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Alcuni sindaci italiani non hanno la minima intenzione di riconoscere le unioni civili

Se da un lato l'approvazione della legge sulle unioni civili è stata salutata con festeggiamenti in piazza, dall'altro una parte del paese l'ha considerata una catastrofe politica e culturale.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
[Foto di Federico Tribbioli/VICE Italia]

Se da un lato l'approvazione definitiva della legge sulle unioni civili – concretizzatasi dopo un percorso parlamentare a dir poco tortuoso – è stata salutata con festeggiamenti in piazza, dall'altro una parte abbastanza consistente del paese l'ha considerata una vera e propria catastrofe politica e culturale.

L'organizzatore del Family Day Massimo Gandolfini, ad esempio, ha parlato di una "legga anticostituzionale" che rappresenza una "deriva antropologica," dato che "viola il diritto dei più piccoli di aver un padre e una madre" e si pone in costrasto con "la cultura e la tradizione del popolo italiano." Il portavoce del comitato "Difendiamo i nostri figli" ha aggiunto anche che Matteo Renzi "va fermato e a ottobre bisogna dire 'No' al referendum costituzionale."

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Sulla stessa falsiriga di Gandolfini si è posizionato anche il fondatore del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi, che su Twitter ha scritto: "Vince la visione antropologica che trasforma le persone in cose. Già chiedono eutanasia, droga libera e utero in affitto."

Vince la visione antropologica che trasforma le persone in cose. Già chiedono eutanasia, droga libera e utero in affitto.

— Mario Adinolfi (@marioadinolfi)May 11, 2016

Anche il mondo ecclesiastico ha espresso il proprio dissenso. In particolare, nella chiesa di Santa Maria della Cella – situata nel quartiere Sampierdarena a Genova – il parrocco e i fedeli si sono stretti in una preghiera per "illuminare l'anima dei parlamentari" che hanno votato il ddl Cirinnà, evidentemente "ottenebrati dagli interessi e da una propaganda forte e fuorviante."

In un piccolo paese del Molise, Carovilli, si è persino riusciti a fare di meglio. Il parroco don Mario Fangio ha celebrato il "funerale del matrimonio tradizionale" suonando le campane a morto per l'intera giornata di ieri. "Oggi è morta un'istituzione secolare," ha spiegato il prete a Repubblica, "con la legge delle unioni la gente è disorientata perché pensa, essendo essa una legge, che sia una cosa buona."

In questi ultimi due giorni, tuttavia, da certi ambienti politici è emersa una forma di protesta molto più gettonata – quella dell'"obiezione di coscienza" o della "disobbedienza civile."

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Alfio Marchini, il candidato sindaco a Roma sostenuto da Forza Italia, è stato tra i primi a distinguersi in questo senso. "Non ho nulla contro il riconoscimento dei diritti civili," ha detto l'imprenditore, "ma non è compito del sindaco fare queste cose per cui non le celebrerò se dovessi vincere le elezioni."

Curiosamente, solo pochi anni fa il giudizio di Marchini sulle unioni civili e sui diritti civili era molto diverso. In un'intervista del 2014 aveva tirato in ballo persino Gesù Cristo: "Non me lo immagino rifiutare a una coppia la possibilità di condividere i loro diritti civici solo perché colpevoli di amare una persona dello stesso sesso. È l'amore che deve essere sempre tutelato."

Leggi anche: Cosa c'è (e cosa manca) nella legge sulle unioni civili approvata in Parlamento

Chi invece ha mostrato una certa coerenza è stata la Lega Nord. Il segretario Matteo Salvini ha invitato i sindaci leghisti a "disobbedire" la legge, definita "sbagliata" e "anticamera delle adozioni gay." Immancabilmente, l'appello del leader è stato prontamente raccolto —soprattutto in Veneto.

Il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, ha fatto sapere che non celebrerà mai "matrimoni fra persone dello stesso sesso," dal momento che "lo Stato ha il dovere di sostenere e promuovere la cultura della famiglia e l'esclusività del matrimonio fra coppie eterosessuali."

Bitonci ha anche ribadito che sul tema "per me c'è l'obiezione di coscienza, come con l'aborto," e poi ha invitato il premier Renzi a Padova per "celebrare il primo matrimonio gay" al posto suo.

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Massimo Bergamini – sindaco leghista di Rovigo, che qualche mese aveva sollecitato Vladimir Putin a vigilare sulla cittàha ribadito la propria contrarietà a celebrare le unioni civili, erroneamente definite "matrimonio tra persone dello stesso sesso."

"I diritti rispetto a dinamiche di convivenza vanno sicuramente individuati, ma la famiglia è solo è solo una ed è costituita da mamma e papà," ha aggiunto Bergamini. "Quello che poi succede nelle camere da letto non tocca di certo un sindaco. Ognuno è libero di fare ciò che vuole. Questa legge è una violenza alla società civile."

Questo tipo di argomentazioni sono state usate anche da alcuni sindaci di centrodestra in Toscana. A Pontremoli, il sindaco Lucia Baracchini ha chiesto l'obiezione di coscienza poiché "da un punto di vista politico sarebbe giusto e corretto offrire uno strumento per permettere a chi non ha intenzione di celebrare le unioni gay di essere esentato."

Il primo cittadino di Castiglion Fiorentino, Mario Agnelli, è stato ancora più esplicito: "Non intendo celebrare unioni civili tra omosessuali, volentieri cedo il compito a tutti i consiglieri." Dopotutto, l'obiettivo è quello di "salvaguardare la famiglia tradizionale, fulcro morale, sociale ed economico del paese."

Peccato che tutte le soluzioni appena elencate abbiano un leggerissimo problema: sono contro la legge, e quindi del tutto impraticabili.

Come spiega un articolo pubblicato sul sito dello Studio Castaldi, la legge Cirinnà non prevede alcuna obiezione di coscienza, e nessun sindaco può sottrarsi alla richiesta appellandosi a essa. "Celebrare il rito civile previsto per le coppie dello stesso sesso," prosegue il pezzo, "è un vero e proprio obbligo di legge che ogni sindaco dovrà rispettare, potendo semmai soltanto delegare tale compito ad altri ufficiali."

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In caso contrario, il primo cittadino riluttante "potrebbe finire sotto processo per il reato di omissione o rifiuto d'atti d'ufficio così come previsto dall'art. 328 del codice penale," un reato che prevede la reclusione da sei mesi a due anni.

Quasi di sicuro, dunque, le promesse battagliere di queste ultime ore rimaranno lettera morta, e saranno ricordate per quello che sono effettivamente: operazioni di propaganda politica di basso livello, giunte perlopiù fuori ogni tempo massimo.

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