“Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’eccesso”, mi dice Oneohtrix Point Never. Siamo sul tetto di un condominio a Greenpoint, New York, e dietro alle sue spalle vedo lo skyline di Manhattan, cioè uno dei più grandi monumenti alla hybris capitalista mai costruiti dalla razza umana. Gli piace fare dichiarazioni altisonanti: poco prima mi ha detto che Kanye West è una “sentinella del caos”. Ma questa mi turba un po’, dato che c’entra con il concept dietro al suo nuovo album Age Of. Un album che, se ho capito bene, è narrato da un’intelligenza artificiale senziente che, alla fine dell’universo, sogna storie di follia umana attraverso quattro epoche: Ecco, Harvest, Excess e Bondage.
Ecco è la nostra fase di ignoranza pre-evoluzionaria in cui siamo “come organismi unicellulari”, spiega. Entrando nella fase Harvest, cioè la fase del raccolto, cominciamo a “governare sul suolo, celebrare l’equilibrio che si è creato tra noi e la natura”, e viviamo in armonia con il mondo. Poi cominciamo a prendere più di ciò che diamo, rompendo l’equilibrio. “Cominciamo a renderci conto di quanto possiamo truccare la BMX”, spiega lui con una metafora. Ed entriamo in Excess, la fase dell’eccesso, segnata da un’ambizione industriale incontrollata. La fase del Bondage, l’ultima, è un’era congestionata in cui “continuiamo a produrre roba fino a finire lo spazio”. Ed è a quel punto che falliamo e ricominciamo da Ecco.
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Insomma, con quel commento Oneohtrix Point Never, nome d’arte di Daniel Lopatin, vuole dire che siamo lì lì per entrare in questa fase finale. E che le cose stanno per cominciare a peggiorare.
Non esistono giorni troppo belli per l’apocalisse, e quindi eccoci qua a sudare in un giorno quasi d’estate a parlare della fine del mondo. Daniel spiega: “Sono nato nel 1982 e ricordo che c’erano delle guerre bizzarre che venivano spiegate dai mass media in un modo che non aveva senso. Ricordo che mostrarono immagini agli infrarossi della guerra del golfo e le vendettero come se fosse un momento di grande show business per i telegiornali dell’epoca. Oggi non c’è alcuna catena che ci tiene legati alla realtà. Non ci rendiamo conto delle conseguenze di nulla”.
“È come se… non mi fidassi di nulla, in questo periodo storico”, continua ridacchiando, quasi rassegnato. Mi sembra che abbia adottato questo tono consciamente, ma è come se non riuscisse a trattenersi. Mi sta parlando di geopolitica contemporanea ma anche di forze sociali più fumose. Parla di un “etere intangibile”, di un “sottile filamento d’ansia” che lo accompagna fin dall’inizio dell’era Trump. “Non riesco a conformarmi a nulla, tutto mi sembra un culto”.
Lopatin crede che “le mitologie sbagliate” abbiano il potere di causare cambiamenti disastrosi a livello culturale. Ad esempio, che alcune fantasie trumpiane abbiano soddisfatto i bisogno di una parte nociva della popolazione americana. “I troll della alt-right hanno generato una risposta enorme a Trump creando mitologie assurde che hanno titillato persone senza alcun legame a una qualsiasi comunità. Chi è seriamente emarginato aveva bisogno di una sorta di liberazione, di un modo malato di capire il mondo, e così si è creato un universo mitologico fatto di idee pericolose che si stanno propagando”.
E così Daniel ha deciso di raccontare una sua storia, e di crearne una che parla del fallimento della società. È come la storia della Torre di Babele, cioè quella di un popolo che arriva molto vicino a capire come prosperare ma poi sbaglia qualcosa, crolla e deve ricominciare da capo. Le sue sono idee grandi e fantasiose e possono essere sia lette con serietà che tramite la disinvoltura con cui vengono espresse. Ma secondo Lopatin non c’è una lettura corretta: “Non esiste una sorta di verità“, dice, “È solo una fantasia fantascientifica”.
Lopatin sembra calmo e tranquillo, ma al contempo è leggermente cauto nei miei confronti. D’altro canto si trova all’apice della sua carriera—le date dal vivo già annunciate sono tutte sold out. Oneohtrix Point Never è un nome che evoca rispetto tra gli appassionati di musica sperimentale e nella critica più curiosa—nel 2011 Pitchfork lo definì autore e creatore di “un minuscolo universo con una logica incrinata”. Ora però sembra arrivato a una nuova svolta. Negli ultimi anni è andato in tour con nomi altisonanti come Nine Inch Nails e Soundgarden grazie a un album “cybergrunge” acclamato dalla critica e ha curato la colonna sonora di Good Time, sudicio thriller dei fratelli Safdie. Opportunità che gli hanno permesso di creare musica più ambiziosa che mai. E quindi ha deciso di concentrarsi sulla fine del mondo.
