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televisione

Ho guardato 'Il collegio' con mio padre, che ci andava nel 1962

Mi ha detto che non è proprio la stessa cosa.
Tutti gli screenshot via Raiplay.

Una delle grandi verità dello showbiz è che le disgrazie altrui ti fanno fare ascolti. La seconda verità è che le storie non bisogna inventarsele: giusto ieri era pratica educativa comune, in ogni scuola della penisola, prendere a bacchettate un bambino che macchiava un foglio con l'inchiostro. Memori di queste verità gli autori di Magnolia hanno prodotto per la RAI la versione italiana del 'reality' Il collegio, in cui 18 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 17 anni vengono spediti per un mese nel collegio S. Carlo Celana, a Caprino Bergamasco, dove devono vivere, studiare e cercare di ottenere la licenza media come se fosse il 1960. Niente cellulari, niente pantaloni sotto il ginocchio, solo un sacco di telecamere.

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Ora, si dà il caso che nel 1962 in quello stesso collegio mettesse i suoi piedi di decenne mio padre, che ora di anni ne ha svariati di più ma che in tutto questo tempo non ha mai parlato volentieri di quel periodo. Di conseguenza, chiedergli di guardare con me la prima puntata del programma—che ha totalizzato più dell'8 percento di share—mi è sembrata un'ottima idea.

Anzitutto, è solo grazie a questo programma che ho scoperto che Giancarlo Magalli, voce narrante, è la voce di Filottete in Hercules. Ovviamente questa informazione non interessa a mio padre, che è cresciuto quando "l'infanzia" come cosa in sé non aveva ancora preso piede, e si è piuttosto occupato di fermare questa immagine del collegio ogni volta che veniva riproposta in diverse angolazioni, per spiegarmi tutto quello che è cambiato dai suoi tempi. Per esempio quella torre di Mordor in centro al cortile non esisteva.

Altra cosa che per i collegiali di Caprino Bergamasco del 1962 non esisteva: le compagne di classe femmine. Nonostante mio padre ammetta amareggiato che possibilmente "in un'altra ala dell'edificio c'erano classi per bambini normali [non collegiali], che erano miste," nella sua ala la promiscuità era kaput. Ad ogni modo l'analisi comparativa è stata abbandonata in fretta, dato che sono spuntate fuori pure uniformi, sorveglianti e un sacco di emotività. Tutte cose che, dice mio padre, non ha mai visto.

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Anche questo ritratto di Putin non l'ha mai visto.

La puntata si apre con i genitori che accompagnano i figli in collegio, tra station wagon e trolley, e con i ragazzi che si stringono le mani e si lanciano le prime frecciate geolocalizzate ("De dove sei?" "Eh?" "De dove sei?" "Non ho capito"). Il discorso del preside segna poi il momento della separazione dalle famiglie. Ora, sia io che voi che mio padre abbiamo avuto tra i 14 e i 17 anni, come i partecipanti al programma, e credo che la nostra preoccupazione numero uno fosse: liberarci dei genitori ed essere lasciati in mezzo ad altri simili. Quindi non mi spiego perché anche i collegiali piangano—dai ragazzi, è solo un mese tra esperimenti perfetti della genetica.

Stupito da questa dimostrazione corale di affetto filiale, mio padre urge che io gli confermi che sì, molti sono attori. Non che questo possa in qualche modo andare a loro (s)vantaggio, ma a quanto pare la notizia ha offeso un sacco di persone quindi mi sembrava giusto ricordare che si tratta di un programma tv.

Nel segmento successivo i ragazzi, condotti nelle loro camerate, indossano l'uniforme e consegnano ai guardiani o imboscano sotto gli armadi tutti i vessilli della modernità.

Quello che mi è piaciuto di questo programma è che consente di assistere a passi importanti della formazione di un uomo: per esempio il momento in cui si capisce che un gruppo in cui solo uno su nove sa fare il nodo alla cravatta è un gruppo destinato a non passare l'ispezione, ovvero un gruppo-società destinato all'estinzione.

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Seguito dal momento in cui un rappresentante del gruppo chiede se "la camicia va portata fuori o dentro," mentre mio padre commenta "Sì, figurati," e io vorrei fermare il tempo, entrare nel televisore, abbracciare quel ragazzo e dirgli "andrà tutto bene."

Questa tizia con il colletto da Ventennio che si agita molto e nella realtà fa la voce della pubblicità della TIM è la "signora sorvegliante". Ma mio padre è molto poco impressionato dalla figura dei sorveglianti, visto che le vere carogne ai tempi dei collegi erano i tuoi compagni più grandi: gli adulti non si occupavano certo di controllare come fosse fatto il letto, ispezionarti la cravatta o passare la notte alla ricerca di modi per non farti dormire.

