FYI.

This story is over 5 years old.

News

Sbarre segate ed elicotteri: compendio delle evasioni dal carcere di Rebibbia

La recente fuga di due detenuti da Rebibbia è solo l'ultima di una serie abbastanza nutrita di evasioni avvenute da trent'anni a questa parte. Abbiamo messo in fila quelle più clamorose.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Tra i topos ricorrenti nella cultura popolare c'è indubbiamente quello del detenuto che sega le sbarre della cella e scappa dalla prigione calandosi da un lenzuolo. A pensarci bene, è una scena che abbiamo visto talmente tante volte nei film volte che è quasi strano immaginare che possa succedere nella realtà del 2016.

Eppure, negli ultimi anni in Italia ci sono state decine e decine di evasioni andate a buon fine. L'ultima si è verificata nel carcere romano di Rebibbia, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre. Approfittando della confusione legata all'arrivo dei carcerati dall'istituto di Camerino, danneggiato dal terremoto nel centro Italia, tre detenuti albanesi—dentro per i reati di omicidio, tentato omicidio e sfruttamento della prostituzione—hanno prima sistemato delle sagome fatte di bottiglie di plastica sul letto, poi hanno segato le sbarre e infine si sono calati dal muro di cinta del reparto R9 con delle lenzuola.

Pubblicità

Per Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), l'evasione sarebbe stata favorita dal mancato funzionamento del sistema anti-scavalcamento, e soprattutto dalle carenze di organico della polizia penitenziaria.

Tre detenuti evasi da — Adnkronos (@Adnkronos)27 ottobre 2016

In particolare, stando alle dichiarazioni del segretario della Fp-Cgil Salvatore Chiaramonte, a Rebibbia sarebbero concretamente operativi "soli 750 poliziotti penitenziari" su un totale di 1400 detenuti, e questo produrrebbe "un rapporto pari a un solo agente che spesso deve vigilare su 170 detenuti, come accaduto questa notte, attraverso una modalità spacciata per 'vigilanza dinamica'."

Ma al di là delle denunce dei sindacati, l'aspetto più sorprendente di quanto accaduto a Rebibbia non è tanto la fuga in sé, quanto il fatto che si tratta dell'ultima di una serie abbastanza nutrita di evasioni avvenute da trent'anni a questa parte. Per questo, ho deciso di mettere in fila quelle più clamorose che hanno visto protagonista il carcere romano.

LA FUGA DI SAN VALENTINO

Le stesse modalità dell'evasione di ieri sono state utilizzate anche la sera del 14 febbraio 2016. Nel tardo pomeriggio di quel giorno, due detenuti romeni—all'interno di Rebibbia per sequestro di persona e rapina—avevano segato le sbarre di una finestra del magazzino nel reparto G11 e scavalcato il muro di cinta alto sei metri, servendosi di manici di scopa, lenzuola e ganci di metallo rudimentali.

Pubblicità

Una volta fuori, i due avevano preso un autobus di linea e si erano dileguati. La fuga era finita per entrambi quattro giorni dopo: uno è stato fermato a un posto di blocco, mentre l'altro si è costituito ai carabinieri di Tivoli. "Il mio assistito ha deciso di consegnarsi perché si è reso conto di aver fatto una schiocchezza ed era mortificato per quanto avvenuto," ha detto l'avvocato dell'evaso.

Come è poi emerso dalle indagini, i due sono riusciti a scappare perché il sistema d'allarme del muro di cinta di Rebibbia era fuori uso. Gli inquirenti, tuttavia, non credono affatto che l'evasione sia stata il frutto dell'improvvisazione; anzi, sono convinti che i due abbiano ricevuto una soffiata, forse pagando qualche guardia. Stando a un retroscena, inoltre, all'evasione avrebbero dovuto partecipare anche altri quattro detenuti, che alla fine si sono tirati indietro.

"VOLEVAMO SCUSARCI PER IL NOSTRO MOMENTANEO ALLONTANAMENTO"

All'incirca due anni prima dell'evasione di San Valentino, altri due detenuti italiani erano riusciti a scappare avvalendosi di seghetto e lenzuola per superare il muro di cinta.

I due—in carcere per reati come rapina, lesioni, furto aggravato e ricettazione—si trovavano nella cosiddetta "terza casa," il settore dove si fa il "trattamento avanzato per i tossicodipendenti" e vige un regime di custodia attenuata. Come ha riferito la Fns-Cisl Lazio, nessuno era mai evaso da quella sezione.

Pubblicità

La vera peculiarità di questa evasione risiede però in un'altra circostanza. I due reclusi, infatti, hanno lasciato una lettera di scuse per il proprio gesto. "Noi sottoscritti," si legge, "volevamo scusarci per il nostro momentaneo allontanamento dovuto a problemi psichici e a quelli legati alla tossicodipendenza. […] La nostra permanenza ci ha portati a comportamenti scorretti, ma qui abbiamo trovato persone speciali. Con rispetto salutiamo."

