Leggere David Foster Wallace nel 2018: intervista alla sua traduttrice italiana
David Foster Wallace. Foto via Wikimedia Commons (CC BY 2.0).

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letteratura

Leggere David Foster Wallace nel 2018: intervista alla sua traduttrice italiana

Nel decennale del suicidio di David Foster Wallace, abbiamo intervistato una delle sue traduttrici storiche: Martina Testa.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Una settimana dopo essere stato preso per lo stage da VICE, cinque anni fa, contattai Martina Testa per intervistarla su David Foster Wallace. Non chiesi il permesso al mio capo: volevo fare come Spud in Trainspotting, e "mettere un piede nella porta."

Martina è stata una delle principali traduttrici italiane di Wallace—oltre che ex direttore editoriale di Minimum Fax, una delle prime case editrici a pubblicarlo fuori dagli Stati Uniti—e per anni avevo letto avidamente le sue interviste sull'argomento e le sue prefazioni ai libri. All'epoca ero ossessionato da DFW, ne parlavo a chiunque.

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Non avendo mai intervistato nessuno misi insieme delle domande veramente ridicole. Una suonava bene o male così: "COSA PENSI DEGLI STRONZI CHE DICONO CHE WALLACE È UNO SCRITTORE PER HIPSTER? EH? NON SONO DEGLI STRONZI?". Nonostante la mia vaghezza e stupidità, Martina rispose con grande pazienza, intelligenza e gentilezza. Ma il risultato fu comunque pessimo. Feci finta di niente, i miei capi non vennero mai a saperlo, e un mese dopo piazzai la mia prima intervista pubblicata a un tizio che per lavoro scopava le mogli degli altri.

Nel corso di questi anni la mia ossessione si è diluita, e ho cominciato a rileggere Wallace con un po' di distacco. Cosa che non è esattamente capitata al marketing editoriale: Infinite Jest, il suo romanzo più famoso, era già considerato un capolavoro imperdibile, ma dopo il suo suicidio in seguito a una crisi depressiva, nel settembre del 2008, la sua figura è stata glassata con un'aura da "genio dolente santo patrono della depressione." Sono uscite biografie, vecchie interviste e film sulla sua vita. È il tipico scrittore che tutti hanno sentito nominare e di cui hanno un'idea anche se non hanno mai letto un suo libro. Lo si conosce soprattutto perché aveva una prosa estremamente involuta e cerebrale, e per un certo grado di "neosensibilismo" nei suoi libri.

Ma soprattutto è un autore divisivo. O sei un mezzo invasato—i suoi fan americani sono una specie di setta, e quando sono andato a vedere il film sulla sua vita, a New York, in sala c'erano diversi ragazzi vestiti come lui—o lo detesti. Diversi critici, ad esempio, lo considerano semplicemente una moda letteraria. Altri, invece, lo vedono come una specie di patriarca per maschi beta passivo-aggressivi che vogliono sentirsi intelligenti.

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A dieci anni dalla morte, comunque, se ne continua a parlare. Per quanto mi riguarda, è un bene. Perché al di là del sensibilismo, dello stile (che comunque merita, perché leggendolo sembra di entrare nel cranio scoperchiato di un altro essere umano) e dei maschi beta, difficilmente ho letto uno scrittore che abbia descritto in modo così accurato quanto il capitalismo distrugga internamente un essere umano. Certe parti di Infinite Jest, e alcuni dei suoi saggi più riusciti, descrivono talmente bene il mondo attuale da generare labirintite al pensiero che siano stati scritti più di vent'anni fa.

Per questo ho chiesto nuovamente a Martina Testa un'intervista. Per cercare di descrivere così sia stato Wallace, cosa sia diventata la sua figura, e perché abbia ancora senso leggerlo oggi. Lei, fortunatamente, non si ricordava di me.

VICE: Ciao Martina. Volevo partire subito da una domanda che mi faccio spesso quando penso a Wallace. Proprio diretta: secondo te è uno scrittore che può aspirare a essere considerato un classico contemporaneo? Nel senso, fra 50 anni avrà ancora senso leggerlo? Ammesso che ci sarà ancora gente che legge fra 50 anni…
Martina Testa: Questa è una domanda a cui è quasi impossibile dare una risposta. Mi fa un po' ridere, perché proprio l'altro giorno il mio ragazzo mi ha detto di aver passato una serata ad osservare due amici che litigavano cercando di decidere se La La Land sarà considerato un classico in futuro. E sono andati avanti tre ore, gridando. Non esiste niente a cui aggrapparsi in questo senso, nessun fatto per poterlo affermare. Sì certo, ma ti faccio questa domanda proprio perché difficilmente esistono giudizi mediani su Wallace.
Senti, io dico la mia: per me è un classico. Io credo che Wallace avesse un tipo di scrittura di una tale originalità e di una tale potenza, che nonostante siano passati appena una ventina d'anni dall'uscita di Infinite Jest, non si può non considerare un classico contemporaneo già adesso. Wallace è uno di quelli scrittori che riconosci anche solo leggendo dieci righe. Mi ricordo che nel 2000 uscì un numero di McSweeney's che conteneva il racconto Mister Squishy [inserito poi nella raccolta Oblio], che Wallace aveva voluto pubblicare sotto pseudonimo. Letta la prima pagina dissi "oddio, oddio, questo è un racconto di Wallace!"

