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Cosa succede in Italia quando scrivi insulti e minacce a qualcuno online

Una settimana fa, Laura Boldrini ha pubblicato su Facebook alcuni degli insulti che ha ricevuto. Per capire quali possono essere le conseguenze legali di insulti e minacce online, abbiamo contattato un esperto.

Grab via Facebook.

Il 25 novembre, in occasione della giornata contro la violenza delle donne, Laura Boldrini, da tempo ciclicamente vittima di insulti anche a sfondo sessista, ha pubblicato sul suo profilo Facebook "alcuni messaggi tra quelli insultanti ricevuti nell'ultimo mese"—con tanto di nome e cognome degli autori. Il gesto, ha spiegato la Presidente della Camera stessa nel post, è stato fatto per portare l'attenzione su "un fenomeno sempre più frequente e inaccettabile: l'utilizzo nei social network di volgarità, di espressioni violente e minacce, nella quasi totalità a fondo sessuale."

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I messaggi che si leggono sono effettivamente inquietanti, come ha dimostrato la reazione che il post ha generato: titoli di giornali, decine di migliaia di condivisioni, e moltissimi commenti—per la maggior parte di solidarietà, anche se non sono mancate le critiche di chi si è chiesto se scatenare una gogna virtuale contro alcuni soggetti esposti con nome e cognome fosse effettivamente efficace. Ma il caso di Laura Boldrini non è che un esempio particolarmente esplicativo di un fenomeno molto più vasto e silenzioso: quello dell'odio online—di fronte al quale società, istituzioni e tecnologia appaiono completamente impreparate. Per capire quali possono essere le conseguenze legali dello scrivere insulti e minacce online, qual è il limite tra libertà d'espressione e hate speech e quanto il fenomeno è esteso, ho contattato Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all'Università degli Studi di Milano e autore del saggio L'odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete.

VICE: Partiamo dal caso di Laura Boldrini, che in occasione della giornata contra la violenza sulle donne ha messo online alcuni degli insulti che ha ricevuto. Un gesto simbolico o con il quale mira a raggiungere effetti pratici?
Giovanni Ziccardi: Il caso sollevato da Laura Boldrini ha aperto, in maniera clamorosa, un dibattito importante che evidenzia problemi e fa comprendere come le soluzioni al problema dell'odio online siano complesse. La denuncia così plateale del "livello" era anche finalizzata a cercare una reazione da parte dei gestori di piattaforme e a sollecitare un intervento.

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Il problema è che in molti casi Facebook, Twitter e gli altri sono molto fermi nelle loro posizioni di neutralità e di non intervento non solo perché devono gestire un mercato mondiale con milioni di segnalazioni ogni giorno, ma anche perché un sistema di controllo "umano" costante porterebbe a gravi problemi di sostenibilità economica. Siamo, quindi, in una fase di riflessione molto critica dove sembra che esigenze della politica e degli utenti e strategie dei gestori fatichino a trovare un punto di incontro.

Legalmente, le persone citate da Boldrini così come chiunque sia autore di messaggi del genere, cosa rischiano?
Per quanto riguarda gli autori, sono passibili di tutti i reati che il nostro ordinamento già prevede: dalla diffamazione aggravata alle minacce. La cosa degna di nota è anche, secondo me, il fatto che gran parte di queste persone usino tranquillamente il loro nome e cognome reale.

Sembra che sia diventata "normalità" anche il non nascondersi più dietro pseudonimi (che, comunque, consentivano l'individuazione del vero autore) ma offendere in pubblico, davanti a milioni di "spettatori", chiunque. È un processo di esibizione di odio molto preoccupante che porta, pian piano, ad aumentare il livello di tolleranza di chiunque e a ritenere questi comportamenti, appunto, normali. Non dal diritto, però, che li continua a punire.

Qual è il limite che stabilisce cosa è legalmente perseguibile e cosa no?
Non ci sono, in questi casi, comportamenti più gravi e comportamenti meno gravi. Il diritto punisce chiunque offenda una persona pubblicamente e l'offesa va valutata in base ai termini utilizzati, alla percezione dell'offesa da parte della vittima, alla sua diffusione, alla posizione della vittima nel contesto sociale, e così via. Si può offendere anche senza utilizzare termini volgari, ad esempio, o con artifizi retorici apparentemente "puliti". Di solito si distingue tra espressioni d'odio "hot" (con offese esplicite, plateali, grette e volgari) e espressioni d'odio "cool" (più subdole, che raggiungono lo stesso obiettivo ma usando termini più raffinati, apparentemente meno volgari). In tutti e due i casi, però, si può diffamare, per il nostro diritto, una persona.

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In Italia sono molti i casi in cui si incontrano problemi legali per via dell'odio online? Che caratteristiche hanno i più frequenti?
I casi in Italia riguardano tre categorie: diffamazioni legate a relazioni personali, diffamazioni legate alla politica e reati di istigazione all'odio razziale [quest'ultimi puniti dalla Legge Mancino]. Nel primo caso ci sono state sentenze che hanno punito azioni sistematiche di diffamazione sui social da parte di ex fidanzati o ex fidanzate che hanno per "vendetta" divulgato espressioni offensive e fotografie o video. Nel secondo caso la diffamazione era parte di una lotta politica sui forum che si è trasformata da dibattito civile a vere e proprie offese e parole diffamatorie, anche a livello locale. Nel terzo caso rientrano episodi di diffusione di volantini, anche sul web, con stereotipi razzisti e volti a diffondere odio e a istigare alla violenza razziale nei confronti di immigrati.

