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Tecnologia

Secondo un nuovo studio, l'area vulcanica dei Campi Flegrei si sta ricaricando

Grazie all'analisi dei minerali nel Golfo di Pozzuoli, i ricercatori dell'INGV hanno proposto un modello per individuare i meccanismi che, ipoteticamente, potrebbero permetterci di prevedere una futura eruzione.
Solfatara di Pozzuoli Campi Flegrei area vulcanica
Solfatara di Pozzuoli, nell'area vulcanica dei Campi Flegrei. Immagine: Wikimedia Commons

I Campi Flegrei — ovvero l’area vulcanica situata nel golfo di Pozzuoli a ovest di Napoli — sono entrati in una fase di accumulo di magma e di aumento della pressione dei gas tale da presupporre che si verificherà un’eruzione colossale, anche se non è ancora possibile determinare con precisione quando.

Il passaggio alla nuova fase è stato documentato di recente in uno studio condotto da Francesca Forni, ricercatrice del Politecnico di Zurigo, in collaborazione con i colleghi e le colleghe dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di scienze della Terra dell’Università Sapienza di Roma.

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I Campi Flegrei comprendono le terre racchiuse tra i comuni di Napoli, Cuma e Miseno e le isole di Ischia, Procida e Vivara e costituiscono un’area di circa 100 chilometri quadrati fortemente urbanizzata. Nelle profondità del suolo si trova una grande caldara, ovvero un deposito di magma dal diametro compreso tra i 12 e i 15 chilometri. I Campi Flegrei sono caratterizzati dalla presenza di crateri e “micro vulcani” da dove spesso fuoriescono i gas del sottosuolo — come, ad esempio, succede nella Solfatara di Pozzuoli.

Lo studio, appena pubblicato su Science Advances, ha preso in considerazione i campioni di minerali e rocce prodotte dalle 23 eruzioni che hanno interessato i Campi Flegrei, tra cui le due principali sono avvenute rispettivamente 39.000 e 15.000 anni fa.

Grazie all’analisi dei campioni è stato possibile avanzare una stima dei cambiamenti che avvengono nel sottosuolo nelle fasi precedenti e successive agli eventi eruttivi di grandi dimensioni avvenuti in passato. I ricercatori hanno utilizzato questi risultati per proporre un modello per individuare quei meccanismi che, ipoteticamente, potrebbero permetterci di prevedere una futura eruzione.

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“Ciò che lo studio dice è che l’aumento della caldera è dovuto a un accumulo di gas nella parte più superficiale del sistema magmatico dei Campi Flegrei, localizzato a 7/8 chilometri di profondità,” ha raccontato via telefono a Motherboard Stefano Carlino, ricercatore dell’INGV che non è coinvolto direttamente nello studio. “Secondo la ricerca, il sistema si starebbe ricaricando su tempi lunghi e, per questa ipotesi, se dovesse continuare seguendo questa dinamica, ci potrebbero essere maggiori probabilità di una grossa eruzione del sistema.”

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I risultati a cui sono giunti gli autori di quest’ultimo studio sono in linea con altre indagini pubblicate lo scorso anno su “Nature Communication,” da altri ricercatori dell’INGV. Tuttavia, la situazione appare ben più complessa, dato che, ha spiegato Carlino, “ci sono studi pubblicati negli anni passati che ipotizzano esattamente il contrario, cioè che l'accumulo di gas che si nota derivi invece dal raffreddamento di camere magmatiche profonde. Non possiamo avere misure dirette di questi fenomeni e dobbiamo sempre avanzare ipotesi basate su modelli. A ciò si aggiunge un altro elemento di complessità: in qualunque caso, anche se il sistema si stesse raffreddando, non si esclude che in futuro si possa avviare una nuova fase di ‘ricarica’ del sistema.”

Le ricerche sull’area dei Campi Flegrei contribuiscono, anno dopo anno, a tenere viva l’attenzione sul rischio a cui sono esposte le persone residenti nella zona e stimola la comunità scientifica ad approfondire le indagini sempre più. Per il momento, ha commentato Carlino, “queste pubblicazioni rappresentano una spinta alla comunità scientifica per capire come si possano mettere insieme tutti i dati che abbiamo a disposizione per fornire un modello che sia il più verosimile possibile. Ovviamente i modelli sono… modelli! Si tratta di fortissime approssimazioni di quella che è la realtà geologica, ben più complessa.”

I Campi Flegrei, così come la vicina area vesuviana, accolgono sul proprio territorio un’enorme quantità di persone. Informare e preparare la popolazione a qualsiasi evento è necessario, ma tutt’altro che semplice. “Più si è aperti alla comunicazione e più ci si apre ai cittadini e alle cittadine e più questi avranno fiducia nel lavoro delle istituzioni, siano esse scientifiche o politiche. La regola base deve essere la massima apertura,” ha affermato Carlino, ricordando in conclusione come “la risposta della popolazione a un evento dipende dal livello di preparazione e dal modo di agire della comunità scientifica per dare il pre-allarme. A questo si aggiunge il fatto che dovrebbero esserci anche le infrastrutture necessarie per fare fronte a un’emergenza. Il quadro intero, tra scienza e politica, anche in questo caso è molto complesso. Ci deve essere lo sforzo da parte dei politici di avere il coraggio di fare scelte che non siano soltanto legate all'utile dell'immediato — cioè al voto — ma che abbiano obiettivi a lungo termine.”

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