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Era veramente uno scrittore geniale che faceva cose tutte sue, ma non è rimasto chiuso nel mondo dello sperimentalismo. Ha toccato centinaia di migliaia di lettori, perché oltre allo stile possedeva anche una grande profondità di sguardo e di attenzione per gli esseri umani e il mondo. La capacità di restituirti qualcosa durante la lettura.

Detto questo: tutti dobbiamo leggere i classici? No, sticazzi. Ognuno legge quello che gli pare.

Ok, e invece quali sono i difetti di Wallace come scrittore? Suoniamo un po' anche l'altra campana.
Diciamo che è uno scrittore così idiosincratico, cervellotico e difficile che non è per tutti. Così come nessuno scrittore, in realtà. Ha una prosa molto faticosa, elaborata, che ti richiede un grado di attenzione altissimo e costante. O riesci a entrare in quel tunnel e lo segui, oppure spesso ti perdi. E secondo me capita specialmente nelle sue cose più introspettive. Ci sono vari racconti, La persona depressa ad esempio, in cui i protagonisti si concentrano quasi ricorsivamente sulla loro storia interiore. Nel descriversi mettono in discussione anche il loro stesso modo di descriversi, e queste cose ho sempre fatto più fatica a leggerle.

Trovo invece che Wallace dia il meglio di sé quando ha lo sguardo rivolto verso il mondo esterno e lo racconta.

A proposito di questo, dopo il suicidio Wallace è stato un po’ canonizzato come un’anima pia affetta da depressione clinica, e dei suoi libri si è cercato di evidenziare soprattutto il lato dolente e intimista. Io ho cominciato a leggerlo a 20 anni, poco dopo la sua morte, e allora prestai attenzione soprattutto a quelle parti. Poi per diverso tempo non l’ho letto, fino a che lo scorso inverno non mi è tornata voglia. E mi sono stupito di quanto in questi dieci anni sia stato poco valorizzato il Wallace “politico”. Certe analisi sul capitalismo e previsioni sembrano descrivere l’attualità in modo impressionante, quasi pauroso.
Tutto il proliferare dell'hype su Wallace riguarda la retorica del "genio che è morto giovane". Anche il libro della moglie [Il ramo spezzato, pubblicato in questi giorni in Italia e tradotto da Martina] è stato presentato come "il memoir della vedova di Wallace sulla sua morte," quando in realtà lui non viene neanche nominato in quel libro.

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Prima che si suicidasse io non avevo mai pensato che potesse essere una persona clinicamente depressa. Io l'ho conosciuto, ci ho parlato, l'ho tradotto, l'ho letto, e questo lato per me non esisteva prima del suo suicidio. Mi è invece sempre apparso chiaro che nella sua scrittura ci fosse una critica feroce alla società: a come i linguaggi svuotati di senso della propaganda e della pubblicità diventino strumenti cardine del capitalismo, a come abbiamo sempre più desideri feticcio di cui diventiamo dipendenti, e vogliamo solo essere intrattenuti.

Ultimamente in realtà per un certo tipo di critica statunitense è diventato anche una figura da rivalutare in ottica patriarcale. Lo scrittore per maschi bianchi che vogliono utilizzare il cervello al posto del cazzo… l'anno scorso ad esempio ha girato parecchio un pezzo intitolato "Men Recommend David Foster Wallace to Me", in cui l'autrice…
Ma perché dobbiamo parlare di quella cretinata? Cioè, che palle. Era un articolo assurdo quello, in cui si tentava di interpretare Wallace in base a chi te lo consiglia. Non ci posso credere che negli Stati Uniti adesso sia diventato il campione delle bro culture: siccome è uno scrittore che dei maschi presuntuosi hanno fatto proprio, allora bisogna starne alla larga?

