Buio. Alle mie spalle si è appena chiusa la serranda di un garage in periferia di Sassari e i ragazzi dentro, la scena rap di Sassari parte di quella Nuova Sardegna di cui abbiamo già parlato, non hanno ancora trovato l’interruttore della luce.
Poco prima di entrare lì, cammino per le vie di Sassari con Rico PMF e Low-Red. Rico ha un marcato accento sardo, sassarese per la precisione. È salito sulla mia macchina e mi ha detto di essere felice che le cose stessero iniziando a funzionare con la musica. Ha appena fatto uscire un pezzo, il primo di una saga, che si chiama “Hood Tales #1”: “Vengo dal fango da dove non viene nessuno, ma quando son nato mi hanno benedetto, sto diventando la voce di qualcuno” canta con fare street, vero, e una capacità descrittiva quasi da altri generi. Dopo, con tutti attorno, mi fa sentire i suoi nuovi pezzi. Me ne rimane impresso uno in cui dice di volersi bagnare le dita toccando una ragazza per contare la mulah; tutti gli altri si gasano.
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Low-Red invece si presenta come Mario. Il suo progetto è quello più avanzato di tutti quelli che sento quel giorno a Sassari. Mario ha una consapevolezza incredibile che si scontra con una timidezza di fondo. Quando parla, tutti pendono dalle sue labbra. Me ne accorgo guardando Sgribaz, attento a ogni mossa e ogni parola di Mario; gli occhi gli si illuminano quando si dirigono verso Low-Red.
Entrando nel garage, Mario mi racconta una sua riflessione che mi colpisce molto. Lui è stato per molto tempo a Londra con altri dei ragazzi nel garage—Ilovethisbeat, il produttore, Razer.Rah e Cage.488—dividendosi tra ristoranti italiani in cui ha sgobbato per pagarsi la musica e lo studio di Ilovethisbeat dove sgobba per andare a mangiare nei ristoranti. Mi racconta che tra Sassari e Londra vive due vite parallele: a Londra avrebbe dovuto comportarsi bene e tutti invece lo stimavano e l’amavano quando faceva il bad boy, esasperando l’indole da italiano all’estero. A Sassari invece viene apprezzato, dice, quando sta in sordina e non si espone. Lui è un personaggio vulcanico, una nota di colore in una città culturalmente daltonica.
È lo stesso che mi racconta Pherro, che con ilovethisbeat cura la produzione artistica di Mario 2, il disco di Low-Red di prossima uscita. Pherro che si è fatto un nome per aver prodotto Marracash, Luché e che è stato uno dei primissimi a portare le sonorità trap in Italia (come in “GVNC”) mi dice di ricordarsi di un Low-Red ragazzino, che scappava da casa per andare alle sue serate, con il quaderno sotto il giubbotto per non far vedere che stava scrivendo rime.
Quando giro per Sassari con Low-Red vedo che il suo durag attira l’attenzione della gente; lui mi dice di averci sofferto, di aver avuto la città contro ma di averla in qualche modo convinta, e non stento a riconoscerlo. Un tempo aveva dei ricci quasi iconici—vedi il video di “King Kong” che gli ha fatto Pierframes, mentre grafica dietro a tanti video e tante grafiche della Nuova Sardegna, ma di Salerno e in giro per il mondo—ma adesso ha i capelli corti che si vedono nel video di “Piumino”, con Luchetto.
Mario ha alle sue spalle dei progetti già svolti, e nel nuovo, in uscita a breve, ci sarà tanto di quanto ha fatto vedere nel primo progetto, in cui ilovethisbeat sperimentava tra mille generi diversi, con delle soluzioni geniali, contorte e acerbe che sono la base dello sviluppo musicale di Mario. Ha fatto uscire dei freestyle crudissimi e grezzi su Instagram per spiazzare l’ascoltatore prima di “Sensibile”, un pezzo veramente diverso da quanto mi aveva abituato che senza paura apre le orecchie degli ascoltatori alla vita vera di Mario, prima ancora che Low-Red, che canta “non sono un criminale, non voglio delinquere, io sono sensibile”, in completa controtendenza con lo stilema del rapper che conosciamo.
I prossimi pezzi in uscita approfondiranno ulteriormente questa sua ricerca interiore, ma ad oggi si può dire che il ventaglio di capacità di Low-Red in questo momento sia esemplificato dalla sua strofa in “New Life” nel mixtape di Sgribaz dove nelle barre “questa b**** vuole in faccia un pupo, ma non chiamava se ero in stanza a piangere al buio:” capacità tecnica, grande potenza lirica e anche profonda introspezione. In “Sensibile” Low-Red canta anche: “Mi sentivo in un film, però non è un film” e quando camminiamo nella piazza dove Mario è cresciuto con Cage.488, Low-Red ci racconta di quando entrava di notte nella piscina comunale, noi ridiamo e Praci mi dice che la vita di Low-Red sembra davvero un film.