È qua che si colloca la nascita di Age Of, un album al limite della hybris che unisce le composizioni per sintetizzatore che hanno definito la sua carriera con un nuovo, relativo, impulso pop. È la sua opera più ambiziosa finora, data l’inedita quantità di pensieri che gli scorrono dentro. Parlando dell’album in varie interviste, Lopatin ha parlato di ricercatori di cibernetica attivi negli anni Novanta, misteriosi strumenti musicali medievali, artisti postmoderni e vari riferimenti astrusi. Nel pomeriggio che passiamo assieme ci butta dentro anche Pet Sounds dei Beach Boys, il concetto Nietzschiano di eterno ritorno, i giapponesi Boredoms e Rick & Morty. Il che potrebbe sembrare il contenuto de La Mia Prima Esperienza Psichedelica Fisher-Price, me ne rendo conto. Ma Lopatin ha già dimostrato in passato di essere capace di creare qualcosa di trascendentale a partire da materiale stucchevole.
La storia apocalittica che gli ronza in testa non è super palese all’interno dell’album stesso. Il merito di questa scelta va a James Blake, che ha aiutato Lopatin nelle ultime fasi della produzione e gli ha consigliato, come ha raccontato a Red Bull Radio, di “stare un po’ zitto, cazzo”. I rimasugli del discorso restano però nei brani, resi transgenerazionali dai loro referenti sonori. Sento parti che mi ricordano il folk più antico, serietà da cantautore degli anni Settanta, ambient da cielo stellato alla Tangerine Dream, giochi ritmici prog, la strumentazione impossibile dell’elettronica anni Novanta che chiamiamo IDM, i ritmi scivolosi dell’R&B, generi rivolti al futuro. Se un’intelligenza artificiale alla fine del tempo dovesse guardarsi indietro e creare una versione ricombinata delle musiche create dagli uomini, potrebbe uscirsene con qualcosa di simile a Age Of.
Non assomiglia a nulla che ho già sentito, e il bello è che anche Lopatin lo sa. Mi parla della band che ha assemblato per portare il disco dal vivo e mi dice “Non assomigliamo a nessuno… siamo una completa anomalia”. La definisce “una startup della generazione X che gioca a ping-pong sotto psilocibina”.
L’album è nato la scorsa estate. Durante la promozione della colonna sonora di Good Time, Lopatin si è scontrato contro un muro creativo e ha deciso di fare ciò che molti altri artisti hanno fatto prima di lui per sbloccarsi: è andato a scrivere un album in mezzo alla natura. Quindi si è trasferito in un sobborgo nell’ovest del Massachusetts, non troppo lontano da dove è cresciuto. E ha scelto una piccola casa dalla forma ovoidale—una con pochi angoli retti, così da darsi una scossa e ricominciare a fare musica in maniera diretta e intuitiva. Nello stesso modo in cui è nato Pet Sounds. “In me si era calcificata l’idea che quello è lo stato definitivo della composizione. Essere Brian Wilson. Essere un genio un po’ perso in mezzo al mare. Non sapere davvero quello che stai facendo, ma puntare comunque alle stelle”.
E quindi Daniel si è messo a pensare, seduto in questa strana casa tondeggiante, sotto un lampadario che avrebbe potuto “cadergli addosso e ammazzarlo in qualsiasi momento”. Ha coinvolto amici e ci ha chiacchierato con dei loop come sottofondo, in cerca di temi e parole da usare come ispirazione. Si è crogiolato nella stranezza dell’ambiente che lo circondava e si è sentito schiacciato dalla natura del mondo che lo circonda. Ed è emerso con questo disco ugualmente strano e schiacciante.
Assieme ai membri della sua band, Lopatin ha provato a capire i principi che tengono unita la sua musica e i temi che la distinguono. Alla fine sono arrivati alla conclusione mezza-seria che ciò che fanno aveva bisogno di un nome, e hanno scelto “Compressionismo”. Il nome nasce in parte dal fatto che i loro ingegneri del suono continuavano a cambiare i settaggi dei compressori dei loro strumenti, ma anche dall’idea che ognuna delle loro pratiche strumentali condensa in musica l’immensità dell’esistenza nell’era dell’Estremamente Online. “Il Compressionismo è un bisogno storicamente motivato di organizzare e dare senso a quel flusso illogico di input mediali esterni che è il vivere in una realtà completamente cibernetica”, dice Lopatin. “Cioè la nostra vita attuale”.