Che poi se ci si pensa, nei suoi libri il sesso ha sempre un ruolo piuttosto laterale…
E soprattutto, quando c'è, non è mai un sesso felice. Lui ha avuto dei rapporti mal riusciti con le donne, e la sua letteratura rispecchia questo in maniera onesta e dolorosa. Dobbiamo condannarlo? Su Wallace tutti devono avere un'opinione. Perché non puoi semplicemente smettere di leggerlo, se non ti piace?

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Secondo te questa cosa non ha direttamente a che fare con l'uso del linguaggio? Cioè il fatto che Wallace fosse un mostro della prosa, e che i suoi libri mostrino il suo talento continuamente, non ha contribuito a quest'aria di aggressività e antipatia da parte di alcuni?
Sì, ovviamente il suo stile può fartelo apparire come un narcisista che si voleva mettere in mostra. Però io personalmente credo che il suo non fosse esibizionismo. Questa ossessione per il linguaggio penso fosse dovuta a una necessità maniacale di spiegarsi.

Mi ha sempre dato l'idea che la sua croce fosse la paura di non riuscire a comunicare: di sentirsi solo, rinchiuso nella propria testa. Di restare isolato, con un cervello sovrastimolato, immerso nelle proprie paranoie. Da qui il desiderio di mettere tutto su carta nella maniera più meticolosa. Cercava di non essere mai approssimativo. Poi la sua scrittura così frammentaria, schizofrenica, era figlia anche di un'epoca in cui non si poteva più raccontare il mondo con i canoni del romanzo realista ottocentesco. Ma ancora una volta: se io penso che stesse rivoluzionando il linguaggio, e tu lo ritieni solo un esibizionista, ti basta non leggerlo.

Tu sei stata una delle sue principali traduttrici in italiano. Che cosa si perde del linguaggio di Wallace nella traduzione?
Chi legge Wallace nella mia traduzione legge un'approssimazione. E spero di aver fatto un lavoro dignitoso nel trasporre almeno il significato in senso stretto. Lo stile è un altro conto. La sua scrittura era talmente curata e sfumata che ogni parola aveva mille rimandi. Usava espressioni anomale, che magari erano proprio neologismi. A volte, quando chiedevo consulenza a persone americane per tradurre una determinata frase, pure loro avevano difficoltà a spiegarla.

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Tutta questa ricchezza linguistica, ma anche ritmica, fonica, sintattica, si perde, c'è poco da fare. Qualche giorno fa leggevo alcune delle mail che ci siamo scambiati durante le traduzioni, e passavamo davvero molto tempo a parlare delle singole parole. Ogni sua scelta aveva una sottigliezza a cui in italiano era possibile solo approssimarsi.

Ci sono degli autori contemporanei che consiglieresti a chi è piaciuto Wallace?
Lavorando come traduttrice, sono abituata a leggere molta narrativa americana, pur non essendo io un'americanista—però devo dire che è sempre più difficile trovare scrittori che abbiano una voce così inconfondibile.

Soprattutto perché negli MFA e nelle scuole di scrittura creativa americane ci si concentra sempre di più sul dare direttive tecniche sul come costruire una storia che funzioni. Quasi miscele a percentuali delle varie parti per costruire la narrazione. Sembra spesso il confezionamento di un prodotto. Mentre per Wallace queste strutture non esistevano. Diciamo che adesso, siccome gli scrittori devono competere con le serie tv, sperimentare non è la priorità.

Io direi Jennifer Egan, Jonathan Lethem, e Rick Moody. Sono scrittori che io associo a Wallace perché bene o male fanno parte dello stesso contesto, sono venuti fuori nello stesso periodo. Però così sembra un po' l'algoritmo di Amazon: quindi consiglio anche di leggere Scarti di Jonathan Miles, uscito per Minimum Fax. È uno dei romanzi che negli ultimi anni mi ha ricordato di più Wallace. È un libro complesso, ambizioso.

In un certo senso, non è proprio perché il suo canone di narrativa è diametralmente opposto alla logica delle serie tv e di internet, che per un 20enne fissato con Instagram sarebbe interessante leggere Wallace? Nel senso che non c'è niente di male nelle serie tv, sono sempre più belle, ed è giusto che le cose si evolvano: ma tutto il complesso dell'intrattenimento e delle cultura si sta appiattendo sotto una logica di passività.
È un tipo di esperienza completamente diversa. Ti richiede un grado di attenzione e di ragionamento fortissimo. Ci sono certe cose che possono fare solo i libri, e che appunto la scrittura di Wallace fa. C'è un tipo di piacere che ti può dare soltanto quel grado di complessità e profondità.

Io spero che per una ragazzina di 20 anni leggere Wallace possa essere anche un modo per veder usare il linguaggio in maniera radicalmente diversa da come lo si usa in buona parte del mondo che la circonda in questo momento. Segui Niccolò su Twitter.