato personalmente in contanti ogni mese, e ha firmato una ricevuta per la somma versata.
“Consegnamo loro personalmente il denaro ogni mese, in una busta,” ha detto. “Alcuni contano persino le banconote.”
Kowalska ha negato anche che i lavoratori non abbiano libertà di muoversi, dicendo: “Vanno fuori, a fare compere, a visitare luoghi.” Maciej Kowalski, suo figlio e uno dei membri del consiglio della Armex, ha detto che i nordcoreani socializzano con i loro colleghi polacchi, nonostante le barriere linguistiche. “Vanno a prendere una birra insieme ai polacchi, vanno a mangiare la pizza,” ha riferito. “Ci ha informato il cantiere.”
Da quello che VICE ha visto e dai rapporti approfonditi pubblicati precedentemente, se ciò che sostiene Armex fosse vero, la situazione dei loro lavoratori sarebbe piuttosto anomala.
Secondo l’Alleanza europea per i diritti umani in Corea del Nord, i lavoratori all’estero sono privati della maggior parte del loro stipendio, che viene pagato in valuta straniera direttamente alla Repubblica Democratica di Corea, secondo un metodo usato per evitare le sanzioni ONU.
“La manodopera raramente è libera di lasciare il luogo di lavoro o di entrare in contatto con la gente del posto durante il periodo di lavoro forzato. L’accesso alla stampa è negato, la comunicazione con i familiari in Corea del Nord limitata e l’indottrinamento ideologico è più invasivo di quello praticato nella Repubblica stessa,” si legge in un rapporto pubblicato lo scorso settembre e basato su interviste con disertori.
L’ONU aveva stimato in un rapporto dello scorso anno che ci sarebbero circa 50.000 nordcoreani all’estero, i quali frutterebbero al regime di Kim tra uno e due milioni di euro all’anno. I lavoratori sono pagati pochissimo, mentre i datori di lavoro pagano “somme molto più alte” direttamente al governo della Nord Corea, come si legge nel rapporto speciale di Marzuki Darusman.
Lo studio indica che i lavoratori provengono per lo più da Pyongyang, e devono essere fedeli al regime, oltre che sposati, per permettere di usare i familiari come strumento di ricatto affinché si comportino bene.
Possono tornare a casa in vacanza per 40 giorni dopo due anni di lavoro, dopo la quale devono lavorare all’estero per altri tre anni. Un lavoratore con cui abbiamo parlato ha detto di essere stato in Polonia per cinque anni.
Remco Breuker, professore di Studi Coreani alla Leiden University in Olanda che è anche alla guida di un gruppo di esperti per studiare il fenomeno dei lavori forzati dei nordcoreani in UE, lo spiega chiaramente: “Secondo me, la Nord Corea è il più grande ufficio di collocamento illegale del mondo. Manda persone dove ce n’è bisogno, a chiunque voglia pagare. Non c’è uno stato nordcoreano – c’è l’azienda della Nord Corea o di Pyongyang. È un’azienda. Fa di tutto per assicurarsi che il suo CEO e il suo direttore rimangano al potere e che facciano più soldi possibile.”
VICE ha scoperto anche che l’imprenditrice Kowalska, alla direzione di Armex e Alson, ha anche co-fondato una compagnia polacca chiamata Wonye – “orticoltura” in coreano – insieme a due uomini della Corea del Nord, nel 2015.
Secondo Kowalska, quest’impresa al momento non è attiva. Ma quando VICE si è recato all’indirizzo polacco al quale è registrato uno dei due fondatori nord coreani, ha scoperto che si trattava di una stazione di benzina a circa 24 chilometri a sud di Varsavia, situata vicino a una grande serra per la coltivazione di pomodoro: secondo la gente del posto, qui lavorano i nordcoreani.
Il nome del fondatore nordcoreano sarebbe Kang Hong-hu, stando ai documenti dell’azienda che abbiamo consultato. C’è solo una persona con questo nome nel registro anagrafico di Pyongyang del 2004 ottenuto da VICE, e riportava la stessa data di nascita del Kang Hong-hu dei documenti dell’azienda polacca. Stando al registro anagrafico di Pyongyang, Kang nel 2004 era un comandante dell’esercito della Nord Corea.
Il Ministero polacco del lavoro non è riuscito a fornire a VICE il numero di nordcoreani presenti al momento in Polonia, né a giustificare perché non sia stato fatto niente riguardo le loro condizioni illegali sui luoghi di lavoro documentate dal PIP.
Tutto quello che il Ministero ha potuto fornirci è il numero dei permessi di lavoro che le autorità regionali hanno rilasciato in tutto il paese per lavoratori provenienti dalla Corea del Nord tra il 2010 e il 2015: un totale di 1.972.
Il Ministero ha anche rivelato che negli ultimi sette anni ci sono state 377 ispezioni sullo status lavorativo dei nordcoreani in Polonia — 77 delle quali hanno rilevato delle irregolarità relative all’impiego: ovvero, i lavoratori non avevano i permessi necessari.
Le ispezioni hanno portato alla luce anche violazioni dei diritti dei lavoratori, tra cui il fatto che la manodopera venga ingannata riguardo alle vere condizioni d’impiego e non possa prendere ferie o riposare tra i turni di lavoro.