Per fare il lavoro di sorveglianza becero venivano infatti appuntati "prefetti" dei ginnasiali, che da quel momento in poi godevano di immenso potere e virtualmente nessun controllo. Persone così a modo che in letteratura li si ricorda come coloro che avevano "diritto di vita o di morte sui più piccoli."

In ogni caso, anche nel reality i sorveglianti fungono da servi dal potere, e come tutti i piccoli malvagi che non fanno che eseguire ordini dei potenti suscitano pure un po' tristezza—perché il massimo che possono fare è minacciarti che qualcun altro, ovvero il preside o un professore, ti punisca. Quando il professore si arrabbia, comunque, sei nei guai:

Questa ragazza per esempio si è rifiutata di leggere il suo testo davanti alla classe, e quel signore belloccio è il suo professore di italiano e latino, il professor Maggi, orgoglio del Triveneto nei confronti dei quale si verifica quel fenomeno per cui molte hanno fatto lettere all'università e si sono rovinate la vita: il transfer che, dopo una strigliata da contraerea, porta una studentessa a definirlo "una persona secondo me squisita."

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"Col cavolo che succedeva questa cosa," commenta mio padre testualmente, nel senso che col cavolo che a un insegnante si poteva rispondere di no, col cavolo che gli si poteva parlare sopra mentre leggeva ad alta voce il bruttissimo tema che a 15 anni hai avuto il coraggio di cominciare con "la gioia per me sono i miei amici," col cavolo che l'imbarazzo nel 1960 è considerato a) un sentimento e b) una giustificazione.

Le lezioni cominciano comunque tra difficoltà grafiche,

stereotipi,

e fallimenti,

intervallate soltanto dall'assunzione dell'olio di fegato di merluzzo e dai pasti—come la lingua di mucca, punto su cui mio padre sembra finalmente risollevarsi, soddisfatto che venga esposta a pubblici ludibrio e condanna la mensa "rivoltante" del Collegio. Di tutti i collegi del mondo, aggiungerei io.

Se io e mio padre abbiamo abbandonato da diverse inquadrature il gioco del confronto, però, l'espediente è sfruttato fino in fondo nel programma, che propone continui stacchi in cui gli studenti parlano della loro vita negli anni Duemila, vengono genericamente rappresentati come degli idioti incapaci di farsi il letto o hanno improvvise epifanie su come la tecnologia-sembra-avvicinarci-ma-in-realtà-ci-rende-soli.

In alternativa li vediamo impegnati in crisi di pianto per i tagli di capelli, l'assenza di internet o le perquisizioni.

È in questa occasione che il montaggio porta alla luce una video-pillola di una ragazza che, privata della piastra, dice, "non dovete toccarmi la mia musica e la mia piastra" e lo spettatore capisce che siamo a un cliffhanger: ed è in questo momento, in questo preciso momento, che tra mio padre e tutto quello che è venuto dopo di lui si apre una faglia generazionale, quando mi chiede,

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"La musica e…?"

e io dico, "la piastra,"

e lui, "che piastra?"

e io, "per i capelli,"

e mio padre sbuffa e si alza e dice, "queste sono tutte puttanate," e se ne va e non tornerà più fino alla fine. Vengo quindi lasciata sola mentre gli eventi precipitano con nuove lezioni fallimentari,

nuove cene di merda,

e nuove ribellioni che finiscono in nuove punizioni—e qui mi pare che gli argomenti da trattare su un collegio siano finiti, no? Si va a lezione, si fa di tutto per farsi espellere, si piange un po', si mangia di merda, ecco perché hanno fatto solo quattro puntate.

La visione, insomma, si risolleva nuovamente solo nel momento in cui mio padre torna per un attimo davanti alla tv e mi dice, "Comunque per un mese in terza media ho fatto il prefetto anche io, e gliele ho fatte reingoiare tutte."

Ieri è andata in onda la seconda puntata, condensabile in altre punizioni, altre lezioni, altri pianti, e amicizie che si stanno stringendo per vincere su tutto. In tutto ciò, però, ho come la sensazione che manchi qualcosa: se posso essere sincera, ci speravo in un po' di malizia, un po' di individualismo bieco, nella conferma del "fargliele reingoiare tutte" e di quello che una volta un mio amico inglese mi ha detto, che i collegi sono la versione domestica dell'uomo che produce il male come le api il miele de Il Signore delle mosche. Ma va bene così, è la RAI.

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