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Tecnologia

Un articolo contro la riforma europea del copyright è sparito da Google per violazione del copyright

I filtri automatici per le segnalazioni online lavorano peggio di uno studente di giurisprudenza del primo anno.
Immagine: Shutterstock

Vi ricordate il voto sulla nuova riforma del copyright europea risalente al 5 luglio? Al tempo in moltissimi (noi compresi) avevano criticato gli articoli 11 e 13 della riforma, evidenziando quanto potessero diventare lesivi per la libertà di espressione e di utilizzo di internet se approvati in quella forma. Fortunatamente a luglio quei due articoli erano stati rimandati in sala di scrittura e saranno nuovamente votati il 12 settembre, quando tra gli altri verrà anche votata l'introduzione di alcuni filtri automatici per la protezione dei contenuti protetti da copyright online.

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Julia Reda, eurodeputata e attivista dei diritti online del Partito dei pirati tedesco, non è d'accordo e l'ha dimostrato con una coincidenza piuttosto laconica. Il 17 agosto, infatti, ha denunciato la censura di un suo articolo contro i filtri automatici per il copyright proprio da parte di un filtro automatico per il copyright.

Un articolo del suo blog che spiegava l’impatto negativo della riforma del copyright è stato infatti de-indicizzato da Google. In parole povere, non era più in lista tra i risultati di ricerca del più importante motore di ricerca al mondo. Oggi, non essere indicizzato da un motore di ricerca equivale a non esistere online.

L’articolo è stato rimosso sfruttando la legge americana del Digital Millenium Act che prevede, similmente a quanto previsto in Europa, la possibilità di segnalare una presunta violazione del copyright. La differenza è che in questo caso non parliamo di un video caricato su YouTube senza permesso, ma di un risultato su un motore di ricerca. Negli Stati Uniti, basandosi sul Digital Millenium Act, Google consente ad alcuni grossi partner fidati di inviare queste segnalazioni che possono portare alla de-indicizzazione del risultato. A fare la segnalazione è stata la Symphonic Distribution, una società che si occupa di mandare notifiche di questo tipo per conto dei suoi clienti tramite il suo servizio Topple Track.

La schermata che Google restituisce se si cerca l'articolo della Reda.

In questo caso la segnalazione è stata fatta denunciando una violazione del copyright di una showgirl della tv australiana. Benché non ci vogliano due lauree per capire che questa segnalazione non avesse senso, questo è esattamente quello che succede quando si affida a dei filtri automatici la rimozione di contenuti che “presumibilmente” violino il copyright.

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“Se degli umani fossero stati coinvolti nel processo di controllo, l’assurdità — la mala fede — della richiesta sarebbe stata subito scoperta. Al momento invece non ci sono controlli e bilanciamenti in questo giudizio. Nessun sistema, nessuno servizio come Topple Track o nessuna piattaforma come Google è in grado di prevenire questi errori o questi abusi,” ha denunciato la Reda sul suo blog.

Già il 9 agosto Electronic Frontier Foundation, la ONG internazionale che tutela i diritti online, denunciava Topple Track di aver rimosso da Google alcuni suoi articoli. La cosa buffa che oltre a questi erano stati de-indicizzati anche i negozi online di Bruno Mars e Beyonce.

Il 10 agosto arrivavano le scuse della società Symphonic Distribution, parlando di un bug che non aveva messo il sito di EFF nella whitelist. Ma qui il problema non sembra potersi risolvere con una whitelist dei siti da “non toccare”. Sembra molto più un problema di algoritmo infatti, che negli anni può aver mietuto numerose vittime che neanche potrebbero essersi accorte di essere state deindicizzate ingiustamente.

Uno dei problemi che riguarda il modo in cui queste piattaforme procedono è proprio la mancanza di formazione. Da un lato algoritmi che fanno passare una panna cotta per un cervello spappolato, dall’altro personale che, quando c’è, non è sufficientemente formato per saper cogliere le differenze e le sfumature delle eccezioni che il diritto prevede, con ricadute sulla libertà d’espressione. A Facebook ad esempio ci sono migliaia di persone che fanno controlli ma non hanno la formazione adeguata e sono comunque sottopagati per il tipo di expertise che dovrebbero avere. E anche quando si segnala che hanno fatto male i conti, non c’è modo di avere un’interazione umana che facilmente risolverebbe il problema. Intanto Google ha tolto dalla lista dei partner fidati Topple Track e dopo qualche giorno ha re-indicizzato i siti colpiti ma ci si chiede se tutto questo sarebbe successo se a essere oscurati fossero stati cittadini qualunque senza un potere mediatico.

Siamo ben consapevoli che c’è un sacco di roba che non dovrebbe girare su queste piattaforme per i motivi più diversi (contenuti illegali, terroristici, pornografici, violenti) ma spesso la soluzione che sembra la più semplice (come affidare tutto a un algoritmo) non è quasi mai la migliore. Nonostante sembri scontato, il Parlamento Europeo il 12 settembre potrebbe introdurre questa soluzione con la riforma Europea del Copyright, riforma che quanto a poca trasparenza ne sa qualcosa. Prima che venga rimosso ancora “per un bug”, potete trovare informazioni sul voto qui.

Segui Vincenzo su Twitter: @VincenzoTiani