L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) definisce il lavoro forzato come “una situazione in cui le persone sono costrette a lavorare con violenza o sotto intimidazione, o attraverso tecniche più sottili come debito accumulato, sequestro dei documenti di identità o minacce di denuncia alle autorità per l’immigrazione.”
Il vice direttore dell’agenzia di governo polacca responsabile dei lavoratori stranieri nella regione di Varsavia, Jacqueline Sánchez-Pyrc, è stata chiara. “Senza dubbio, vi sono segni di [lavoro forzato].” “E non siamo gli unici ad averlo visto.”
Ma ci ha anche riferito che la sua agenzia non ne è responsabile. “Tutto quello che possiamo fare è riportare il problema ai legislatori, no?” ha detto. “Per chiedere che lavorino a una soluzione alla situazione.”
Sánchez-Pyrc non è riuscita a dirci perché i permessi di lavoro continuino a essere rilasciati a nordcoreani nonostante le prove di lavoro forzato; non è riuscita neanche a farci sapere quanti permessi il suo dipartimento abbia rilasciato, poiché il database in uso al momento registra i dati sui nord e sud coreani semplicemente come “coreani.”
In un’intervista con l’edizione polacca di Newsweek a novembre dello scorso anno, la polizia di frontiera del paese aveva descritto la situazione seguente: “[I lavoratori nordcoreani] sono un gruppo isolato che non sfrutta il proprio diritto di muoversi liberamente nel nostro paese, e tutte le attività […] possono essere intraprese soltanto […] in presenza di un rappresentante eletto che risieda permanentemente in Polonia e che ricopra un ruolo di assistenza.”
Un portavoce delle autorità di immigrazione polacche ha riferito a VICE che era stato concesso asilo ai nordcoreani fuggiti dal loro paese lavorando in Polonia nel 2015, ma non ha fornito ulteriori informazioni.
Kim Seung-cheol è scappato durante un incarico di lavoro in Russia nel 1999, sebbene alcune fonti che hanno parlato con VICE sotto condizione di anonimato sostengono che non più di 50 dei 50.000 nordcoreani che lavorano all’estero riescono a fuggire. Secondo Kim, la polizia segreta visita le famiglie dei lavoratori disobbedienti e ha detto a VICE che suo figlio e la madre sono stati deportati e sono morti poco dopo che lui aveva lasciato il suo impiego. “La mia intera famiglia è stata distrutta.”
Breuker è chiaro nel dire che i nordcoreani lavorano sotto coercizione. “È sicuramente lavoro forzato, per quello che ne so. Se poi queste persone possano essere considerate degli schiavi, questa è una domanda difficile: direi che ci vanno molto vicino,” ha detto.
“Non puoi davvero parlare di lavoro volontario. Tutti voglio uscire dalla Corea del Nord. Quanto peggiori possono essere le cose fuori dal paese? Per quanto credo, non c’è possibilità di fare ciò che si vuole. Provi a sopravvivere e fai domanda per andare all’estero.”
Nel gennaio del 2015, il membro olandese del Parlamento Europeo (MEP) Kati Piri aveva chiesto alla Commissione Europea se fosse a conoscenza di accordi tra stati membri dell’Unione e la Corea del Nord che includessero prestazioni da parte di lavoratori, e se avesse preso provvedimenti per migliorare la situazione della manodopera nordcoreana in Europa. La commissione aveva risposto che i nord coreani erano al lavoro nell’UE e soggetti alle rispettive leggi dei loro paesi di residenza; il lavoro forzato è proibito in tutti gli stati membri dell’Unione, aveva fatto notare.
Otto mesi dopo, Piri aveva chiesto alla Commissione UE se avesse dati sulle società UE che avevano assunto nordcoreani, 800 dei quali si trovavano in Polonia, stando alle informazioni in possesso di Piri. La risposta è stata semplicemente: “La commissione non ha dati relativi a società UE che assumono cittadini del terzo mondo.”
Non solo la commissione sembrerebbe chiudere un occhio sulla realtà dei nordcoreani nel’UE, ma fornirebbe anche assistenza economica a chi da tutto ciò trae guadagno.
Una ricerca della Leiden University ha scoperto che tra il 2010 e il 2015 i cantieri di Crist e Nauta hanno ricevuto più di 70 milioni di euro in finanziamenti o sussidi che arrivano dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale – alcuni dei quali sono stati indagati dalla commissione per essere stati versati illegalmente.
Thomas Händel, MEP tedesco e presidente del Comitato Parlamentare UE per l’impiego e gli affari sociali, membro della delegazione UE per le relazioni con il sud est asiatico e l’Associazione delle nazioni del sud est asiatico, ha riferito quello che se quello che VICE ha stabilito si rivelasse corretto, la commissione avrebbe il dovere di indagare.
“Non dovrebbe essere possibile. Abbiamo delle chiare convenzioni ONU e ILO contro la schiavitù, che sono state, a quanto so, ratificate anche dalla Polonia,” ha detto. “In tal caso, sarebbe assolutamente scandaloso per uno stato membro dell’US comportarsi in questo modo.”
Leggi anche: Queste foto uniche mostrano com’è davvero la vita di tutti i giorni in Corea del Nord
Segui VICE News Italia su Twitter, su Telegram e su Facebook
Segui Christian Vonscheidt su Twitter: @vonscheidt
Segui Miriam Wells su Twitter: @missmbc