Se Low-Red è il leader schivo della scena di Sassari, Prisoner è il leader organizzativo. Lui dei ragazzi presenti produce Luchetto, ma mentre ilovethisbeat sta a Londra aiuta pure gli altri ragazzi, sia dal punto di vista delle registrazioni, sia da quello organizzativo. Se le produzioni di ilovethisbeat sono pazze, per mood, intuizioni e struttura, Prisoner ha un approccio diverso. Come suo standard da quello che mi racconta adora i sample, e chiacchieriamo parlando della nostra passione per Drake e il rap di anni fa; nel lavorare con Luchetto invece la formula è diversa. Essendo Luchetto un rapper che definirei furioso, da come spacca ogni volta il beat, Prisoner deve utilizzare soluzioni diverse, più street, per disegnare il giusto tappeto al suo flow esagitato. È quello che succede in “Piumino”, vero e proprio banger coprodotto con ilovethisbeat che vede Luchetto e Low-Red scambiarsi rapidamente sul beat “no prigione”, tag del produttore, e “What do you want me to say? Ilovethisbeat”, tag del compagno.
Ma a volte Prisoner può giocare a casa sua anche con Luchetto, come in “Maracas”, che uscirà sul suo disco: mille violini uno sopra l’altro compongono il beat che i Luchetto e Praci sfondano parlando di auto sfasciate, culi, ratti e patatas bravas. Questo è l’immaginario di Luchetto, un rapper sì ancorato agli standard del genere (come dimostrato per esempio dall’utilizzo della catchphrase “4elle”, il quinto dito glielo hanno staccato perché è per sempre) ma allo stesso tempo geniale in modo assurdo, capace di acrobazie linguistiche e artistiche e un modo di fare da vero showman, tra gang signs e look assurdi che vanno dalla maglietta termica a delle sneaker – tema ricorrente nei suoi pezzi – esclusive che “non sai dove compra”, come diceva Side in “Neve a settembre”.
Luchetto è sicuro che ce la farà con la musica, emerge da ogni sua mossa, ogni sua parola e ogni suo pezzo e, mentre ascoltiamo il suo disco, riprodotto dalle casse di una macchina dentro al garage, lui indossa un piumino ma con sotto solo delle bretelle e sono pronto a scommettere che quel piumino diventerà di marca.
Poco prima di entrare nel garage, sarei dovuto salire nella macchina di Cage.488. Ma nella fretta di parcheggiare l’ha mollata dentro il parcheggio di una scuola che ha chiuso i cancelli per il weekend. Atterrito e senza la macchina, Cage.488 è l’ultimo dei ragazzi di Sassari che incontro. Atterrito sì, ma un grande guascone, quando lo becco è felice di tutto il contesto di gruppo che si è creato e che siano venuti Sgribaz e Praci da Cagliari. Lui si divide tra Londra e Sassari, e la sua produzione è sempre curata da ilovethisbeat, sempre positivo equilibrista tra tutti i mood diversi della Nuova Sardegna. E l’equilibrismo tra Londra e Sassari, satelliti così distanti, emerge con forza nel progetto musicale di Cage, che sebbene nelle uscite presenti risulta ancora un po’ acerbo e diviso tra le influenze tipiche della musica in di questi anni—musica londinese e Travis Scott su tutto—nei pezzi in lavorazione si vede un notevole passo avanti e una comprensione anche del proprio spazio artistico.
Così come Cage e Mario, anche Razer.Rah si divide tra Londra e la Sardegna e viene prodotto da ilovethisbeat. Lui viene da Alghero, come nella canzone di Giuni Russo, e quando chiamo ilovethisbeat su Facetime, lui mi dice che a Londra tutta la gente a cui fa sentire Razer impazzisce—e posso immaginare il perché. Anche Pierframes si gasa e mi dice che Razer fa la trap americana però in italiano. Questa mi sembra la chiave di lettura corretta: Razer, per esempio nella sua “Weekend”, sembra a metà tra le ultime cose di Lil Durk e qualche cantante più R&B tipo Bryson Tiller, ma ha una particolarità. Se lo standard americano di genere è entrare con chill nel beat, io ho l’impressione che Razer ogni volta la base la spacchi per foga e attitudine, sentite la sua strofa in “New Life” di Sgribaz e provate a rimanere fermi quando urla: “Un bacio a mamma, lunga vita a chi mi ama, dieci grammi in una canna, la famiglia è bella larga.” Di tutti i ragazzi che vedo è l’unico che ha finito i pezzi da far uscire e aspetta di tornare a Londra per beccare ilovethisbeat e ricominciare il processo creativo.
Quando si stava per accendere la luce nel garage di Sassari, ho pensato al piccolo studio di Sgribaz, Praci ed Enomoney a Cagliari, ai viaggi di Low-Red, Razer, Cage e Ilovethisbeat tra Sassari e Londra, a Rico che consegnava pizze nelle vie, come dice in “Hood Tales 1”. E mi è venuto in mente, che per la prima volta da sempre, davvero una nuova scena sarda è pronta a portare qualcosa di nuovo nell’isola, in Italia e fino a Londra, lasciando perdere i provincialismi e un campanilismo stantio. Loro sono la Nuova Sardegna e sono qua per restare.
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