Oramai da decenni l’estate spagnola è sinonimo di festival. I nomi più in vista—Primavera, Sònar, FIBB, BBK—lo sono per una serie di motivi assolutamente validi: line-up variegate e in continua evoluzione, clima perfetto, ricercatezza musicale, gioiosità estiva. Insomma, quando uno dice “Me ne vado in Spagna a sentire Tierra Whack” potrebbe venire naturale pensare che la meta sia Barcellona, Benicassim o Bilbao. Ma le cose stanno cominciando a cambiare, e il Paraiso Festival ne è la prova.
È giovanissimo, il Paraiso. Nato nel 2018, succede a Madrid e comincia ad essere una delle cose più fighe ad aprire l’estate madrilena. La location è quella del Campus dell’UCM de l’Universidad Complutense de Madrid, un pezzo di terra esteso che ricorda vagamente quello del Coachella e che non ti fa mai sentire costretto nonostante lo sballo. Il suo cuore batte a ritmo di l’elettronica e delle sue diverse derivazioni, ma con delle sbavature in mezzo: parlando con Alverto Sanchez, uno dei fondatori, gli ho chiesto come mai nella line-up, in mezzo all’elettronica di Laurent Garnier e agli strascichi lo-fi dell’ultimo Ross of Friends ci fosse sorprendentemente una traumatica Charlotte Gainsbourg. Lui mi ha guardata, piuttosto compiaciuto: “Qui non si tratta solo di elettronica di un certo tipo. Il Paraiso vuole creare un tessuto creativo che ha come matrice l’elettronica ma che spazia all’interno di essa per rimanere nel genere o deviare in qualsiasi altra cosa”.
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In poche parole al Paraiso non si accozzano artisti diversi solo perché hanno dietro hype o sono in tour per un determinato progetto. Al Paraiso si fa un viaggio nella musica—o meglio, in modo più specifico, nel concetto di genere. In metafora, è come se l’elettronica fosse la sorgente di un fiume che però poi dà vita ad affluenti che ne sono sia parte stessa che altro. L’evento si vive come un’immersione costante, bagnandosi un po’ tra un palco e l’altro, dall’euro-disco funk anni Ottanta di Cerrone al rap scostumato di IAMDDB, dai ritmi franco-ecuadoregni di Nicola Cruz alla deep house di Channel Tres.
È un viaggio che funziona dall’inizio alla fine anche perché accompagnato da una cura estrema nell’organizzazione degli escénari, non palchi. Il principale sta al centro del campus, è il “Paraiso”. Il “Manifesto” è di natura più esoterica, propone ricerca e sperimentazione. Il “Club” è una mezza Boiler Room. Il “Nido” è per gli emergenti. Il tutto con un impianto luce tutto tranne che deludente, accompagnato da visual che caricano l’atmosfera di ultra-dimensioni, virtual-viaggi e cromatismi digitali, in uno spazio aperto e disteso che dà sollievo e senso di protezione.
Paroloni a parte, tutto questo però potrebbe succedere anche da altre parti. E quindi dove cazzo la senti Madrid? Anche in questo il team ha lavorato benissimo perché se da un certo punto di vista, ti senti inondato di sensazioni diverse e sonorità notturne in uno spazio decisamente pazzo e senza tempo, da un altro, sei costantemente riportato alla movida madrilena dal mood allegrotto e spensierato del pubblico—al 60% per cento del luogo—e dal suo grande senso di accoglienza.
Come mi dice sempre Alverto, il festival cerca soprattutto di prendersi cura dei suoi fan. Sembra molto difficile, in un contesto simile, pensare alla possibilità concreta di interazione con le persone, soprattutto se la musica va a cannone e la folla corre impazzita da uno stage all’altro rischiando di perdere un arto. E invece la distanza tra i palchi è minima, cosa che non guasta l’involucro musicale di ciascuno, e che permette di spostarsi in modo tranquillo senza percorrere chilometri a buffo.
Inoltre è come se il festival coccolasse davvero il proprio pubblico, proponendo un mood molto più chilling/clubbing in cui se si vuole riposare, lo si può fare in apposite aree di ristoro dai colori vivi che favoriscono la chiacchiera in tranquillità.
È come se il fatto di fruire di performance così belle e ricercate, sia necessariamente e doverosamente conciliabile con il piacere festivo e la spensieratezza mediterranea. Così alterni momenti di riposo a momenti di perdizione in uno spazio che non è solo rassicurante ma che presenta una folla decisamente più matura che non poga tanto per, e non si fracassa le costole nel mentre. Insomma, tenete d’occhio Madrid e sì, se vi volete fare un regalo per il 2020, pisciate tutto il resto e andate al Paraiso.