Nel ventre della Mole Vanvitelliana di Ancona, all’interno del festival Art+B=Love(?) nel weekend dal 16 al 19 maggio e al riparo dalla pioggia incessante, la figura stilizzata di un uomo, disteso a dormire su una panchina, ha preso vita, illuminando di rosso il cunicolo espositivo. Obiettivo, questo il titolo dell’opera, vuole avviare un processo di riappropriazione dei dati digitali che produciamo quotidianamente e, così facendo, svela indirettamente il paradosso di questa nostra epoca digitale: siamo inesorabilmente distaccati dai nostri dati.
Prendere vita, in questo caso, non è un eccesso di antropomorfismo: le luci della lampada, infatti, sono animate in tempo reale dal costante afflusso dei dati riguardo la povertà estrema nel mondo, raccolti da fonti globali quali UNDP, World Bank, OECD, World Poverty Clock. E non si spegnerà finché tutti gli esseri umani non saranno usciti dalla fascia di povertà.
Videos by VICE
Ogni variazione di intensità delle luci LED, poste alla base delle piastre di plexiglass che compongono l’opera, segnala quando una persona è uscita dalla povertà.
Obiettivo, spiegano Oriana Persico e Salvatore Iaconesi, tra gli autori dell’opera, è un oggetto datapoietico. La Datapoiesis è neologismo, frutto della fusione del mondo dei dati, in costante espansione, e quello dei processi di creazione. I dati stessi creano quindi qualcosa che prima non c’era.
La lampada è solo il primo degli oggetti che rientrano nel progetto DataPoiesis — realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del Bando ORA! Produzioni di Cultura Contemporanea — a cura di Sineglossa, il duo artistico AOS (Iaconesi/Persico), PlusValue, ICONA, e il centro di ricerca HER – Human Ecosystems Relazioni.
L’obiettivo di DataPoiesis è creare nuovi oggetti d’arte e di design collegati a fonti di dati.
I dati sono in costante mutazione e movimento, e questi oggetti si potranno animare grazie ad essi, in modo da consentire ai loro proprietari e al pubblico di “affrontare individualmente e come società le grandi questioni del pianeta: ambientali, economiche, sociali, psicologiche,” hanno spiegato Iaconesi e Persico.
In questa trasmissione di informazioni racchiuse nei dati si cela il paradosso della nostra epoca. Tutti noi produciamo costantemente dati. I like e le pagine che visualizziamo su Facebook raccontano la nostra vita; i nostri cellulari comunicano costantemente la nostra posizione nel mondo; le banche dati nazionali raccolgono dati sulla povertà, sul livello di alfabetizzazione e sulla disoccupazione; i centri di ricerca monitorano le particelle pesanti presenti nell’aria e le oscillazioni di temperatura globali.
C’è un distacco tra i dati che racchiudono informazioni su di noi e i nostri corpi. I dati che produciamo pubblicamente ci sono tenuti nascosti.
Tutti questi sono dati che ci vengono sottratti e che scompaiono, dispersi in banche dati lontane dai nostri occhi, per poi riapparire come slide di presentazioni o infografiche per un ristretto gruppo di esperti. C’è un vero e proprio distacco tra i dati che racchiudono informazioni su di noi e i nostri corpi. I dati che produciamo pubblicamente ci sono tenuti nascosti.
Se vogliamo però cominciare ad immaginare un futuro diverso da quello che ci ha condotto fin qui — sul baratro del disastro ambientale — dobbiamo necessariamente compiere un atto di creazione: riappropriarci di quei dati divenuti immateriali e trasformarli in oggetti concreti.
Dobbiamo materializzare la nostra informazione digitale, darle un corpo e la capacità di agire come catalizzatore del pensiero e del dibattito pubblico. Il vuoto lasciato dai dati si riempie così, inaspettatamente, con oggetti e opere di design. Qualcosa appare dove, fino a quel momento, non sarebbe dovuto esserci nulla.
Alla base del progetto DataPoiesis, Iaconesi e Persico sottolineano come vi sia la necessità di riconoscere che “la possibilità di comprendere e agire il mondo dipende dalla possibilità di comprendere e agire le enormi quantità di dati che il pianeta genera, e dalla nostra capacità di portare questa comprensione nello spazio pubblico e nella vita di tutti i giorni.”
Non siamo di fronte a semplici opere di design, si tratta di un nuovo modello per interpretare il mondo e immaginare futuri che ora non riusciamo ancora ad ipotizzare.
Questi oggetti saranno destinati a “case, uffici, spazi pubblici e corpi iperconnessi.”
Ma non siamo di fronte a semplici opere di design, si tratta di un nuovo modello per interpretare il mondo e immaginare futuri che ora non riusciamo ancora ad ipotizzare. E proprio per immaginare nuovi futuri, all’interno del festival si è svolto il primo workshop “Datapoiesis – Building Scenarios,” secondo un approccio transdisciplinare — erano infatti presenti persone con background differenti quali architettura, design, arte, filosofia, sociologia, data-science. Divisi in tre gruppi guidati da Iaconesi e Persico, i partecipanti hanno innestato un processo datapoietico su temi come il clima, la felicità, e il benessere all’interno di un’organizzazione.
“In tutti e tre i concept questi oggetti vivono nella dimensione pubblica: un feedback interessante sul progetto e sui suoi possibili sviluppi futuri,” hanno commentato Iaconesi e Persico.
Datapoiesis si spinge poi oltre, con la costituzione di una startup che produce oggetti datapoietici e vuole farlo abbracciando un processo di rigenerazione che non parte solo dai dati digitali. A ottobre, infatti, Obiettivo diventerà un exhibit permanente all’interno delle Fabbriche ICO di Ivrea — le quali sono oggetto di un processo di rigenerazione urbana e sono state recentemente nominate patrimonio culturale dell’UNESCO.
In contemporanea, in quelle stesse Fabbriche, Datapoiesis terrà una Fall School internazionale in cui si passerà alle fasi di prototipazione e business modeling del progetto.
“Le Fabbriche ex Olivetti saranno la casa della nuova startup che uscirà da questo complesso, articolato e innovativo processo,” hanno concluso Alberto ed Elena Zambolin, due degli imprenditori che hanno costituito la società ICONA, “affrontando le enormi questioni aperte dall’iperconnessione e dalla dimensione computazionale della nostra cultura.”
Segui Riccardo su Twitter: @ORARiccardo