Cosa si può fare e come ci si deve muovere se si ricevono insulti e minacce online?
La strada principale è quella della denuncia, se uno si sente diffamato. Si va, semplicemente, presso una sede delle forze dell'ordine e si descrive ciò che è successo mostrando i post o le pagine diffamatorie (anche dopo averle fotografate) e domandando agli agenti di acquisire quelle pagine e incorporarle/allegarle nella querela. La querela è, ovviamente, l'extrema ratio se i comportamenti che ci riguardano diventano fastidiosi o ripetuti. In casi occasionali conviene invece non rispondere per alimentare l'odio, uscire dalla discussione e bloccare gli autori di messaggi d'odio.

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Laura Boldrini nel pubblicare i commenti ha fatto riferimento alla libertà d'espressione. Anche l'hate speech, come per certi versi negli Stati Uniti, in Italia è in certe forme tutelato in quanto rientra nella libertà d'espressione?
Certo, in molti ordinamenti—soprattutto in quello statunitense—le espressioni d'odio sono tutelate, pur con alcuni limiti che sono stati elaborati nel corso dei decenni dalla giurisprudenza. Di solito questi limiti sono basati sul concetto di "clear and present danger" (ossia l'espressione d'odio non deve essere collegata a un pericolo reale ed imminente per la vittima) o su una tradizione giuridica quale quella europea che già da dopo la seconda guerra mondiale ha premesso ai singoli Stati di punire alcuni tipi di espressioni o istigazioni d'odio razziale, politico e religioso.

Rispetto agli altri paesi occidentali, legislativamente come siamo messi in Italia per quanto riguarda questa tematica?
Siamo messi bene, le norme ci sono e abbiamo una giurisprudenza abbastanza solida sul punto. Non c'è bisogno, a mio avviso, di nuove leggi, mentre è forse necessaria un'opera di educazione al mezzo digitale molto più efficace. E una nuova educazione al dialogo.

Uno degli accusatori di Boldrini si è rivelata essere una signora che si è poi scusata, dichiarandosi pentita e dicendo che a farglielo fare è stata probabilmente "la rabbia per come mi sento quando torno dal lavoro". In sua opinione, cosa c'è dietro l'odio online e come questo differisce dall'odio offline?
Non c'è nulla di differente, sono identici. Le espressioni che vediamo oggi online erano presenti anche sui giornali di inizio novecento quando si accusavano, ad esempio, gli ebrei in Canada. L'odio non è cambiato. Ciò che è cambiato è che il mezzo tecnologico può essere fondamentale nell'amplificare le espressioni, nel renderle più "visibili", nel farle circolare e nel renderle "persistenti", ossia impossibili, poi, da rimuovere. Infine una piccola differenza forse si può notare nel fatto che l'odio online sia diventato oggi "comune", ossia può essere generato non solo dai grandi e tradizionali temi che erano sempre pronti a sollevare odio (la razza, la religione, la politica) ma anche da temi banali (la dichiarazione di miss Italia, una recensione di un libro, e così via).

A cosa si deve il suo dilagare?
A un aumento del livello di tolleranza, per cui usare espressioni d'odio è diventato in molti contesti "normale". Al fatto che le giovani generazioni assorbono quotidianamente dosi d'odio in rete e in televisione, e si stanno abituando. Al fatto che l'odio è oggi istituzionalizzato, ossia chi dovrebbe fare di tutto per abbassare i toni (mondo della politica, mondo della stampa, piattaforme) in realtà usa l'odio come metodo per il consenso o come metodo per il profitto, in quanto ha da tempo compreso che l'odio è oggi una valuta che ripaga immediatamente in voti e in click.

Crede che la soluzione vada cercata a livello giuridico o culturale?
Secondo me non esiste una sola soluzione ma occorre coordinare tre tipi di azione: educativa, legale e tecnologica. Il primo ambito dove operare è quello educativo, culturale e civico. Il ritorno al dialogo pacato, l'abbassamento del livello di tolleranza all'odio, soprattutto tra gli adolescenti. Il secondo tipo di intervento deve essere giuridico, ossia comprendere come il diritto possa arginare e combattere il fenomeno senza toccare i diritti di libertà e senza mettere in crisi l'ecosistema tecnologico—che è delicatissimo e assai fragile. Infine, terza soluzione, lo sviluppo di algoritmi e di sistemi automatizzati e intelligenti di gestione e analisi semantica dell'odio, per sollevare in molti casi l'essere umano da un controllo manuale che con le moli di dati oggi circolanti diventa impossibile e antieconomico. Un dosaggio equilibrato di questi tre aspetti potrebbe migliorare sensibilmente il quadro attuale. Segui Flavia su Twitter

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