La loro fuga, comunque, è durata poco più di 24 ore. Il primo è stato arrestato a casa di alcuni familiari nel quartiere di San Basilio, ai quali avrebbe detto di aver fatto "una stupidaggine" dovuta al desiderio di vedere il proprio figlio; il secondo è stato trovato in un ospedale a San Benedetto del Tronto, in cui si era recato – con documenti falsi – per curare una frattura al ginocchio.

LA "GANG DES POSTICHES", L'ESTREMISTA NERO E L'EVASIONE IN ELICOTTERO

Un ritaglio di un articolo de L'Unità del 1986. Via

Se le tre evasioni precedenti sembrano rocambolesche, be', non sono davvero nulla in confronto a quanto è successo nel 1986.

La mattina del 23 novembre due uomini avevano sequestrato il pilota e l'elicottero del servizio sanitario dell'ospedale San Camillo. Da lì si erano recati a Rebibbia, sorvolando il campo sportivo. Ad attenderli c'erano Gianluigi Esposito, un estremista di destra legato al giro della Banda della Magliana, e André Bellaiché, un francese di origine tunisina che fa parte della " gang des postiches"—così soprannominata perché i suoi membri compivano le rapine mascherandosi con baffi e barbe finte.

Pubblicità

Mentre l'elicottero era in hovering i due erano saliti a bordo e si erano fatti trasportare in una zona periferica di Roma, dove la fuga era proseguita con una Golf targata Parigi. Le forze dell'ordine italiane e francesi li avevano ritrovati—insieme ad altri due complici della malavita parigina—venti giorni dopo, in una villetta blindata di Yerres, una cittadina a 25 chilometri dalla capitale.

I reparti speciali avevano organizzato il blitz all'alba fin nei minimi dettagli. Dopo aver fatto saltare la porta d'ingresso, gli agenti avevano lanciato una decina di candelotti lacrimogeni per neutralizzare la reazione dei banditi. Quest'ultimi si erano comunque arresi senza opporre resistenza. Nella villa sono poi ritrovati armi da guerra, esplosivi, venti chili d'oro e un miliardo in banconote italiane e francesi.

"Ho fatto una gran fesseria a scappare dal carcere, è andata così. C' est la vie," avrebbe detto Gianluigi Esposito al capo della squadra mobile di Roma Rino Monaco.

"ALLA PROSSIMA VOLTA": L'EVASIONE A FUMETTI DEI BRIGATISTI

Ritaglio da un articolo de La Stampa del 1987. Via

Non fosse stato per una serie di circostanze fortuite, il primato di fuga più spettacolare da Rebibbia sarebbe forse spettato a dei brigatisti di spicco—Bruno Seghetti, Francesco Piccioni, Francesco Lo Bianco, Domenico Delli Veneri e Prospero Gallinari—reclusi nel braccio di massima sicurezza G7.

Tra il marzo e l'aprile 1987 i cinque—servendosi di attrezzi di fortuna— avevano scavato un tunnel sotto la cella numero 11 largo una cinquantina di centimetri, profondo cinque metri e lungo dieci. Secondo i piani, il cunicolo avrebbe dovuto portare verso il primo muro di intercinta; da qui i detenuti sarebbero poi arrivati al magazzino-vestiario, un locale dove si riusciva a uscire senza destare nell'occhio.

Pubblicità

A scoprirli è stato un agente di custodia che, durante un normale controllo nei sotterranei del penitenziario, ha notato delle corde di lenzuola e vestiti che penzolavano dal soffitto in corrispondenza della cella. Come ha ammesso all'epoca un maresciallo, "mancavano solo tre metri e ce l'avrebbero fatta."

Due anni dopo la tentata evasione è stata narrata direttamente da alcuni dei suoi protagonisti, che hanno scritto un volume a fumetti (ora praticamente introvabile) con la prefazione di Oreste Del Buono. Secondo un articolo dell'epoca, l'intento degli autori era "ironizzare sull'accaduto"—da qui il titolo del fumetto: Alla prossima volta—e raccontare ad un pubblico più vasto del solito "l'evasione, il cemento grattato con lentezza ossessiva, lo strisciare nel cunicolo, il fallimento."

BONUS: "OCCHI DI GHIACCIO" E LA FUGA DA REGINA COELI

Questa evasione non si è tenuta a Rebibbia, ma nell'altro carcere romano di Regina Coeli. Il 14 gennaio del 2012 un rapinatore albanese—soprannominato "Occhi di ghiaccio"—è scappato insieme a un complice romeno. I due hanno segato le sbarre e si sono calati con le lenzuola per venti metri. La vicenda era finita anche su Chi l'ha visto?.

Il piano originario, tuttavia, contemplava anche un terzo fuggiasco. Che però è rimasto in cella, e non per un ripensamento dell'ultimo minuto: era troppo corpulento per passare attraverso il buco dell'inferriata.

Segui Leonardo su Twitter