Il primo passo nell’adozione della pratica Compressionista, secondo Lopatin, è di “accettare la valanga”, cioè aprire se stessi al colossale flusso di informazioni, ai video che partono da soli e agli infiniti prodotti ufficiali Disney e agli stranianti tweet di Kanye West (è un Compressionista, oltre che una sentinella del caos) e, insomma, a tutta l’assurdità delle 24 ore. Dice che non puoi “scappare a nasconderti nel bosco”, anche se è proprio ciò di cui ha detto di aver avuto bisogno per creare Age Of. Diventerà comunque tutto parte dell’opera, quindi tanto vale lasciarlo entrare, è il primo passo per recuperare il controllo. “Quello che m’interessa è l’estrapolazione del significato da cose che non ho richiesto”, dice. “È un modo per avere un ruolo nella costruzione di uno scenario che non ti è concesso di scegliere”. A me sembra che stia dicendo, in parole sue, che questo mondo è troppo, quindi di conseguenza anche la sua arte dev’esserlo.
È molto adatto, quindi, che i primi concerti dal vivo che Lopatin farà con la sua band si chiameranno MYRIAD, un nome che è sia acronimo di “My Record = Internet Addiction Disorder” sia un’affermazione sfacciata della varietà del suo lavoro. Risponde alle domande implicite che vengono in mente quando leggi che viene descritto come un “concerto-paesaggio” e “un’allegoria per l’attuale turbamento di una civiltà sbilanciata rispetto al proprio ambiente”. Che cos’è esattamente? Che cosa significa? La risposta è una parola: MYRIAD.
Mentre le sculture surreali di Nate Boyce ruotano appese al soffitto, illuminate da una luce soffusa, le casse secernono arie di wurlitzer, ballate per autotune, ruggiti death metal e ipnotici loop di violoncello. Ma a far sgranare gli occhi è il corpo di ballo in cappelli da cowboy che passeggia con sguardo vitreo per il palco durante l’esecuzione del singolo “Black Snow”. È un’elegia per la fine del mondo.
Per capirci qualcosa di più, conviene dare un’occhiata a quello che Lopatin chiama “quasilibretto”, un sostanzioso documento disponibile per tutti gli spettatori del concerto, completo di elenco dei personaggi, una versione astratta della trama, e una lista di 50 persone che hanno partecipato in qualche modo allo spettacolo. È un po’ scioccante vedere Lopatin a questo livello, sold out tre sere di fila a Manhattan, con uno staff di decine di persone, con uno show a metà tra teatro sperimentale e concerto prog. È impressionante, anche arrivandoci senza idea del contesto, che poi è il suo intento. In un mondo ideale, dice Lopatin, tutto sarebbe comprensibile a tutti, puro e autosufficiente come il mimo o un grande film. “Mi interessa la proporzione”, racconta. “Non sono mai stato del tutto convinto di essere soltanto un musicista. Volevo essere il Tim Burton della musica. È stupido e imbarazzante che tu possa descrivere qualcosa a una persona e non a un’altra. Finché non avrò risolto quel problema non mi sembrerà di aver ottenuto granché”.
Sono passati solo pochi anni da quando si poteva trovare Lopatin ingobbito su un tavolo pieno di robe elettroniche sul pavimento di uno zozzo spazio DIY, a evocare torrenti frattali di suoni sintetici da strumenti economici. Ti apriva le porte di mondi fantastici usando soltanto i suoni, materializzando incubi post-capitalisti o, per citare un suo titolo, Zones Without People.
Almeno per ora, Lopatin è in grado di portare quei mondi in vita e sedercisi nel mezzo, architetto benevolo che sorride davanti alla propria creazione. “Mi sentivo come fatto di eccitanti”, dice del suo show. Con una voce e una faccia a dominarlo, il suo mondo è meno misterioso, i suoni più comprensibili, più umani, il che è un bene. Se il nostro mondo sta per finire, è bello avere un’altra opzione per scappare, anche se è soltanto il sogno di un software annoiato.
Age Of è fuori per Warp. Puoi seguire Daniel Lopatin su Twitter e Instagram.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey US.